Gerusalemme, la tensione resta alta

rassegnaLa tensione a Gerusalemme resta alta: da oggi riapre il Monte del Tempio con delle restrizioni in termini di età, chiuso dopo l’attentato nel quale è stato ferito gravemente il rabbino ed attivista Yehuda Glick. A ricostruire la situazione, tra gli altri, Maurizio Molinari che sulla Stampa racconta: “Guerriglia palestinese nelle strade di Jabel Mukaber, scontri fra soldati e ultranazionalisti ebrei al Muro Occidentale, palloni aerostatici sopra i quartieri arabi e il tamtam sulla ‘terza Intifada’ davanti alla Via Dolorosa: a Gerusalemme l’atmosfera è rovente attorno alla Spianata delle Moschee”. Glick, spiega Molinari, è il leader di uno dei gruppi ebraici che “vogliono costruire il ‘terzo Tempio’ sulla Spianata dove sorgono la Cupola della Roccia e la moschea di Al Aqsa. Si batte per difendere ‘il diritto degli ebrei di pregare’ sul luogo del Tempio di Salomone e accusa il governo Netanyahu di accettare il controllo di Hamas sulla Spianata”. L’attentatore – continua – si è avvicinato a lui, gli ha chiesto se si chiamasse Glick e poi gli ha sparato. Dopo uno scontro a fuoco con la polizia israeliana è stato ucciso. Conseguente, la decisione di chiudere ieri il Monte del Tempio per evitare ulteriori disordini. Quello che accade in risposta dunque, è una nuova battaglia per i luoghi sacri: “Sulla Via Dolorosa un gruppo di militanti palestinesi grida ‘Allah-u Akbar’ quasi in faccia ai militari israeliani. ‘Preghiamo qui perché non possiamo andare ad Al Aqsa, se vogliono la terza Intifada la avranno – dice Hussen, 50 anni, di Silwan – perché dall’inizio dell’occupazione nel 1967 nessuno aveva osato tanto’. (…) Tensione c’è anche al Muro del Pianto, dove un folto gruppo di ultranazionalisti ebrei tenta di sfondare i cordoni della polizia e raggiungere la Spianata: ‘È il Monte del Tempio, ce lo hanno rubato’ cantano. Il corpo a corpo si conclude con alcuni arresti. Ma resta la sensazione che gli opposti estremi si preparino alla battaglia per Gerusalemme”. Ancora sulla Stampa la scrittrice israeliana Lizzie Doron, che ha vissuto a lungo nel quartiere Silwan di Gerusalemme, ha dichiarato: “A Gerusalemme Est si vive in un limbo. Gli abitanti arabi sono una via di mezzo fra i palestinesi e gli israeliani. Hanno le carte di identità israeliane ma non possono avere il passaporto (…) Il problema, e la rabbia, nasce dalla situazione di incertezza che permea ogni attimo della vita degli abitanti di Silwan “. La parola Intifada ritorna nell’articolo di Davide Frattini sul Corriere della Sera: “Era da quattordici anni che l’ingresso del Monte del Tempio non restava sempre chiuso. Da quando Gerusalemme era stata travolta dalla rabbia della stessa intifada che adesso sembra riemergere. La Spianata delle Moschee è stata dichiarata dagli israeliani per un giorno zona proibita perché non diventasse zona di guerra”. Nahm Barnea su Yedioth Ahronoth scrive a proposito di Glick: “Mi ha sempre detto ‘lavoro per la pace’ e io gli rispondevo che giocava con il fuoco, le sue azioni avrebbero portato Israele alla guerra con il mondo musulmano, credevo ci mettesse in pericolo, ha messo in pericolo se stesso. Adesso è fondamentale calmare la situazione, non aggiungere benzina al fuoco che potrebbe trasformare questo conflitto da nazionalista a religioso”.

La situazione diplomatica intanto continua a lanciare segnali preoccupanti. Ieri la Svezia ha ufficialmente riconosciuto lo Stato palestinese. Su Libero Daniel Mosseri descrive la reazione israeliana: “La Svezia deve capire che le relazioni in Medio Oriente ‘sono più complicate delle istruzioni per montare un mobile Ikea’, ha reagito il capo della diplomazia Avigdor Liberman, che ha subito richiamato l’ambasciatore a Stoccolma per consultazioni”. Una decisione che “per gran parte di Israele si tratta del goffo gesto di un governo neoinsediato per ingraziarsi il 7% di cittadini e immigrati di fede islamica”. La Repubblica analizza poi i rapporti incrinati tra il premier israeliano Benjamin Netanyahu e la Casa Bianca dopo l’articolo Jeffrey Goldberg che su The Atlantic ha riportato le parole di un alto funzionario USA contro lo stesso Netanyahu, definendolo codardo con un termini piuttosto coloriti (“chickenshit”). Ad intervenire per smorzare i toni il segretario di Stato John Kerry e il consigliere per la Sicurezza americana Susan Rice: “Le nostre relazioni con Israele non sono in crisi, anzi sono più strette che in passato”. Intanto il tormentone ha colpito anche la rete nella quale circola la foto di Netanyahu in divisa da ufficiale e quella di Obama con cappello e sigaretta in bocca con la scritta “chi vi sembra più coraggioso?”.

