Onu – I palestinesi e gli accordi di Oslo
La bomba inesplosa di Mahmoud Abbas

mahmoud abbasIn attesa del discorso del premier israeliano Benjamin Netanyahu, analisti e media internazionali si sono concentrati sulla “bomba”, come lui stesso l’aveva definita, lanciata dal leader palestinese Mahmoud Abbas nel suo intervento all’Onu. Parlando di fronte all’Assemblea delle Nazioni Unite a New York, Abbas ha dichiarato che i palestinesi non sono più vincolati agli Accordi di Oslo siglati con Israele (Oslo I nel 1993, Oslo II nel 1995), accusando quest’ultimo di averli continuamente violati. Affermazioni stigmatizzate dal governo israeliano e di cui in realtà non si capiscono gli effetti. “Mentre l’annuncio suona grave, i suoi effetti pratici non sono immediatamente chiari”, il commento del New York Times che riassume le perplessità di molti opinionisti rispetto al discorso del presidente dell’Autorità nazionale palestinese. È stata veramente una bomba? L’interrogativo che accomuna diversi editoriali apparsi sulla stampa israeliana ed estera.
Per Jack Khoury, giornalista di Haaretz, l’annuncio di Abbas (anche noto come Abu Mazen) è un tentativo di guadagnare tempo sul fronte dei negoziati e soprattuto di ottenere maggiore sostegno internazionale. I riflettori si sono oramai spostati dalla causa palestinese come dimostra il discorso tenuto lunedì da Barack Obama all’Onu: di fronte ai potenti del mondo, il presidente Usa non ha mai citato il tema della questione israelo-palestinese. Per riprendere l’attenzione perduta, Abbas ha quindi fatto un mezzo annuncio perché, sottolinea Khoury, non è andato fino in fondo, ad esempio annunciando lo scioglimento dell’Autorità palestinese o le sue dimissioni dalla presidenza ma un generico annuncio di un disimpegno dagli accordi di Oslo, la base dei negoziati per la soluzione dei due Stati.
Secondo Khaled Abu Toameh, giornalista araboisraeliano del Jerusalem Post, non sembra che la bomba di Abbas possa provocare “un danno reale. È una bomba realizzata su di una minaccia già fatta in precedenza dallo stesso Abbas e da altri funzionari palestinesi”. Siamo di fronte a un condizionale, a un’ipotesi, scrive Toameh, e non all’abrogazione di Oslo o di altri accordi con Israele. Non c’è, come scritto da Khoury, la decisione di sciogliere l’Autorità palestinese (che da lavoro a oltre 150mila persone) e quindi di dare in mano a Israele la gestione di tutti i territori con la veste di forza occupante. “Non ha nemmeno sospeso il coordinamento di sicurezza con Israele – rimarca Toameh – senza il quale l’Anp non sarebbe in grado di sopravvivere in Cisgiordania”. La cooperazione nella West Bank serve infatti sia a Gerusalemme sia a Ramallah: per Israele è finalizzata a smantellare eventuali cellule terroristiche, al presidente dell’Anp serve per tenere sotto controllo il movimento terroristico di Hamas, che nel 2005 gli aveva già sfilato il controllo della Striscia di Gaza. “In breve, Abu Mazen non ha chiuso tutte le porte a Israele. Ha messo la pistola sul tavolo invece di sparare. Il suo è un messaggio a Israele e al resto del mondo: la prossima volta non esiterò a usare la pistola se non ottengo tutto quello che voglio”, l’interpretazione del giornalista del Jerusalem Post. Ma cosa vuole Abbas? Vuole concessioni importanti da Israele, ovvero, scrive l’analista di Yedioth Ahronoth Ron Ben Yishai, la fine della costruzione degli insediamenti in Cisgiordania e la liberazione di 30 prigionieri palestinesi, in carcere dai tempi degli Accordi di Oslo. Questo per dare un segnale sul fronte interno, dove la sua popolarità è sempre più in crisi: secondo un sondaggio di un Istituto di ricerca palestinese, il 65 per cento degli intervistati in Cisgiordania e a Gaza vuole le dimissioni del presidente dell’Anp. Ottenere la fine della costruzione degli insediamenti e il rilascio di quei prigionieri potrebbe cambiare questa statistica.
Sul fronte esterno, secondo Ben Yishai il discorso di Abbas all’Onu era finalizzato ad ottenere dalla Comunità internazionale la creazione dello Stato palestinese senza dover negoziare o scendere a compromessi con Israele. “Tutte le sue grida di disperazione, per lo più giustificate, sono dirette a chiarire alla comunità internazionale il perché lui sia impotente, perché le Nazioni Unite dovrebbero proteggere i palestinesi, e perché non riesce a raggiungere un accordo con Israele attraverso i negoziati. Tutto qui. – scrive l’analista di Yedioth Ahronoth – Dopo tutto questo, uno può onestamente capire perché Abbas abbia intrapreso la via internazionale per raggiungere lo Stato palestinese”. Per Ben Yishai, il leader palestinese sta giocando bene le sue carte sul fronte dell’opinione pubblica internazionale. “Israele, d’altra parte, in particolare con gli ultimi due governi Netanyahu, sta facendo ogni possibile errore – il commento del giornalista israeliano – Gli (ad Abbas, ndr) stiamo permettendo di essere il “Cosacco derubato” (un uomo che ruba ma si lamenta di essere stato quello derubato) e lo sta usando. È difficile condannarlo per questo”.

Daniel Reichel @dreichemoked

(1 ottobre 2015)