Parigi, l’anno del coraggio

dossierA pochi giorni dai drammatici fatti di Parigi il giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche pubblica sul numero di dicembre prossimamente in distribuzione un ampio dossier (curato da Ada Treves) e vari servizi. Dal racconto del giornalista israeliano inviato nelle viscere di Daesh alla testimonianza dei giovani medici italiani in servizio negli ospedali della Capitale francese. E ancora le analisi di Ilan Greilsammer, Philippe Ridet, Gérard Haddad, Alain Finkielkraut, Georges Bensoussan. Da Charlie al Bataclan molte pagine per raccontare la ferita d’Europa e la riscossa della libertà.
“Mai come oggi, in questi giorni di minaccia e di paura, ma anche di risveglio degli ideali di libertà e di orgoglio identitario, vogliamo ascoltare e pronunciare chiare parole. Ecco la nostra istanza di ebrei italiani, di cittadini, di giornalisti” scrive il direttore Guido Vitale nell’editoriale che apre le pagine di “Parigi, l’anno del coraggio”.

“Forse è vero che l’Europa si sta svegliando. Ma la domanda è come e per fare cosa” si chiede Itai Anghel, giornalista di Arutz 2, il secondo canale della televisione israeliana. Un mese fa era a Kobane, città curda nel nord della Siria divenuta uno dei simboli della lotta, ma anche della devastazione, portata dall’Isis, per uno straordinario documentario che andrà in onda nei prossimi mesi. 

Libertà, sicurezza. C’è un bivio da affrontare e non è più possibile restare indifferenti. Parola dello storico israeliano Ilan Greilsammer. Parlando con Pagine Ebraiche, il professore pone la questione in questi termini: “Da una parte le nazioni democratiche coinvolte si trovano davanti a decisioni che possono danneggiare i loro valori fondamentali e i diritti dei loro cittadini e si chiedono se, una volta introdotti provvedimenti restrittivi, sia possibile tornare indietro al punto di partenza; dall’altra, è chiaro a tutti come ci si trovi in una situazione di guerra e al nemico, in questo caso il fondamentalismo islamico dell’Isis, bisogna rispondere”.

“Nella vita, come sappiamo, ci sono diversi modi di affrontare un lutto: c’è chi piange, c’è chi resta apparentemente imperturbabile, c’è chi crolla magari qualche settimana dopo. Uno standard che possiamo applicare a questa nuova situazione, anche se adesso non parliamo più di fatti individuali ma di traumi che riguardano una intera collettività. La sensazione – ci confida Philippe Ridet, corrisponde in Italia di Le Monde – è che gli psicologi francesi avranno molto materiale su cui lavorare”.

I fratelli fiorentini Gadiel e Jael Liscia non sono testimoni diretti dei drammatici fatti che hanno sconvolto Parigi, ma davanti ai loro occhi continuano a scorrere incubi, speranze, incertezze della città ferita. Sotto i ferri di Gadiel sono infatti passati due feriti, uno dei quali in condizioni critiche. La struttura in cui lavora Jael si trova in un quartiere dove la quasi totalità degli abitanti è di fede islamica e dove certi argomenti possono diventare incendiari. “Dopo i fatti di gennaio, e dopo l’ultima ondata di attacchi, la domanda mi viene posta sempre più spesso: è questo il posto giusto per te? È qui che vuoi costruirti un futuro? Al momento la risposta è sì. Perché la Francia – ci ha spiegato Gadiel – mi ha dato quello che da un punto di vista professionale non avrei mai potuto ottenere in Italia”.

Scrive in un editoriale il demografo Sergio Della Pergola: “Io credo che per onestà e dignità, dopo la strage di Parigi, i critici di Israele debbano prima di tutto esprimere chiaramente un pensiero su quanto avviene in questi ultimi anni all’interno delle società islamiche e nella dialettica fra mondo islamico e occidente. Solamente dopo potremo intavolare una discussione su come si possa rendere lo Stato d’Israele meno imperfetto, più giusto e più rilevante”.