Sul Corriere della Sera un approfondimento di Marco Carrai e Leonardo Bellodi che affronta la situazione di Israele sul fronte energetico dopo la scoperta del giacimento Leviathan (600 miliardi di metri cubi). E pensare che, scrivono: “Golda Meir, primo ministro d’Israele dal 1969 al 1974, diceva spesso che Mosè aveva condotto il popolo di Israele nell’unico territorio del Medio Oriente senza petrolio”. Leviathan, spiega il Corriere: “potrebbe garantire il consumo di gas dei 28 Paesi dell’Ue per più di un anno e quello di Israele per più di 80. E nessuno sa quanto altro gas potrà essere scoperto ancora nella zona. Le conseguenze di queste scoperte sono importanti per il mercato domestico di Israele che, dal 1948, è stato dipendente dalle importazioni di energia, spendendo più del 5% del proprio Pil, con conseguenze per il proprio bilancio e per la propria sicurezza”.

Sergio Romano ripercorre la vita di Vittorio Dan Segre dopo la lettura del suo ultimo libro “Storia dell’ebreo che voleva essere un eroe” (ed. Bollati e Boringhieri). Sul Corriere della Sera racconta: “Segre continua ad accumulare esperienze, anche affettive, vuole completare qualche lavoro incompiuto e soprattutto fare i conti con se stesso. il risultato non è una classica autobiografia, ma un ibrido letterario in cui personaggi noti e realmente esistiti incontrano altri personaggi, forse ritratti dal vero e mascherati sotto un altro nome, forse creati dalla sua immaginazione per animare la conversazione e distribuire le parti. Storia dell’ebreo che voleva essere eroe è anzitutto un viaggio introspettivo nella personalità dell’autore, la ricerca di risposte a domande sulla fede, il senso della vita, il mistero di Dio e l’identità ebraica che lo hanno accompagnato dall’adolescenza”.

L’avanzata dell’Isis continua a preoccupare. Su l’Espresso lo scrittore Roberto Saviano analizza i sentimenti che si celano dietro le centinaia di nuove conversioni: “Le conversioni che più spaventano in questo momento – e spaventano naturalmente per superficialità – sono quelle all’Islam. I media di tutto il mondo, da anni, danno conto di conversioni che non sono verso una religione. Convertirsi all’Islam per unirsi alla Jihad non significa aver trovato un proprio percorso spirituale, ma aver aderito a una ideologia. Non significa entrare a far parte di una comunità che ha un capo spirituale (l’imam), ma semplicemente aderire a un gruppo terrorista, essere affascinati da una vita che si immagina avventurosa”. La religione viene usata come strumento di potere e dunque, titola l’Espresso, “L’Isis dà una mano a chi odia l’Islam”. Su Repubblica il presidente dell’Europarlamento Martin Schulz lancia un monito: “Il Califfato è un pericolo anche per l’Europa – e continua – a differenza di Al Quaeda ha un proprio territorio, sta cercando di creare uno Stato terrorista. Ecco perché è un rischio enorme, anche per l’Europa, ma anche una sfida, perché può essere più facile da combattere”.

Sul Resto del Carlino una novità da Predappio: “L’ex casa del fascio e dell’ospitalità è ancora un contenitore vuoto, ma la struttura potrebbe rivedere la luce nel giro di qualche anno: una commissione ad hoc incaricata dall’amministrazione comunale ha elaborato un progetto preliminare di utilizzo e gestione basato sulla creazione di un museo sul fascismo e un centro studi sul Novecento”. Il curatore Marcello Flores espone le finalità: “Costruire un luogo di ricerca e conoscenza, non certo di celebrazione. E non partiremo dai grandi eventi, ma dalla vita quotidiana dell’epoca. Insomma, un’analisi sulle radici del fascismo e anche delle conseguenze, perché ognuno si crei un giudizio personale. Per me è una sfida culturale e intellettuale non semplice”. E sul pericolo dei nostalgici risponde: “Noi cerchiamo di mostrare una realtà, tutta, che chiunque può analizzare”.

Diversi quotidiani hanno riportato la cerimonia dell’Anpi (associzione nazionale partigiani) al cimitero Maggiore – Campo Della Gloria per ricordare il sacrificio e il coraggio di chi ha combattuto per la libertà e per gli ebrei milanesi che furono deportati dai lager nazisti e non fecero più ritorno. “Alla cerimonia erano presenti il sindaco Giuliano Pisapia, il rabbino David Sciunnach e l’arciprete emerito del Duomo, monsignor Luigi Manganini” scrive Avvenire.

Il nuovo Museo della storia degli ebrei polacchi, inaugurato il 28 ottobre, è al centro dell’articolo dell’Osservatore romano: “L’edificio era stato già aperto al pubblico nell’aprile 2013, ma aveva ospitato solo mostre temporanee che hanno attratto più di 400mila visitatori”. Ad essere presente all’inaugurazione anche il regista Roman Polanski, che è stato fermato e poi rilasciato in Polonia come riporta il Messaggero: “Tutto comincia nel ’77 negli Stati Uniti, quando Polanski, dopo essere stato condannato per lo stupro di una tredicenne, fugge dagli Usa. Che da allora tentano di ottenere il suo arresto e la conseguente estradizione”. Estradizione però non fattibile “perché è passato troppo tempo dal reato commesso”.

Su l’Espresso un ampio articolo dedicato a Henry Kissinger, uno dei più grandi protagonisti della storia politica americana. Walter Isaacson ripercorre i suoi primi passi: “Kissinger, come ha ricordato in seguito lui stesso, aveva cominciato ad approvare l’ordine dopo che la sua famiglia era fuggita dalla Germania di Hitler nel 1938 ed era giunta a New York, dov’egli si rese conto che non aveva più bisogno di attraversare la strada per evitare di essere malmenato da ragazzi non ebrei”. “Il problema più importante per la politica – ha scritto nella sua tesi di dottorato – non è quello di reprimere gli impulsi malvagi ma di tenere a freno la sete di giustizia”.

Rachel Silvera twitter @rsilveramoked

(31 ottobre 2014)