Qui Parigi – Prix Femina
Boltanski: “La mia famiglia
e una casa per la Memoria

Paris: Femina Award 2015 Quella della famiglia Boltanski è “la storia di un confinamento, di una famiglia che vive – non reclusa – ma coesa in un appartamento, i cui legami sono cementati dalla paura ma che cerca anche di ricreare il suo mondo, un mondo in cui ci sono anche degli elementi di libertà e di gioia”. Così la racconta Christophe Boltanski, giornalista, nel suo primo romanzo: “La cache (che in italiano significa “il nascondiglio”), volume pubblicato da Stock cui è stato attribuito ieri il Prix Femina, lo storico premio letterario francese assegnato ogni anno da una giuria esclusivamente al femminile.
Il nascondiglio è quella stanza letteralmente tra le mura di casa grazie alla quale si salvò suo nonno, medico ebreo perseguitato durante la Seconda guerra mondiale. Le tre generazioni che lo hanno accompagnato e poi seguito, portatrici ancora dei segni della vita in quella casa, sono tutte legate agli ambienti dell’élite culturale francese, così come la figura di Claude Lévi-Strauss, illustre antropologo, psicologo e politologo la cui dettagliatissima biografia “Lévi-Strauss” (Flammarion) scritta dalla storica Emmanuelle Loyer ha ottenuto il riconoscimento per la saggistica.
Le vicende de La cache, e quindi della storia personale di Boltanski, sono ambientate tutte nelle stanze di quell’appartamento in rue de Grenelle a Parigi, nel settimo arrondissement, quartiere raffinato nel cuore della vita intellettuale e artistica francese. Ma si tratta di un universo chiuso, protetto fortificato, in un palazzo senza troppo lusso, eccentrico, un po’ decrepito, la descrizione di ognuno dei cui locali corrisponde a un capitolo del romanzo, costituendone la struttura. Il nascondiglio che dà il titolo al libro arriva solo alla fine, è una piccola stanzetta alta un metro e venti che non avrebbe mai dovuto esistere, incastrata tra le altre parti della casa. Il nonno paterno di Christophe, Etienne Boltanski, radiato in quanto ebreo dall’ordine dei medici dall’amministrazione collaborazionista, vi si nascose tra il 1942 e il 1944, senza uscirne mai se non la notte, quando non c’era nessuno. La decisione si sparire fu presa dopo che un vicino minacciò di denunciarlo come ebreo a causa del suo gatto, che era entrato in casa sua turbandone la pulizia. In risposta Etienne uccise il gatto, divorziò ufficialmente dalla moglie per preservare la famiglia, e poi si dissolse nel nulla. Dove fosse lo sapeva solo la moglie, e forse lo zio architetto che aveva tirato fuori quel pertugio, persino i suoi figli ignoravano che fosse lì. Uno, Christian, nacque però poco dopo quel periodo, nel 1944.
Oggi Christian Boltanski, zio di Christophe, è un artista, fotografo e regista famoso. Poi ci sono il padre Luc, sociologo e poeta, l’altro zio Jean-Elie, linguista, e sua nonna Myriam, che scriveva romanzi sotto lo pseudonimo di Annie Lauran, a cui Christophe ha dedicato la vittoria del premio. Sono loro i protagonisti del milieu intellettuale francese ma soprattutto de La cache, e uno dei ruoli più importanti lo ha proprio la nonna, la grand-mère che si faceva chiamare Mère-Grand, che in gioventù si era ammalata di poliomelite ma nonostante le stampelle era lei che teneva insieme quello strano ambiente domestico e familiare. “Per mettere un po’ di chiarezza nel vertiginoso bric-à-brac identitario da cui proviene, Christophe ha fatto il suo mestiere, il giornalista: ha interrogato i suoi parenti, grattato nei suoi ricordi d’infanzia, cercato nelle tracce dei suoi antenati ebrei esuli da Odessa, messo giù l’inventario dell’appartamento parigino dove la sua famiglia aveva vissuto come in un falansterio”, scrivono i suoi colleghi sul giornale francese L’Obs, di cui Boltanski è reporter. Nato nel 1962, prima ha lavorato per Libération, per cui è stato corrispondente dalla Guerra del Golfo e poi da Gerusalemme e da Londra.
Indimenticabile la figura dell’altro libro vincitore del Prix Femina, istituito nel 1904 da 22 scrittori della rivista La Vie heureuse, oggi conosciuta appunto come Femina e il cui vincitore viene annunciato ogni anno a novembre all’hôtel de Crillon. Si tratta di Claude Lévi-Strauss, e l’opera di Loyer costituisce per Le Monde “la prima vera biografia di uno dei più grandi intellettuali del XX secolo”. Un’opera per la quale “serviva coraggio”. La storica ha passato in rassegna tutte le fonti disponibili, tra cui alcune inedite, per presentare un ritratto accurato e completo di un uomo che visse un secolo, dal 1908 al 2009, e che dopo essere fuggito dalla Francia alla volta dell’America all’epoca delle persecuzioni antiebraiche vi ritornò in seguito per essere ricoperto di tutti gli onori che meritava.
Come miglior romanzo straniero ha infine ottenuto il Prix Femina l’autrice scozzese Kerry Hudson per il suo romanzo Sete, in Italia edito da Minimum Fax.

Francesca Matalon twitter @fmatalonmoked

(5 novembre 2015)