Qui Roma – Due amici che tornano a casa

mostra vaticano “Questa mostra racconta la storia di due amici che oggi simbolicamente, dopo che la vita li ha condotti in giro per il mondo, perdendosi e ritrovandosi, tornano insieme a casa”. Il rav Abie I. Ingber annuncia così quale sarà la prossima tappa della mostra “Papa Giovanni Paolo II e il popolo ebraico”, di cui è uno dei curatori: sarà proprio la città di Cracovia a ospitarla, stavolta permanentemente, nel Centro San Giovanni Paolo II a cui è stata donata, dopo i passaggi in molte città statunitensi e poi in Vaticano, dove si è ora chiusa. A tornare a casa sono proprio il pontefice e il suo amico di una vita Jerzy Kluger, un ebreo proveniente come lui dalla città di Wadowice, a pochi chilometri da Cracovia, che fu sempre un grande punto di riferimento per Giovanni Paolo II. A fare un bilancio dei due mesi di apertura al pubblico nel Braccio di Carlo Magno sono stati lo stesso Ingber, direttore del Center for Interfaith Community Engagement della Xavier University di Cincinnati, e gli altri due curatori James Buchanan, direttore del Brueggeman Center for Dialogue nello stesso ateneo, e William Madges, professore di teologia, insieme al rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni e al cardinale Kurt Koch, presidente della Commissione per le relazioni religiose con gli ebrei.
“Nessuno può dimenticare l’immagine di Giovanni Paolo II che entra in sinagoga a Roma, o che prega davanti al Muro del Pianto, si tratta di qualcosa che parla alle persone”, ha affermato il rav Di Segni nel ricordare alcuni dei momenti più significativi del rapporto di Karol Wojtyła con gli ebrei nella sua carriera di papa, durante la quale, ha osservato Madges, uno dei messaggi più forti da lui lanciati fu quello che “gli ebrei sono come dei fratelli maggiori per i cristiani”. “Tra le tante cose che possono essere dette di questo papa, che compì anche scelte molto coraggiose fin dall’inizio della sua carriera – ha quindi aggiunto il rav – certamente una delle più importanti è il fatto che sia stato in grado di trasformare la teologia in messaggi concreti e fruibili”.
Ma la mostra, arrivata in Vaticano a fine luglio, con la fotografia dell’allora rabbino capo di Roma Elio Toaff mentre accoglie Wojtyła che appare grande tra le colonne di piazza San Pietro, ripercorre tutte le fasi dell’evoluzione di un rapporto da sempre votato all’apertura, partendo fin dall’infanzia fino ad arrivare al pontificato. Il fatto che la mostra parta proprio dall’infanzia, ha sottolineato Buchanan, “serve a comprendere che dobbiamo sempre chiederci cosa insegniamo ai nostri figli, e che se insegniamo loro il rispetto questo è quello che rimarrà”.
In particolare, la mostra racconta dell’amicizia di una vita di Wojtyła con Jerzy Kluger, che perse la sua famiglia nei campi di sterminio nazisti e dopo varie peripezie dopo la guerra giunse a Roma. Fu lì che ritrovò Wojtyła quasi per caso, e da allora divenne un suo consigliere inseparabile. Ingber, che ha condotto tutte le interviste con Kluger, ripercorrendo insieme a Pagine Ebraiche la storia incredibile della loro amicizia, ha raccontato la commozione nello scoprire gli aneddoti e allo stesso tempo la profondità di quel rapporto, fondato sul dialogo e sulla volontà di imparare l’uno dall’altro. Ad esempio, ha ricordato di quando Kluger apprese dell’elezione a pontefice del suo amico mentre era dal dentista (per l’incredulità di quest’ultimo). Oppure che la donna che si era presa cura di Wojtyła nella sua infanzia, quando seppe da lui che Kluger era sopravvissuto, tirò fuori un libro di preghiere affidatole da sua nonna perché gli fosse finalmente riconsegnato.
“Kluger era una persona straordinaria – ha quindi affermato Ingber – e raccontare la sua storia è importante per insegnare che si possono fare grandi cose anche senza diventare un papa”.

Francesca Matalon twitter @fmatalonmoked

(Nell’immagine, da sinistra: James Buchanan, direttore del Brueggeman Center for Dialogue della Xavier University, William Madges, professore di teologia, il cardinale Kurt Koch, presidente della Commissione per le relazioni religiose con gli ebrei, il rav Abie I. Ingber, direttore del Center for Interfaith Community Engagement della Xavier University, e il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni).

(18 settembre 2015)