Israele, un nuovo orizzonte politico

NL 141212 - Enrico Mentana-Daniele Nahum-Ben Dror Yemini-Lia Quartapelle - Milano - spazio openNessuno può prevedere cosa accadrà il prossimo 17 marzo, quando milioni di israeliani saranno chiamati alle urne per scegliere chi guiderà il paese nella prossima legislatura. Saranno però elezioni diverse dal passato, afferma l’analista israeliano Ben Dror Yemini, perché diverso è l’orizzonte politico del paese. Nuove coalizioni hanno fatto capolino (la sinistra laburista di Isaac Herzog con i centristi di Tzipi Livni) così come nuovi partiti (quello dell’ex uomo del Likud Moshe Kahlon) mentre altri sembrano proporsi in modo diverso rispetto al passato (Avigdor Lieberman e il suo Israel Beitenu nella fattispecie). Tutto questo inciderà, continua Yemini, anche sul rapporto con i palestinesi e si potrebbero profilare novità sul fronte del negoziato. E intanto l’Europa vuole proporsi come possibile rifermento tra le due parti ma serve più coraggio e determinazione, sottolinea Lia Quartapelle, deputata Pd della Commissione Esteri della Camera. L’Italia e i paesi europei devono chiedere a Israele di fare passi importanti sul fronte dei negoziati in virtù dell’amicizia che li lega, la posizione del direttore del TgLa7 Enrico Mentana. Le richieste sono indirizzate a Israele, continua il direttore, perché unica democrazia del Medio Oriente e perché la controparte manca di credibilità. Un breve riassunto per ricapitolare i punti salienti toccati ieri sera nel partecipato dibattito moderato da Daniele Nahum, responsabile Cultura Pd della sezione milanese, allo spazio Open di Milano. Yemini, autorevole firma di Maariv e Yedioth Ahronoth, il direttore Mentana e la deputata Quartapelle si sono infatti confrontati sui temi caldi della politica israeliana. Con un assunto condiviso: la demonizzazione delle parti, in particolare di Israele non può giovare a nessuno e fomenta solo gli estremismi.
In apertura, Yemini ha ricordato come Israele abbia più volte teso la mano ai palestinesi, ricevendo un no come risposta: nel 2001 con gli accordi di Camp David così come nel 2008 con l’offerta dell’allora premier israeliano Ehud Olmert. Un episodio, secondo Yemini, è significativo per capire l’evoluzione degli ultimi decenni della questione palestinese. “Prima di entrare da Clinton per firmare l’accordo del 2001 – racconta Yemini – l’ambasciatore saudita si avvicinò Arafat e gli disse che i paesi arabi moderati (Arabia Saudita, Egitto, Marocco, Giordania) erano con lui. ‘Vai e firma l’accordo. Non trovare scuse. Ma se non firmi sappi una cosa: non sarà un errore, sarà un crimine’, lo avvisò l’ambasciatore e questo spiega perché non c’è una pace”. Yemini si è soffermato anche sulla figura dell’attuale leader dell’Autorità nazionale palestinese, Mahmoud Abbas, che nel 2008 disse no ad Olmert nonostante la proposta israeliana prevedeva il ritiro dal 93% dei territori. “Abbas voleva e vuole il diritto di ritorno per i rifugiati palestinesi”, ha affermato Yemini “ma questo è impossibile perché vuol dire la distruzione di fatto di Israele, per cui nessun partito di governo israeliano accetterà mai questa proposta”. E sulle prospettive per la formazione di un nuovo esecutivo, l’editorialista di Yedioth Ahronoth, afferma che se dovessero vincere i laburisti assieme a Livni, “la proposta rimarrà quella di Clinton (secondo i dati dell’analista, il 70% degli israeliani appoggia la soluzione) perché da lì non ci si muove ma diranno anche no agli insediamenti e potrebbero prendere decisioni unilaterali se Abbas continuerà a mettere sul tavolo la questioni dei rifugiati”. Poi un inciso, “sapete quanti rifugiati ci sono nel mondo? Cinquantadue milioni e nessun paese ha mai accettato una proposta simile a quella palestinese”.

Daniel Reichel

(12 dicembre 2014)