…Shylock

Può un eminente studioso ebreo di Shakespeare sentirsi di dover rispondere della caparbia cattiveria di Shylock? Sembrerà impossibile, ma sì, lo può.
È la triste sensazione lasciata da un intervento veneziano dell’autorevole professor James Shapiro (Columbia University) su ‘Shakespeare e gli ebrei’, un argomento su cui lo studioso americano ha scritto vent’anni fa un importante libro che è punto di riferimento prezioso per ogni studioso del campo.
Eppure, dopo aver considerato situazione e vicende dei pochi ebrei conversos e marrani nell’Inghilterra del Cinquecento e gli stereotipi che hanno segnato la storia, la discriminazione e le persecuzioni di cui gli ebrei sono stati oggetto nei secoli, James Shapiro conclude la sua conferenza attualizzando la figura di Shylock e confessa, con una certa imbarazzata emozione, che oggi, al suo libro, aggiungerebbe qualcosa, perché oggi lui sa che anche Shylock, l’ebreo vittimizzato, può trasformarsi in carnefice e fare del male agli altri, gentili o ebrei che siano, esattamente come ha fatto l’estremista Baruch Kopel Goldstein a Hevron nel 1994, uccidendo 29 palestinesi e ferendone altri 125.
Goldstein: suo connazionale americano ed ebreo, suo quasi coetaneo, come lui di Brooklyn, con percorsi di studio vicini, poi – per fortuna del professor Shapiro – separatisi al bivio della disumanità. Goldstein ha scelto lo stragismo, il professor Shapiro ha scelto la ricerca. Il pubblico gradisce la confessione del professor Shapiro, dell’ebreo che finalmente fa ammenda per i crimini commessi dal suo barbaro fratello Goldstein e applaude la conclusione illuminata, umiliata e umiliante, della conferenza. L’effetto è straordinario. Anche per me, in un certo senso, perché il libro del professor Shapiro mi è piaciuto molto a suo tempo, un po’ meno i suoi sforzi successivi a difesa dell’identità di Shakespeare, non altrettanto convincenti.
Ma ora, grazie a lui, mi rendo conto che quando un ebreo, professore, parla di un argomento di quattrocento anni fa deve attualizzarlo e confrontarsi con il male di oggi, e deve dissociarsi dalle azioni di Goldstein e di Yigal Amir, assassino di Itzchak Rabin; a scanso di equivoci. E ho capito allora che Goldstein e Amir rischiano di compensare (o giustificare retroattivamente?) le angherie subite da Shylock e, perché no?, da tutti i suoi contemporanei ebrei. E quindi è opportuno dissociarsi. Certamente il professor Shapiro è stato malamente frainteso. Non voleva certo dire questo. Ma l’ha detto. E il pubblico ha applaudito gratificato da questo strano mea culpa di uno studioso, altrimenti, di tutto rispetto.
Ci sono ebrei, dunque, che non odiano affatto se stessi, ma si vergognano un po’ di qualche loro simile, come accade del resto a tutti gli esseri umani in giro per il mondo. Ma l’ebreo deve giustificarsi. Anche quando non glielo chiede nessuno, anche quando sta parlando di un argomento che non c’entra proprio nulla. Ma, evidentemente, quando si affronta l’antisemitismo, anche in letteratura, si sente di dover mettere le mani avanti, per dire che, lo sappiamo, anche in Israele, oggi… È politically correct, e va fatto. Il pubblico è contento, e applaude più volentieri. L’ebreo esce con l’amaro in bocca, umiliato dall’umiliazione a cui il suo autorevole simile e insigne collega si è inutilmente sottoposto. E il grande mito di Shylock ha mietuto la sua ennesima vittima.

Dario Calimani, anglista

(7 luglio 2015)