Dal Cairo i fondi per Gaza

rassegna“I donatori arrivati al Cairo offrono quasi cinque miliardi e mezzo di dollari (4,4 miliardi di euro) per la ricostruzione di Gaza” riporta Davide Frattini sul Corriere della Sera, superando così la cifra auspicata dal presidente palestinese Abu Mazen. Ma nonostante i finanziamenti la situazione non pare chiara: “Oggi la sua Guardia avrebbe dovuto dispiegarsi ai valichi con Israele, una condizione posta dal premier Benjamin Netanyahu per concedere il passaggio dei materiali più importanti”, ossia per evitare che Hamas possa utilizzarli per ricostruire il proprio arsenale, ma i leader fondamentalisti negano di aver ceduto il controllo della frontiera. L’Italia ha partecipato ai finanziamenti con quasi 19 milioni di euro, 450 arrivano dall’Europa mentre un miliardo di dollari arriva dal Qatar. Il Quotidiano Nazionale ricorda che la “conferenza dei donatori” è stata organizzata al Cairo alla presenza di 50 tra ministri degli Esteri e rappresentanti delle organizzazioni internazionali, e dalla capitale egiziana il ministro Federica Mogherini ha dichiarato che “occorre mandare anche un messaggio politico”, perché, continua l’articolo, lo status quo di un conflitto decennale non è più accettabile. La Stampa riporta anche che “Tutti i big arrivati al Cairo, a cominciare dal segretario di Stato Usa, John Kerry, si sono detti d’accordo sul fatto che i negoziati tra israeliani e palestinesi debbano riprendere a partire dall’accordo per il cessate il fuoco del 26 agosto scorso.”

A un anno dalla scomparsa del criminale nazista Erich Priebke tensioni si sono registrate ad Albano Laziale tra estremisti di destra guidati da Forza Nuova e antifascisti. Un contatto tra i due gruppi, spiega il Messaggero, è stato evitato grazie alla massiccia presenza di forze dell’ordine. Sempre sul Messaggero, Marco Pasqua parla della manifestazione romana organizzata a Ponte Sant’Angelo dall’avvocato Paolo Giachini come di “un’offesa a tutta la città, alla sua storia, al suo dolore” avvenuta a pochi giorni dall’anniversario della retata del 16 ottobre 1943.

La decisione del Consiglio della Comunità ebraica di rimandare un confronto sul tema dei rapporti con l’UCEI, argomento all’Ordine del giorno della seduta assieme alle dimissioni dello stesso presidente della Comunità romana Riccardo Pacifici dalla Fondazione Museo della Shoah, è riportata dalle cronache romane del Corriere della Sera con il titolo: “Vince la mediazione”. Riferisce Alessandro Capponi: “Prima ancora dell’inizio viene cambiato l’ordine del giorno che chiedeva di ‘avviare la procedura per uscire dall’Unione delle comunità ebraiche’ e invita ‘il presidente della Comunità a ritirare le dimissioni dalla Fondazione’. Alle dieci della sera, a Consiglio appena terminato, Pacifici fa sapere che accoglierà la richiesta”. Nella delibera approvata ieri, riporta ancora il cronista romano, si esortano i componenti del Collegio dei soci fondatori e del cda “ad operare affinché il museo veda la luce nelle modalità e nei tempi previsti” e si esprime gratitudine al sindaco Ignazio Marino “per la disponibilità della Casina dei Vallati quale sede della Fondazione”. I consiglieri ribadiscono inoltre la necessità “che Roma si doti in tempi rapidi di un Museo della Shoah, il cui valore è indiscutibile per l’intero paese”. Nello stesso articolo Capponi sottolinea infine le parole di apprezzamento che il presidente dell’Unione Renzo Gattegna ha rivolto ieri al sindaco per il comportamento e per le iniziative adottate a seguito della macabra messa in scena di Ponte Sant’Angelo.

