Periscopio – Prospettive

lucreziUn ‘periscopio’ destinato ad apparire il 31 dicembre non può, come vuole la tradizione, non essere dedicato a un consuntivo dell’anno trascorso, e alle prospettive per quello che va a iniziare. Ma è un compito, quest’anno, alquanto amaro, perché, nonostante ogni sforzo, il quadro volge decisamente al pessimismo.

Una domanda preliminare da porsi è quella se il consuntivo e le prospettive dovrebbero riguardare specificamente la situazione mediorientale, oppure la condizione degli ebrei e dell’ebraismo nel mondo o, ancora più in generale, il mondo nel suo complesso. Le tre cose, certamente, sono collegate: gli ebrei, storicamente, sono sempre stati i primi a fare le spese delle congiunture di crisi economica, dell’aumento della povertà, della diffusione del fanatismo, dell’intolleranza, della violenza, ed è certo difficile – insegna la storia – che, quando gli ebrei soffrono per queste realtà, non ne soffrano anche altri. Ed è di assoluta evidenza, inoltre, come l’incremento o il calo, a livello mondiale, del razzismo e dell’antisemitismo si ripercuotano direttamente sul benessere di Israele, naturale cartina di tornasole per tali fenomeni.

È anche vero, però, che questo collegamento non appare sempre così immediato: la distruzione del Tempio, nel 70 d.C., e la successiva repressione dell’insurrezione di Bar Kochba avvennero nel momento in cui l’impero romano conosceva la sua stagione di massimo fulgore – sul piano economico, politico, culturale – ricordata da Edward Gibbon come il periodo “più felice nella storia dell’umanità”; e il 1492 è ricordato, nei libri di storia, come la data della scoperta del Nuovo Mondo, piuttosto che come l’inizio del secondo esilio del popolo mosaico. Negli anni della Shoah, inoltre, mentre gli ebrei di Europa andavano incontro al loro destino, quelli d’America proseguivano nella loro strada di affermazione sociale, e a cadere furono soltanto i – pur non pochi – giovani militari israeliti caduti, in terra europea, nelle file degli eserciti alleati.

Dovendo tracciare consuntivo e prospettive per i tre soggetti in questione – Israele, ebraismo, mondo -, bilancio e previsioni appaiono, su tutti e tre i fronti, ugualmente negativi. Israele, costantemente nel mirino dei suoi nemici, pare sempre più isolato sul piano internazionale, e l’esponenziale incremento dell’antisemitismo, e degli attacchi terroristici antiebraici, a livello mondiale, è sotto gli occhi di tutti, nonostante la sistematica sottovalutazione dei mass media. E, per quanto riguarda lo stato generale del pianeta, mi pare che, mentre non si vede ancora una sicura via d’uscita dalla recessione economica, le relazioni tra le grandi potenze stiano tornando a livelli di guerra fredda, mentre sinistre armate dalla bandiera nera seminano morte e fanno sempre nuovi seguaci, l’attenzione ai diritti umani è in caduta libera, e ormai la gente pare abituata a tutto, anche agli sgozzamenti filmati e trasmessi in mondovisione.

Nonostante questo apparente parallelismo, però, la mia sensazione di fondo, e quella che più mi pare in grado di sintetizzare un giudizio sull’anno che sta per chiudersi, è quella di una profonda divaricazione tra i destini del mondo e quelli di Israele, nel senso di una progressiva, sempre più marcata differenziazione non tanto sul piano politico, quanto su quello – che dovrebbe, in teoria, essere preliminare, e più importante – della morale. Mai come in questo trascorso 2014, infatti, mi è sembrato difficile, arduo, faticoso, cercare di trovare un qualche punto di incontro tra i parametri etici generalmente usati per giudicare i comportamenti degli uomini e delle nazioni e quelli adoperati per valutare le vicende che coinvolgono la nazione ebraica, e il contesto in cui si trova a vivere. Mai come quest’anno parole come ‘responsabilità’, ‘ragione’, ‘torto’, ‘diritto’, ‘giustizia’ mi sono sembrate assumere, ciascuna di esse, due significati diversi, una per Israele, e un’altra per il resto del mondo, facendo sentire la necessità di due diversi trattati di etica, due differenti codici di diritto internazionale, due distinti dizionari. Facendo avvertire l’esigenza, più che di esperti di politica e diplomazia, di interpreti, traduttori, psicologi. Di specialisti in schizofrenia e altri fenomeni di scissione e disturbi della personalità. O, più semplicemente, di ipocrisia e cinismo.

Di fronte al pessimismo della ragione, non resta che quello che Gramsci definì l’ottimismo della volontà. Nel nuovo anno, ce ne sarà molto bisogno. Auguri.

Francesco Lucrezi, storico

(31 dicembre 2014)