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L’atteggiamento di Yosèf verso i suoi fratelli ci può apparire sconcertante: dopo tanti anni di forzata distanza, sembra faccia di tutto per umiliarli e terrorizzarli. Perfino Esàw si era comportato meglio nei confronti di Yaakòv: dopo ciò che era successo fra di loro, a ventott’anni di distanza gli era corso incontro e lo aveva abbracciato. Perché Yosèf, sempre definito “tzaddìk”, si comporta in maniera così riprovevole?
In realtà, c’è una differenza sostanziale fra i due episodi: Esàw abbraccia suo fratello dopo che ne ha visto l’umiltà e la disponibilità, i fratelli di Yosèf giungono a lui in atteggiamento assai diverso, quello di chi tratta da pari a pari, di qua il grano, di là i soldi. Yosèf deve valutare qual è l’atteggiamento dei suoi fratelli: se sono, nonostante la minaccia di omicidio e la vendita, ancora degni del nome di ebrei, se cioè si rendono conto che D. agisce nel mondo ma al contempo ognuno è responsabile delle proprie azioni.
Ciononostante, tutto sommato ci si poteva aspettare l’opposto, ossia che fossero loro a dover valutare fino a che punto Yosèf fosse rimasto ebreo, lui che da anni era lontano dalla vita ebraica e dalla casa paterna, lui che viveva nel centro dell’idolatria, alla corte del Faraone, lui che portava il nome egizio di Tzafenath-Pa‘anèach, nome portatore del ricordo di una divinità estranea. E invece è lui il giusto, lui l’ebreo completo, nonostante la difficoltà di rimanere tale alla corte del Faraone e durante le precedenti peripezie.
La nostra storia è piena di persone che, come Yosef, sono riuscite a mantenere intatto il loro ebraismo attraverso le più disastrose peripezie; e, se vogliamo, anche la festa di Chanukkah nella quale ci troviamo solennizza il miracolo dell’eternarsi dell’ebraismo dopo secoli di dominazione idolatra.
Oggi più che mai è difficile essere ebrei. I valori dello spirito sono poco seguiti e meno studiati; sempre meno tempo abbiamo per pensare a noi stessi e al nostro essere; lo sviluppo scientifico e tecnologico, anziché portarci a pensare alle meraviglie del creato e ai valori per i quali D. le ha create, anziché portarci a utilizzarlo per migliorare noi stessi e il mondo, ci porta a costruire strumenti e tecnologie che sconvolgono il creato, ci rendono schiavi della nostra stessa opera facendone un idolo.
L’esempio di Yosèf, l’esempio di Mattatyà e di tanti altri eroi maggiori o minori ci ricordi la giusta scala di valori.

Elia Richetti, presidente dell’Assemblea rabbinica italiana

(28 novembre 2013)