La sinagoga di Copertino

copertino chiesaCapita di cominciare uno studio una ricerca e di non sapere cosa succederà e soprattutto quando sarà terminata. È quanto è avvenuto con il volume che questa sera sarà presentato a Copertino. Il progetto editoriale voluto tenacemente dai committenti cinque anni fa si conclude con sessantasei contributi e oltre cinquecento pagine raccolte in Copertino: storia e cultura. Dalle origini al Settecento, a cura di Maria Greco, per le Edizioni Grifo di Lecce. Uno sforzo appassionato e forse visionario dell’Archeoclub d’Italia Sede di Copertino che ha impegnato ricercatori accademici studiosi cultori. I più giovani affiancati ai maestri di lunga esperienza degli atenei pugliesi. Insieme per ricostruire un affresco storico artistico archeologico archivistico del Salento e della Puglia.
Di un regione che da millenni è luogo di approdo odissiaco per le genti che dalle sponde di uno stesso mare sbarcano carichi di merci speranze e nuovi destini.
E di una cittadina che era seconda solo a Lecce in quanto a signorìa e potere.
Una città che si mostra ora nelle infinite sfumature luminose o adombrate, dai primi insediamenti bizantini fino al termine dell’Età moderna di fine Settecento. Con le tante lingue che ha incontrato, o meglio con una lingua che le contiene tutte . Nel mezzo castelli poderosi regine armate e cavalieri francesi, abati vescovi e banchieri genovesi, finanzieri e avventurieri slavi, nobilotti e grandi dinastie, artisti di scuola romana e napoletana che la cesellano e colorano di affreschi, aprendo cantieri laici e religiosi. Per adornare una Terra d’Otranto e di Lecce che ha mostrato guizzi di geniale umanesimo e di storia universale. Soprattutto tra le comunità ebraiche qui di casa dall’alba dell’era volgare.

La committenza ci aveva chiesto di indagare sulla presenza ebraica nella città e gli intrecci con la regione e il Regno di Napoli. Quando avevamo cominciato con Cesare Colafemmina ad occuparcene, pochissime erano le tracce nei lavori precedenti. Gli studi locali davano le ultime presenze di famiglie ebraiche in una via extra moenia, ossia Borgo Scialò, censito nel Catasto Onciario del 1747: una viuzza stretta e corta non particolarmente significativa.

Di contro i primi documenti ispezionati da chi scrive raccontavano una realtà ben diversa. Incrociando le fonti letterarie con quelle fiscali si veniva disegnando una comunità ebraica numerosa oltre le attese, dinamica nei commerci, vitale negli scambi, tale da vantare il più antico carteggio scritto in volgare salentino (1390), intercorso tra un ebreo copertinese e un mercante veneziano suo socio. Nel 1468, quando Lecce e Copertino si distaccano fiscalmente dalla Basilicata, le giudecche lucane insorgono perché paventano la propria distruzione: impossibile sostenere il peso fiscale senza più queste comunità. Segno inequivocabile che queste due cittadine dovevano avere fuochi- famiglie in gran numero e oltremodo facoltose.

Il quadro storico viene dunque ricomposto e connesso con gli eventi della storia ordinaria del Regno, a sottolineare che la storia delle comunità ebraiche è sempre Storia Italiana, è la Nostra Storia. Ma ecco che tra gli ultimi documenti indagati e sottoposti a Colafemmina ve n’è uno diverso. Neanche tanto segreto, ma custodito (molto!) gelosamente a Roma, dai Frati della Curia Generalizia degli Agostiniani: e il documento originale solo dinanzi agli occhi di Colafemmina si svela e parla. Non prima, a chi pure lo aveva avuto tra le mani!
E basta un solo rigo un solo attimo a chi ha dissepolto la Puglia ebraica per scoprire il sito esatto della sinagoga di Copertino: un frammento di tempo che racchiude una delle ultime felicità mentali di Colafemmina. E pure di chi scrive.
Leggiamo il documento: «(…)sopra il resto vi fu edificato un monastero di donne monache de l’ordine di S. Chiara innestito alla scola che antiquamente era d’hebrei, ove si congregavano, e hoggi è tempio di dette monache dedicato alla Annuntiatione della Beata Vergine (…)».

