…male

Fra i documenti dell’archivio personale di Heinrich Himmler ora ritrovati in Israele e pubblicati non c’è solamente la lettera inviata alla moglie Margaret: “Vado a Auschwitz. Baci, il tuo Heini”. Ce n’è anche una della figlia Gudrun che scrive: “Ieri siamo stati a Dachau. Abbiamo mangiato benissimo”. Ho l’impressione che questo esiga una rimessa in discussione del famoso, pateticamente imperfetto, e tutto sommato comodissimo mantra della banalità del male. Perché con Himmler non si tratta più di un grigio esecutore di ordini come si è cercato di dipingere Eichmann (che invece Claude Lanzmann nel suo film su Murmelstein definisce personaggio intelligente e satanico). Si tratta invece di valutare chi stava al vertice della più critica e strategica stanza dei bottoni. La tesi della banalità del male implica che il male può accadere a tutti, anche a noi stessi, e quindi non c’è molto da fare esami di coscienza. Succede, è inerente. Ma quando il male arriva al vertice non può più essere banale, vi è stato portato da un gigantesco consenso, e dunque il coinvolgimento è di tutti. Non più inerente, bensì del tutto consapevole. E oltretutto il male si vede benissimo fin dall’inizio. Ed è all’inizio che va stroncato con tutti i mezzi. E per chi non avesse capito, gira molto anche sulle nostre pedane.

Sergio Della Pergola, Università ebraica di Gerusalemme

(6 febbraio 2014)