La Carta di Milano

zevi“Noi donne e uomini, cittadini di questo pianeta, sottoscriviamo questo documento, denominato Carta di Milano (…) Consideriamo infatti una violazione della dignità umana il mancato accesso a cibo sano, sufficiente e nutriente, acqua pulita ed energia”.
Comincia così il documento politico e culturale che l’Expo di Milano offre al dibattito internazionale, alle istituzioni, agli opinion leader globali. Presentato due giorni prima dell’inaugurazione, il testo si rivolge a ogni cittadino, poi alle imprese, ai governi e agli organismi internazionali, e parte da alcuni dati oggettivamente scandalosi: 800 milioni di persone al mondo soffrono di fame cronica, due miliardi sono malnutrite, altri due sono obese e circa 160 milioni di bambini hanno problemi di crescita legati alla malnutrizione. In tutto ciò, ogni anno buttiamo in pattumiera 1,3 miliardi di tonnellate di cibo commestibile. Contraddizioni intollerabili, gigantesche, violente. Che permangono nonostante i grandi progressi che la comunità internazionale ha fatto negli ultimi 15 anni, nell’epoca degli Obiettivi del Millennio, che scadono quest’anno e che verranno ridefiniti nei prossimi mesi.
Il merito principale di questa impresa è di affermare politicamente (e giuridicamente) il diritto al cibo, inteso non solo come nutrizione ma anche come nutrizione consapevole, sana e rispettosa dell’ambiente. L’approccio di questa petizione, frutto di un lungo negoziato tra molti soggetti (tradottosi in effetti in una sintesi troppo prolissa), è ciò che si dice olistico: mira cioè ad affrontare sistematicamente tutte le questioni connesse al cibo, trattandosi effettivamente di una filiera economica e sociale. Si menziona dunque il rispetto della terra e del mare, la valorizzazione del ruolo delle donne, i diritti dei lavoratori dell’agroalimentare e il benessere degli animali, l’accesso all’energia e l’educazione al mangiare bene. Ovviamente, questo approccio ha il vantaggio di coinvolgere ognuno di noi, sul proprio versante, attorno a una sfida cruciale, e al tempo stesso rischia di rendere l’impegno generico, difficilmente misurabile, slegato da responsabilità specifiche. È anche un’affermazione di principi, e ognuno di noi può e deve firmarla (anche online).
Tra questi ideali ce ne sono un paio a cui sono personalmente legato: la concezione ebraica del mondo concesso in prestito all’Uomo che deve preservarlo e la responsabilità verso le generazioni future, cara ad Hans Jonas, che devono avere l’opportunità di nutrirsi nelle condizioni che abbiamo avuto noialtri. Sono idee grandi, difficili da mettere in pratica, che cozzano contro interessi forti e altrettanto pericolose inefficienze, ma sono sfide cruciali. Che partono da noi. Da quando andiamo al supermercato a quando rifiutiamo prodotti poco salubri a quando ci ricordiamo di finire la maionese prima che scada.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas twitter @tobiazevi

(5 maggio 2015)