La Shoah e la Chiesa

minerbi1Il dialogo con la Chiesa è una questione complessa che dovrebbe essere riservata agli esperti. Alcuni ebrei sono animati da ottime intenzioni non accompagnate però da studi approfonditi sul partner cattolico. Le intenzioni cattoliche, o di alcuni cattolici, sono chiare. Anzitutto c’è il desiderio di trasformare la Shoah in un evento cattolico di cui, come al solito, le vittime sarebbero cattoliche. Questa tendenza si è inasprita col Papa Giovanni Paolo II che essendo polacco aveva valide ragioni per sentirsi vittima dei nazisti. Il suo discorso ad Auschwitz durante il quale non pronunciò mai la parola ebreo, il simbolo dei sei milioni divenuti per lui cattolici, la distribuzione delle ceneri di Auschwitz durante la beatificazione di Maximilien Kolbe, il convento femminile ai limiti del campo di sterminio che dopo due anni di discussioni fu spostato di 500 metri, sono alcuni esempi della chiara volontà di impadronirsi del simbolo di Auschwitz. Le manifestazioni comuni con i cattolici siano essi italiani o polacchi, vanno cautamente vagliate e se necessario gentilmente rifiutate. Il concerto del 23 giugno scorso eseguito ad Auschwitz dai neo-catecumeni, rientra in quest’ultima categoria. C’è chi ci vede una testimonianza dell’amore che c’è fra noi, ossia in un caso specifico fra 35 giovani rabbini israeliani e i religiosi del gruppo dei neo-catecumeni. Io ne dubito, ma se poi si arrivasse davvero all’ “amore” fra i due gruppi (come si sostiene sull’Osservatore Romano del 15 novembre scorso) allora dovremmo essere seriamente preoccupati.
L’operazione shmad (conversione) è lunga e complessa ma conviene reprimerla sul sorgere. Alcuni ebrei si lasciano convincere con facilità anche su Pio XII, sebbene dopo tanti anni i suoi fautori non sono stati capaci di produrre un solo documento ecclesiastico che dimostri che quel Papa contribuì a salvare ebrei. La suora Grazia Loparco ha scritto un ottimo saggio su circa 235 conventi cattolici a Roma durante l’occupazione tedesca che salvarono ebrei, ma in nessun caso su consiglio, ordine o ingiunzione di Pio XII. Affermare il contrario significa diminuire l’eroismo di quei religiosi che agirono di propria iniziativa.
Altri ebrei cadono nel tranello dei neo-catecumeni che per confondere le piste usano anche qualche parola di ebraico. Il metodo può sembrare puerile ma ci accorgiamo che c’è anche qualche adulto che ci casca. Non così il Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni, che scrive: “non riesco francamente a capire quei rabbini che hanno partecipato all`evento” del giugno scorso ad Auschwitz. Lasciamo quindi quel campo di sterminio nel silenzio che spetta a un gigantesco cimitero, e riserviamo agli ebrei la solidarietà, la fratellanza, dettate dall’identità religiosa.

Sergio Minerbi, diplomatico

(4 maggio 2014)