Ticketless – Blasphemy

cavaglionLa coincidenza di oggi tocca un tema delicato: il turpiloquio. Nella conversazione ferroviaria, è la bestemmia che inquieta, più degli ormai insopportabili Walter della Littizzetto, soprattutto nel linguaggio giovanile. Serve poco ricordare chi impreca contro Dio davanti a un videogioco ch,e sulla groppa di un asino, al tempo delle guerre di religione, il bestemmiatore veniva costretto a girare per le vie con una bella B stampata a fuoco sulla fronte: “Blasphemy”. Un caro amico, cui sono legato da affetto profondo, con il passare degli anni ha riscoperto le vie della spiritualità e del cristianesimo novecentesco è diventato un interprete acuto. Non di rado i nostri percorsi di letture si incrociano, da lui ho appreso sempre molte cose. Nei giorni scorsi mi ha spedito per posta una carezza bibliografica che mi ha procurato conforto in un momento in cui ne avevo bisogno. La via dove abito porta il nome del senatore Pio Foà, morto nel 1923. La rivista della FUCI, “Studium”, nel novembre di quell’anno (fasc.II, p. 718) gli dedicò un necrologio, firmato da padre Giuseppe Semeria, con Ernesto Buonaiuti il modernista più sensibile all’ebraismo. I necrologi della stampa cattolica, si sa, sono stati spesso i luoghi dove sugli ebrei, non quelli vivi ma i morti, sono state scritte cose al limite del turpiloquio che farebbero arrossire la Littizzetto. Padre Semeria si sofferma sulle virtù ebraiche di Pio Foà e ricorda che fu Presidente a Torino della prima Lega antiblasfema. Una sera, davanti a un pubblico sceltissimo, trovandosi a parlare dopo Foà, il sacerdote ricorda di essersi trovato “nella situazione di quei buoni cantori di Monza ai quali un distratto Sacerdote nella Messa solenne lanciò un bello Et cum spiritu tuo, che dovettero guardarsi e si chiesero: e adesso che cosa cantiamo noi?”. Aveva già detto tutto Foà. Ecco un terreno d’incontro fra mondo cattolico ed ebraico su cui non abbiamo indagato con la dovuta attenzione. Non bisogna mai lasciarsi travolgere dallo stereotipo del dialogo mancato e impossibile. Vi sono stati punti di incontro. Sapevo della lega contro l’alcolismo, delle comuni battaglie per l’infanzia abbandonata, delle mense per i poveri, della sensibilità (di Lombroso come di molti sacerdoti) per i detenuti, delle scuole professionali nelle città di provincia: isole gioiose che fanno dell’età giolittiana un paradiso in terra profanato dal fascismo. Isole felici, dove il deposito della fede dei Padri si secolarizzava in armonia e non in contrasto con il mondo cattolico.

Alberto Cavaglion

(26 febbraio 2014)