giustizia…

Chissà se Eugenio Scalfari, che nel suo articolo de La Repubblica del 29 dicembre u.s., rispolvera la famigerata tesi antigiudaica del Dio vendicativo e della giustizia inflessibile dell’Antico Testamento a cui si contrapporrebbero l’amore e il perdono del Cristianesimo, ha mai letto la nota storia del giudizio del Re Salomone che troviamo nel terzo capitolo del primo Libro dei Re, versi 16-28 . La Bibbia ci racconta di due prostitute che si addormentano con i loro neonati tra le braccia; uno di questi due neonati muore durante la notte e una di queste due mamme scambia il bambino vivo e mette nelle mani dell’altra donna il bambino morto. Al risveglio la mamma del bambino rimasto vivo si accorge di questa sottrazione e finiscono davanti al Re Salomone. Allora il Re disse: l’una donna sostiene è questo mio figlio, quello vivo, mentre il tuo è quello morto, l’altra sostiene: no, tuo figlio è quello morto e quello vivo è mio. Il Re disse portatemi una spada e disse dividete in due parti il bambino rimasto vivo e datene una metà all’una e l’altra metà all’altra. Il testo dice: ma la donna di cui era il bambino vivo si sentì commuovere le viscere per il suo figliolo (qui il testo biblico per indicare le viscere materne usa proprio quella parola che noi ebrei usiamo per definire la misericordia di Dio “nichmerù rachamea”, da cui viene appunto la parola “rachamim”, quell’amore misericordioso di cui solo una madre è capace di provare ) disse al Re : “Ti prego Signore sia dato a lei il bambino vivo ma non l’uccidete” mentre l’altra diceva “Non deve essere né mio, né tuo, dividete il bambino a metà”. Il Re Salomone sentenziò, dicendo sia dato il bambino vivo alla prima donna, non l’uccidete quella è sua madre. Tutto Israele venne a conoscenza della sentenza pronunciata dal Re ed ebbero timore del Re perché videro che c’era in lui la saggezza di Dio per rendere giustizia. In questa storia c’è un gesto che mima la giustizia intesa come equità, si alza la spada per dividere un bambino, oggetto della contesa in parti uguali, ma è l’amore della vera madre che si rivela proprio invocando l’ingiustizia, perché la vera madre rinuncia a un suo diritto (“sia dato il bambino a chi non ne ha il diritto purché viva”), la vera madre sta invocando l’ingiustizia, è la falsa madre che invoca la caricatura formale della giustizia (“sia diviso equamente il bambino”). E’ una storia della Bibbia ebraica e non del Vangelo! E’ solo uno, tra i tanti passi biblici, che esalta quell’amore misericordioso che caratterizza la Tradizione di Israele e di cui, ancora oggi, si ritrova traccia nello Stato ebraico, i cui ospedali si prendono cura di tante vittime del fronte opposto, che tante nostre anime belle e caritatevoli continuano a ignorare.
Roberto Della Rocca, rabbino

(31 dicembre 2013)