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Le ipotesi esegetiche sui motivi che abbiano spinto Ytrò, il suocero di Moshè, a convertirsi sono molteplici anche se per nulla contraddittorie. “E ascoltò Ytrò…” (Shemòt,18; 1). Ma cosa avrebbe ascoltato Ytrò di così sconvolgente da spingerlo a rivoluzionare la sua vita? Qualcuno sostiene che avrebbe ascoltato e compreso a fondo la storia dell’esodo dall’Egitto, altri, invece, la guerra contro Amalék, paradigma dell’antigiudaismo, e altri ancora il Dono della Torah. Nell’accettare la legge ebraica, il convertito riceve anche la storia ebraica. È come se gli venisse data una nuova memoria, che sostituisce la sua. A nessuno è lecito rammentare al convertito il suo passato. In effetti, lo status del ghèr, nella Torah, viene talmente esaltato che, secondo il Midrash, Moshè domandò all’Eterno perché i convertiti meritassero così tante attenzioni. L’Eterno presentò l’argomentazione della purezza di cuore del convertito dicendo a Moshè: “…Ti ricordi quanto dovetti fare per persuadere il popolo di Israele ad accettare la Mia legge? Dovetti liberarli dalla schiavitù, nutrirli nel deserto, difenderli dai loro nemici, far loro impressione con continui miracoli, uno più stupefacente dell’altro. Ma il convertito non ha avuto bisogno di nulla di tutto ciò. Non sono stato Io a scegliere lui, ma lui a scegliere Me: io non l’ho neppure chiamato, eppure egli è venuto…”. In altri termini, il convertito è una persona speciale perché la sua ebraicità non è un fatto di nascita bensì di scelta. Ytrò è colui che ricusa una vita di benessere materiale e spirituale per scegliere un futuro incerto. Ytrò avrebbe ascoltato diversamente da altri. Come a dirci che non basta ascoltare, ma tutto dipende da come si ascolta.

Roberto Della Rocca, rabbino

(2 febbraio 2016)