“La storia delle pratiche di violenza, di possesso del corpo degli altri non sono mai solo storie che si spiegano con l’ideologia. Spesso sono storie che si fondano sugli interessi materiali. Dimenticarlo è un grande errore – afferma invece David Bidussa, storico sociale delle idee – perché significa regalare agli uomini di morte l’aura di attori che non hanno interessi materiali”. 

Mette l’accento sui rischi di angoscianti pericoli di ritorno il ricercatore Davide Assael: “Lo sappiamo, quando si apre la deriva xenofoba in Europa, l’ebreo ci rientra sempre perché è ancora ritenuto uno straniero, basta dare un’occhiata ai commenti sui social riferiti al truce accoltellamento di Milano. Commenti, va detto, di italianissimi cristiani. Lo sappiamo bene, non ci facciamo alcuna illusione. Ma, si dirà fra qualche anno, non c’era più tempo per i distinguo. In guerra non si fanno prigionieri”.

“Al terrore non c’è risposta migliore che andare avanti con le nostre vite come sempre o meglio”. A colloquio con Pagine Ebraiche proprio nelle ore in cui gli eventi erano nel corso del loro pieno svolgimento, dimostra di avere i nervi ancora saldi e di essere determinato a non cedere di fronte alla confusione Mendel Belinow, rabbino del centro Chabad di Saint Denis, il comune dell’Île-de-France dove si trova lo Stade de France, uno dei luoghi colpiti dagli attacchi terroristici degli ultimi giorni.

“Chi ha paura non è libero”. Lo ricorda il ministro Alfano, in una densa testimonianza in uscita con Mondadori che la redazione ha potuto visionare in anteprima. Il racconto in prima persona della minaccia rivolta dall’Islam integralista alle società libere e democratiche e dello sforzo che queste stanno assumendo o sono chiamate ad assumersi nella lotta al terrore. “Combattere contro la paura – scrive il ministro – significa combattere per la libertà. È il compito di tutti noi; è il compito della mia generazione”. 

“L’Europa e la Memoria. Le lancette sono sfasate” denuncia Alain Finkielkraut, sottolineando il rischio imminente di un declino dei valori occidentali. Come spiega lo storico Claudio Vercelli, alla base del pensiero dell’autore vi è una nota di profondo pessimismo, legato al declino del repubblicanesimo e alla crisi della laicità nel corpo delle società franco-europee. “Non di meno – ricorda Vercelli – tema ricorrente è l’antisemitismo come specchio rovesciato delle difficoltà in cui si trovano i paesi a sviluppo avanzato, dinanzi alle trasformazioni indotte dalla globalizzazione e dalle migrazioni”. 

I territori perduti della nazione non sono lande desolate, luoghi lontani dove la Repubblica e i suoi valori non sono mai arrivati. Quei territori perduti sono nel cuore della Francia, nel cuore delle città, delle strade e delle scuole. Sono le banlieue, le periferie abitate da una popolazione di immigrati musulmani, prevalentemente dai paesi del Maghreb, sempre più densa e sempre più restia a integrarsi. A definirle così è stato Georges Bensoussan, storico ebreo francese di origine marocchina, responsabile editoriale del Mémorial de la Shoah di Parigi e curatore nel 2002 del volume intitolato “Les Territoires perdus de la République”. Ancora oggi il suo dito è puntato sui politici “senza coraggio”.

Violenza, libertà d’espressione, satira, diritti. Da Charlie in poi appare fondamentale una riflessione approfondita su manovali della morte e sul pretesto della blasfemia. Una riflessione aiutata anche da alcuni testi in uscita, come il saggio “Blasfemia, diritti e libertà. Una discussione dopo le stragi di Parigi” (ed. Il Mulino) curato da Alberto Melloni, Francesca Cadeddu e Federica Meloni. 

Pagine per riflettere anche dagli studi di Gérard Haddad, noto psicanalista, allievo di Jacques Lacan e discepolo di Yeshayahou Leibowitz, i cui interventi (sia sul portale ebraico Akadem che su radio e televisioni nazionali) hanno un seguito notevole. Notevole anche la risonanza che sta avendo il suo ultimo libro, “Dans la main droite de Dieu: psychanalyse du fanatisme”, uscito a settembre per le edizioni Premier Parallèle. 

(25 novembre 2015)