Dopo Copenhagen – Il dibattito sull’Aliyah

.Continua il dibattito nel mondo ebraico rispetto all’invito del primo ministro Benjamin Netanyahu a agli ebrei europei fare l’Aliyah(“salita” in Israele), un invito rilanciato dopo i fatti di Copenhagen. Nota la posizione del rabbino capo di Danimarca Jair Melchior, che ha espresso il suo disappunto per le parole di Netanyahu e in un’intervista pubblicata oggi da Repubblica ribadisce il concetto: “È impensabile che uno si debba trasferire in Israele per paura. Nessuno ha il diritto di dirci e decidere dove dobbiamo andare: e mi riferisco ovviamente ai terroristi. Se decidi di ritornare in Israele deve essere per motivi religiosi, per il sionismo. Come hanno fatto per esempio i miei genitori. Sono tornati guidati dalla passione, dalla fede, dall’amore. Non per paura”. Fare l’Alyah seguendo esclusivamente la logica della paura, dichiarava ieri all’emittente radiofonica francese Rtl il presidente della Licra (Lega internazionale contro il razzismo e l’antisemitismo con sede a Parigi) Alain Jakubowicz, “è la cronaca di un fallimento”. Anche l’ex presidente di Israele Shimon Peres ha criticato negli scorsi giorni, seppur indirettamente, l’appello di Netanyahu. “Vorrei invitare ogni ebreo che vuole venire in Israele a farlo” ma “non voglio che questa diventi una posizione politica”. “Non emigrate in Israele a causa di una posizione politica – ha aggiunto l’ex presidente nel corso di un evento organizzato dal Times of Israel a New York – ma perché volete venire e viverci. Israele rimane una terra di speranza e non una terra di paura”. “Figuriamoci se qualcuno fa l’Aliyah perché glielo dice Netanyahu – sottolinea Sergio Della Pergola, intervistato oggi dal Giornale – Chi immigra lo fa perché si sente di farlo”. “Credo che avrebbe dovuto dire che Israele è pronta ad accoglierli (gli ebrei europei) a braccia aperte… Non credo si debba esortarli (a emigrare)”, la posizione di Abe Foxman, direttore dell’Anti-Defamation League, raccolta dalla Cnn in merito alle parole del primo ministro di Israele. Per Foxman Netanyahu e gli altri leader ebraici dovrebbero concentrarsi nel far sì che le democrazie europee si impegnino a garantire la sicurezza degli ebrei che vogliono continuare a vivere in Europa.
“Il terrorismo è un’ottima ragione per emigrare in Israele”, l’eloquente titolo dell’editoriale Shmuel Rosner sul Jewish Journal. Quanto accaduto in questi mesi in Europa (gli attentati di Parigi e Copenhagen) sono, per Rosner, “un duro monito rispetto al fatto che la questione della sicurezza degli ebrei – la nuda, brutale questione della sicurezza fisica degli ebrei – è ancora molto significativa”. E Israele rimane, nelle parole dell’editorialista del Jewish Journal, “una fortezza per gli ebrei”. Un concetto non dissimile da quello espresso da Fiamma Nirenstein sul Giornale (16 febbraio), in cui la giornalista afferma il suo scetticismo nei confronti dei leader europei (il presidente francese Fracois Hollande e il primo ministro danese Helle Thorning Smith ) rispetto alle azioni di contrasto al terrorismo islamico. “Si, ebrei, meglio andare a casa dove si dice terrorista al terrorista”, l’affondo della Nirenstein.

d.r.

(18 febbraio 2015)