Anticipando l’uscita del volume “In Italia ai tempi di Mussolini. Viaggio in compagnia di osservatori stranieri” dello storico Emilio Gentile, Paolo Mieli sul Corriere della Sera racconta le reazioni dei commentatori stranieri all’arrivo al potere di Mussolini. Alcuni affermarono che gli italiani si sarebbero presto ribellati mentre altri capirono che la dittatura era destinata a durare. Il tedesco Kaminski scrisse che “Mussolini è soltanto un commediante e gli italiani lo faranno cadere perché possono vivere esclusivamente come un popolo libero” mentre lo scrittore jugoslavo Ivo Andric – che avrebbe poi ricevuto il Nobel – durante il congresso fascista del 1921 vide a Roma “i cortei d’uomini in camicia nera adornati con una testa di morto, scarmigliati, sfilare a passo di parata per le vie tranquille della capitale. Fatta eccezione per alcuni entusiasti professori barbuti, figli di buona famiglia e studenti occhialuti, tutti gli altri avevano visi poco intelligenti, brutali, da provinciali violenti… La testa scoperta, il viso illividito dal freddo intenso, con un entusiasmo arrabbiato, indossando fasce con caratteristiche parole d’ordine (‘Me ne frego’, ‘Disperata’), brandendo manganelli nodosi, piuttosto che semplici bastoni di ferro o di piombo, evidentemente consacrati dalla tradizione di numerose risse”. Aggiunse anche che “ll parlamentarismo italiano marcia rapidamente verso la sua rovina”. Mieli conclude scrivendo che “Colpisce in questo straordinario libro di Emilio Gentile la diversità tra i giudizi più ingenui e ottimisti degli antifascisti e quelli ben più profondi e realistici degli osservatori che tenevano ben distinta l’analisi dalla battaglia politica. Ma colpisce altresì l’ampiezza di credito che, in virtù di queste analisi, fu dato in sede internazionale all’esperimento mussoliniano. Il che spiega anche i comportamenti non ostili delle supposte potenze antifasciste fino alla metà degli anni Trenta. E anche oltre, in qualche caso.”

In Ungheria, intanto, si attendono i risultati delle votazioni amministrative di ieri. A Miskolc, quarta città del paese il candidato alla carica di sindaco per il partito di estrema destra Jobbik aveva promesso di riportare l’ordine e “combattere il crimine zingaro”, e si prevedono ora misure ancora più estreme, a peggiorare quella che è già una vera e propria segregazione. Le parole più ripetute nelle trenta città dove Jobbik era primo dei sondaggi sono “Ordine e sicurezza” e la destra ungherese non pare rallentare la sua corsa, mentre il primo ministro Viktor Orbán conta sul terzo trionfo consecutivo del 2014, dopo le politiche di aprile e le europee di maggio. Punta su accentramento dei poteri, delegittimazione del dissenso ed esaltazione dell’orgoglio identitario per contrapporre alla retorica apertamente xenofoba di Jobbik un autoritarismo lontano dall’orbita estremista con slogan e iniziative a favore dell’integrazione. (Corriere)

Fabrizio Ravelli, su Repubblica, racconta l’esperienza organizzata dalla Fondazione Alexander Langer di Bolzano durante la Settimana internazionale della memoria. Portare la lezione di Primo Levi a Srebrenica, la città bosniaca protetta dall’Onu per aiutare i sopravvissuti del massacro e scoprire “quanto la testimonianza scabra e profonda dell’autore di Se questo è un uomoe di I sommersi e i salvati (i soli testi tradotti finora in lingua locale) possa essere familiare e vicina ai tormenti di un popolo traumatizzato”. Così nella Casa della cultura di Srebrenica si è arrivati a discutere della vergogna dei sopravvissuti e del loro senso di colpa, a partire dalla riflessione di Levi, e c’è chi racconta che “Quello che ha vissuto Primo Levi io ho l’impressione di averlo vissuto in questi vent’anni. Ho sentito tante di volte di essere un indesiderato. Quelli che incontro sanno che parlerò, prima o poi, del genocidio di Srebrenica. E la cerchia dei miei amici si restringe, anche se provo a essere spiritoso per non perderli”. La Bosnia oggi è un paese di traumatizzati dove, secondo dati dell’Organizzazione mondiale della sanità, circa un terzo della popolazione soffre di disturbo post-traumatico da stress e il lavoro ostinato dei testimoni è sempre più pesante.

Ada Treves twitter @atrevesmoked

(13 ottobre 2014)