La fonte è certa e di grande dignità: nulla di meno del Sagrista Pontificio Padre Angelo Rocca, che nel 1584 registra nella Descrittione che riguarda Copertino ogni più piccolo dettaglio. Chi sia Padre Rocca è notorio. Basta citare la sua creatura, la Biblioteca Angelica di Roma per comprendere quale statura gigantesca di storico letterato bibliofilo colto e rigoroso si ha dinanzi, tale da meritargli la cattedra di Vescovo di Tagaste riservata per tradizione secolare ad un agostiniano.
E dove si trova dunque la Scola Sinagoga di Copertino che «antiquamente era d’hebrei ove si congregavano»? Non extra moenia come il catasto settecentesco poteva far intendere. Non a ridosso delle porte della cinta muraria, peraltro perfettamente conservata nel suo circuito quattrocentesco ampliato nel Cinquecento.
Non relegata in quartieri marginali. Ma, come spesso nel meridione italiano e in Europa, a cinquanta passi dalla Cattedrale. A dieci passi dalla piazza più antica della cittadina, oggi Piazza del Popolo, e fino al secolo scorso Piazza del Foggiaro. Seduta su una delle fosse granarie ipogeiche (le fogge!) che costellano a centinaia l’antica piazza, a testimonianza dell’importanza sociale e mercantile del luogo.
Fosse granarie, 118 censite, ora visibili come un polo museale di archeologia open air. Circondata dalle botteghe artigiane e dalle case palazziate trecentesche e quattrocentesche. Qui era posta la Sinagoga nel documento scoperto e confermato dalle successive verifiche archivistiche della scrivente nell’Archivio di Lecce, fra rogiti notarili e visite pastorali dell’Archivio Diocesano di Nardò.
E con la stessa dedicazione che già la sinagoga di Lecce aveva avuto fin dal 12 marzo 1495. Quando popolo e plebe, con Carlo VIII a Napoli da poche settimane, aveva gettato nel tempio ebraico immagini di santi e della Beata Vergine. Stessa dedicazione che nel corso del Trecento aveva ricevuto anche Scola Nova di Trani: Beata Maria Vergine dell’Annunciazione. Come se la comune figura della Miriam ebraica potesse in qualche modo “acquietare le coscienze”, scrive Colafemmina.

Dunque intorno a questa antica Piazza del Foggiaro, nell’area dell’attuale Monastero delle Clarisse si espandeva la Giudecca delle famiglie ebraiche di Copertino e ne conosciamo parecchi nomi, tra cui spiccano i cognomi “Sacerdoti” riservato ai discendenti della tribù di Levi.
Ma non è tutto. Il sito presenta una ulteriore particolarità: sorge su una vasta depressione del terreno dove “gli antichi” avevano sapientemente fatto confluire le acque piovane che scendevano dalle colline circostanti mescolate ai corsi d’acqua sotterranei del terreno carsico. Il luogo perfetto per costruivi anche il mikveh.

Dove si troverà con esattezza il bagno rituale della Giudecca di Copertino? Dove saranno le sue antiche vasche di purificazione, sapendo che ad oggi nessun mikveh di Puglia è venuto allo scoperto? Le indagini archeologiche sono già iniziate e dei primi rilievi si dà conto nello stesso volume, pur consapevoli che qui di altra archeologia si tratti. Ossia di archeologia ebraica che ha altri canoni prescritti nel VI ordine della Mishnah.
Resta da chiedersi a cosa e a chi possono servire tali scoperte. Certo a dare lustro ad una Terra, la Puglia, che si conferma isola di ricerche e scoperte epocali per la storia dell’ebraismo italiano ed europeo. Ad onorare un gigante sulla cui spalla possiamo solo salire per guardare meglio e lontano: era il 1994 quando Colafemmina localizzava le ultime sinagoghe medievali di Bari e di Lecce. E un popolo che onora la verità della sua storia e dei suoi attori non sarà servo né cieco. Ma soprattutto non ricadrà nella barbarie di ripulse xenofobe. Quelle bestie trionfanti culturali e religiose sepolte in caverne nemmeno tanto buie.

Maria Pia Scaltrito

(27 ottobre 2013)