Tandem, il mondo di Eva e Alberto in mostra

IMG_20150320_102649Le biciclette sono la passione di sempre. Le ha disegnate, ha dato loro fisicità, le ha proiettate in dimensioni sempre nuove e creative. Sui pedali, ventenne, ha dato il proprio contributo alla Resistenza contro il nazifascismo. Nota anche come l’ultima rappresentante della scuola romana del dopoguerra, la pittrice Eva Fischer, classe 1920, è una delle più apprezzate artiste contemporanee. Difficile tenere il conto delle mostre e delle personali di cui è stata protagonista in oltre 70 anni di carriera tra Roma, Parigi, Londra, Madrid. Ma quest’ultima – Tandem, ospitata nei locali dell’Accademia d’Ungheria fino a domenica 3 maggio – ha un sapore tutto speciale. Racchiude infatti il sogno di Eva e di suo marito Alberto Baumann, eclettico scrittore e poeta scomparso lo scorso autunno: presentarsi insieme sulla scena, raccogliere insieme l’applauso del pubblico.
L’omaggio a questa coppia straordinaria della Roma ebraica ha così una sfumatura malinconica. Ma brilla comunque la stella di un’unione – non solo amorosa – che ha segnato la vita culturale di quegli anni. Il figlio Alan ci accoglie nell’appartamento di famiglia, a Trastevere, dove è tornato a vivere accanto alla madre. Centinaia di tele, dipinti e sculture. Libri e testimonianze ovunque. È una casa che “parla”. Impossibile non farsi contagiare, impossibile non tornare con la mente al passato. Ma senza cedere alla tristezza perché, racconta Alan, “mio padre non avrebbe voluto”.

In questo salotto è transitato un certo tipo di Roma: gli artisti, gli scrittori, l’elite intellettuale. Un’atmosfera irripetibile. Cosa ricordi di quell’epoca?
È tutto nella mia testa. I personaggi, gli incontri. Sommi poeti come Alfonso Gatto, musicisti come Ennio Morricone, scrittori come Guglielmo Petroni e Carlo Levi, artisti come Renato Guttuso, Emilio Greco, Giacomo Manzù e Mino Maccari. Sul valore di questa stanza e su quello che ha significato nella vita della famiglia Baumann-Fischer non posso prescindere da un’altra annotazione: i miei genitori, pur amandosi alla follia, dormivano in due stanze diverse perché papà fumava e mia madre non riusciva proprio a sopportarlo. Il salotto diventava quindi un luogo di confronto quotidiano dove, dall’incontro tra due menti così estrose, nascevano memorabili discussioni culturali. Due matti, due matti felici.

Perché ‘Tandem’? Cosa rappresenta questa mostra nel loro percorso di vita?
Si è deciso di chiamarla Tandem perché il loro sodalizio è fatto anche di tante pedalate. E l’immagine simbolo della mostra sta a dimostrarlo: i due freschi sposini, sorridenti in bicicletta, pronti a lanciarsi per le strade del centro storico insieme al fratello di Eva, Roberto, e a sua moglie Ziva. Sono passati pochi minuti dalla cerimonia e l’allegra comitiva, partita dal Campidoglio, raccoglie su di sé la curiosità dei passanti. Un modo insolito per festeggiare la promessa di un amore eterno. Sicuramente un momento di rara bellezza e poesia.

C’è tanta nostalgia nel tuo sguardo. Quanto senti la mancanza di tuo padre?
Moltissimo, ma mi sforzo di essere positivo: papà era un toscanaccio (anche se d’adozione) e non avrebbe mai voluto che mi incupissi. Ricordo ad esempio dei siparietti indimenticabili con il suo amico Elio Toaff. L’intellettuale e il rabbino: la stessa regione, lo stesso amore per la vita, la stessa voglia di scherzare. Parlavano in livornese, e quante barzellette. Sono momenti che porto nel cuore. E sempre con il sorriso riscopro oggi la sua libreria. Me l’aveva sempre detto il babbo: ‘Un giorno, quando non ci sarò più, sfoglia i miei libri. Ti divertirai’. Sì, perché su ogni volume papà apponeva la propria firma, annotava la data in cui l’aveva comprato, tornava una nuova volta con la matita se gli capitava di rileggerlo. Ogni giorno è una riscoperta, un modo nuovo di guardare a una figura che resterà sempre al mio fianco.

Quali sono le emozioni di tua madre verso questa mostra?
Fortissime, d’altronde non poteva andare diversamente. Per mia madre ogni dipinto è come un figlio e ogni mostra viene vissuta come la prima. Questa ha però qualcosa in più, è naturale: era il loro sogno, avevano iniziato a lavorarci assieme dal marzo del 2014. Trovo comunque ammirevole la modestia con cui mia madre si approccia ogni volta al pubblico, come fosse un’artista agli inizi e non una pittrice di fama con opere sparse in tutto il mondo. Il che non fa che acuire il disagio per il trattamento riservatole da alcuni.

A quali situazioni ti riferisci?
Al fatto, ad esempio, che le vetrate che realizzò per il Museo ebraico nei primi anni Ottanta sono oggi nascoste alla vista, quasi come un oggetto fastidioso di cui liberarsi. Eppure si tratta di opere commissionate con la benedizione di un certo Chagall e realizzate senza alcuna finalità se non quella di mettersi al servizio della Comunità. Per questo mi auguro che qualcuno, nell’Italia ebraica, possa farsi avanti perché quelle vetrate trovino una dignitosa collocazione altrove.

Adam Smulevich, Italia Ebraica aprile 2015 twitter @asmulevichmoked

(26 marzo 2015)