…insegnamenti

Educare le giovani generazioni è un imperativo della tradizione ebraica. Nella liturgia dello Shemà (la preghiera fondamentale che si ripete quotidianamente) che si fa comandamento religioso, la trasmissione ai propri figli diviene elemento fondamentale e ineludibile. Cosa si deve insegnare? Di principio si insegna l’Amore per il “tuo” Dio (la personalizzazione qui è decisiva). Il mezzo per educare a questo amore è complesso: attraverso la ripetizione ai figli (veshinantam leVanecha) (la Mishnah, la ripetizione, diventa elemento costitutivo di questo processo). Attraverso l’atto concreto di ricordo con degli oggetti (i Tefillin e la Mezuzà). Attraverso la Profezia e il suo studio: tutto il secondo brano dello Shemà (tratto da Devarim-Deuteronomio 11, 13-21) è di fatto una Profezia: se seguirai questo amore, Dio benedirà il lavoro dell’uomo; ma se seguirai altri idoli allora “l’ira dell’Eterno si accenderà contro di voi” (di nuovo un rapporto molto diretto, ad personam) e si impedirà alla terra di dare i suoi frutti. E alla fine del terzo brano (Bemidbar-Numeri15, 37-41) l’Eterno ribadisce a Moshè queste indicazioni, aggiungendo un concetto che è evidentemente storico: “Io sono l’Eterno vostro Dio, che vi ho fatti uscire dalla terra d’Egitto per essere per voi Dio.” Vi ho tratti dalla schiavitù, ho fatto di voi uomini liberi per due motivi: perché voi mi amiate e perché Io voglio essere proprio il vostro Dio. Voi avete bisogno di me, e Io ho bisogno di voi.
Trovo questo percorso affascinante e rivoluzionario. Dio fa entrare gli ebrei nella Storia, indica loro lo strumento dell’educazione come precetto definitivo, e inoltre sembra mettersi in qualche modo a livello dell’uomo. Afferma chiaramente che Lui vuole essere il suo Dio, che ha bisogno di lui. Su queste basi la tradizione ebraica ha costruito un percorso molto complesso, in cui l’istruzione è stata sempre il faro che ha guidato i maestri nelle diverse epoche. Solo in epoca tarda – a partire dall’Ottocento – si è saputa comprendere e riscoprire anche la centralità dell’elemento storico. Gli ebrei hanno attraversato le epoche e si sono con esse e in esse trasformati, lasciando tracce significative del loro passaggio, fatte di testi (moltissimi), oggetti rituali, utensili, epigrafi e manufatti di vario genere. Il mondo ebraico ortodosso ha guardato con sospetto all’attenzione per la storia. Nell’Ottocento in effetti questa lettura della tradizione ebraica è servita da grimaldello per attaccare alcune delle strutture tradizionali, ma questa non mi è mai sembrata una spiegazione sufficiente a giustificare la propensione della maggioranza dei maestri dell’ebraismo dell’età contemporanea a considerare superflua e non – invece – fondamentale, l’indicazione educativa profondamente legata al divenire della storia che si recita ogni giorno quando si ricorda che l’Eterno è colui che ha tratto gli ebrei dalla schiavitù d’Egitto. La Storia e il ruolo degli ebrei e dell’ebraismo in essa, dovrebbero tornare ad essere considerati come uno dei motori dell’educazione, da studiarsi nelle scuole, nei collegi rabbinici e nelle yeshivot. E da affermare con orgoglio, come bandiera piena di significato da sventolare nel mondo.

Gadi Luzzatto Voghera, storico

(1 gennaio 2015)