Cinque giorni di tregua

rassegnaUn’estensione della tregua di 5 giorni, questo il risultato delle ultime trattative nonostante i nuovi lanci di missili e la conseguente reazione di Tsahal. Le sirene sono risuonate la scorsa notte nel sud d’Israele: due ore prima della fine del cessate il fuoco alcuni razzi lanciati da Gaza sono arrivati vicino ad Ashkelon e l’aviazione israeliana ha risposto al fuoco. Il Messaggero, nell’edizione del mattino, segnala anche che secondo alcuni media locali un razzo palestinese finito in territorio egiziano avrebbe ucciso una bambina. Le truppe israeliane schierate a ridosso di Gaza sono state messe in allarme e nell’incertezza sono stati chiamati altri riservisti, mentre Netanyahu trova sempre più difficile ottenere consensi nel suo governo per l’approvazione della tregua proposta dall’Egitto. Il presidente egiziano Al-Sisi è schierato con Israele contro qualsiasi misura che possa rafforzare Hamas o soltanto dare l’impressione di una vittoria del movimento islamico. “Non soltanto il valico di Rafah per essere aperto deve essere sotto il controllo dell’Anp – insistono al Cairo – ma tutta la Striscia di Gaza deve tornare a essere governata dal governo legittimo dei palestinesi”.
Sul Financial Times in un lungo articolo John Reed racconta la rabbia dei cittadini israeliani che vivono a poca distanza dal confine con la Striscia di Gaza, che dal conflitto sono i più colpiti sia psicologicamente che economicamente e la cui fiducia nel governo e nell’esercito sta scemando.

Ieri a Gaza è morto un giornalista italiano, Simone Camilli, che per l’Associated Press stava filmando le operazioni di disinnesco di un missile israeliano inesploso. Fiamma Nirenstein, sul Giornale, racconta come Camilli avesse rinunciato a un incarico in Iraq per lavorare a Gaza, un luogo dove era stato più volte e che conosceva bene.

Sulla Stampa Maurizio Molinari descrive il blitz americano compiuto per salvare i profughi stretti dalla morsa dell’Isis sul monte Sinjar, dove i marines sono andati a rinforzare un contingente di truppe speciali già presenti sul territorio, composto sia da forze americane che britanniche. Si tratta – afferma il consigliere alla Casa Bianca sulle questioni strategiche Ben Rhodes, di una missione umanitaria, non di combattimento, volta a salvare i civili assediati. E proprio alcuni alcuni civili yazidi in fuga affermano di aver visto da lontano i soldati americani “in aree protette dai pashmerga curdi”.

La Comunità ebraica di Roma si sta in questi giorni adoperando per rasserenare un gruppo di trenta bambini israeliani, portati in Italia per sottrarli al conflitto. (Messaggero Roma) Ospitati nel centro estivo Shirat haYamdi Ostia, i ragazzi provengono dal sud di Israele e sono al centro di un movimento d solidarietà che coinvolge ora anche le comunità locali, che, a partire dal parroco e dal direttore del locale centro di cultura islamica si sono dichiarati favorevoli all’iniziativa e disponibili a collaborare.

A Milano grande appuntamento ecumenico questa sera al Nuovo museo del Duomo: l’iniziativa lanciata dall’Arcivescovo Angelo Scola riunirà anche i rappresentanti milanesi della Comunità ebraica e di quelle musulmane, tutti d’accordo sulla parola d’ordine della serata “Non possiamo tacere”. (Corriere Milano)
All’invito aderisce anche Yahya Pallavicini, imam della Moschea Al-Wahid di Milano e vice presidente del Coreis (Comunità religiosa Islamica italiana) che in una lettera pubblicata sul Sole 24Ore scrive che “La ricostruzione immaginaria e ideologica di un presunto Islam delle origini, scade nell’esclusivismo religioso, estraneo alla tradizione islamica, e nel misconoscimento dei veri principi ispiratori comuni a ogni autentica rivelazione. Le responsabilità dei musulmani sono innegabili, e la perdita diffusa della loro eredità intellettuale è all’origine di queste degenerazioni.” Continua ricordando come la convivenza di minoranze ebraiche e cristiane nel mondo islamico abbia avuto numerosi esempi storici, dalla Spagna, al Marocco, alla Persia, e cita rav Laras quando invitava a “chiedere a Dio di infondere una lungimirante intelligenza di cuore (più acuta di quella del pensiero) nei governanti e nei loro consiglieri”.

Il manifesto riporta la polemica in corso a Praga per l’appoggio dato dalle ambasciate di Stati Uniti e Israele al Pride 2014, quarta edizione cittadina del festival per i diritti LGBT, che ha deciso di darsi un profilo internazionale. Per gli attivisti della sezione ceca dell’International Solidarity Movement si tratta di un tentativo di “pinkwashing”: Israele “sistematicamente cerca di migliorare la sua immagine internazionale con il sostegno alle manifestazioni LGBT” e “non si può marciare per i diritti umani delle persone LGBT con il supporto di uno stato che commette dei crimini contro l’umanità e sgancia bombe sui rifugi dell’Onu”. Ma Bohdana Rambouskova, portavoce del Prague Pride, rifiuta ogni accusa e dichiara: “Noi non consideriamo il sostegno dell’ambasciata d’Israele come un atto di propaganda”.

Sull’Espresso Wlodek Goldkorn in un lungo colloquio con Abraham B. Yehoshua, racconta il rapporto del grande scrittore israeliano con la città dove è nato. “Io dico di essere nato a Gerusalemme nel 1936, quinta generazione a Gerusalemme. Non solo ripeto due volte il nome Gerusalemme, ma sottolineo il fatto di essere la quinta generazione. Ecco perché non smetto di ripetere ai miei amici arabi – loro pensano che tutti noi siamo immigrati o figli di immigrati – che i miei avi sono arrivati qui da Salonicco e da Praga a metà dell’Ottocento, quando a Gerusalemme gli ebrei erano pochissimi, ma neanche gli arabi erano numerosi. Allora la città era piccola e misera, posta al limite del deserto, chiusa nelle Mura le cui porte venivano sigillate ogni notte”.

Sia su Repubblica che sulla Stampa viene ricordata Lauren Bacall definita “ultima icona della Hollywood dei miti e delle star”. Si chiamava in realtà Betty Joan Perske, lo stesso cognome dell’ex presidente di Israele, Shimon Peres, di cui era cugina di primo grado. Diceva, rifiutando le definizioni altisonanti, “Si è leggenda quando si è morti”, ma la sua carriera che l’ha vista percorrere la storia del cinema americano e la sua vita privata a fianco di Humphrey Bogart l’anno resa un vero mito, indimenticabile come i suoi occhi verdi e la sua inconfondibile voce roca.

Ada Treves twitter @atrevesmoked

(14 agosto 2014)