Il dilemma che imprigiona

rassegnaPrime certezze sulla tragica fine di Giulio Regeni al Cairo. Ma i punti di domanda non mancano. Sul suo assassinio, ma anche sul modo in cui le società occidentali sono chiamate a intervenire in determinati scenari di crisi. Così Pierluigi Battista (Corriere): “Ecco la grande ipocrisia in cui si dibatte l’Occidente, l’Europa politicamente inesistente e verbosa, gli Stati Uniti ondivaghi e impotenti. Ecco il dilemma atroce di cui siamo prigionieri: reagire con forza ai soprusi di regimi in cui si può morire nei modi in cui è stato ucciso Giulio, tenere alta la bandiera dei diritti umani fondamentali, oppure tacere, minimizzare, accettare la convivenza coatta con regimi oppressivi nel nome della battaglia comune al Male assoluto rappresentato dal Califfato”. Ma allora l’indignazione è meglio ripiegarla. “Per dignità”, sostiene l’editorialista.
Commuovono intanto le parole dei genitori della vittima: “Quello che è stato nostro figlio, quello che ha rappresentato, quello che ci ha insegnato con le sue azioni, le sue scelte, i suoi studi, il suo impegno, saranno il faro che illuminerà il nostro futuro”.

“Due accordi simbolo da ripetere in altre città, per coinvolgere le comunità islamiche e quella italiana. Più orientato all’aspetto religioso quello fiorentino, più sui diritti di cittadinanza e la comunità quello di Torino, ma solo perché si viene da esperienze e percorsi diversi”. Questo – scrive Marzio Fatucchi (Corriere Fiorentino) – il senso dei due patti che verranno firmati domani a Firenze tra il sindaco Dario Nardella e i rappresentanti delle moschee e martedì tra il primo cittadino di Torino Piero Fassino e i rappresentanti dei 18 centri islamici della città. Il patto di Firenze si concentra in particolare sull’impegno di avere le principali cerimonie religiose con lettura dei testi sacri e sermoni in doppia lingua (italiano e arabo) ma anche la creazione “di una maggiore informazione e scambio di comunicazione tra il Comune, la comunità islamica e quella fiorentina”.

Intervistata da Alain Elkann (la Stampa), la studiosa Manuela Consoni invita a un maggior approfondimento dell’antisemitismo nelle università e mette in guardia contro chi, proprio negli atenei, fomenta odio e pregiudizio. “Penso al fenomeno del boicottaggio accademico, ad esempio, dove la critica legittima verso la politica del governo israeliano è contaminata da derive pericolose al cui interno funzionano elementi del pregiudizio antiebraico. Il Bds, nato nel mondo anglosassone, è un fenomeno da non sottovalutare e di cui oggi si parla troppo poco”. Amarezza viene espressa anche per il manifesto di boicottaggio del Technion di Haifa firmato negli scorsi giorni da 170 docenti e ricercatori italiani.

Da Dresda a Calais, da Amsterdam a Praga: i populisti tedeschi di Pegida scendono nuovamente in piazza e intemazionalizzano la mobilitazione anti-migranti. Anche se con scarsi risultati dal punto di vista numerico. Racconta Tonia Mastrobuoni (Repubblica): “La prima, pessima notizia per i populisti anti islamici è arrivata dal palco allestito davanti alla Semperoper. All’inizio della manifestazione di Dresda, uno degli organizzatori ha informato la piccola folla che Lutz Bachmann, il fondatore di Pegida, era al letto con l’influenza. La seconda, cattiva notizia per il movimento di destra nato proprio nella capitale sassone, è che i partecipanti alla manifestazione Fortezza Europa sono stati quasi la metà di quelli attesi: 7-8.000 appena contro i 15.000 strombazzati alla vigilia”.

“Ho voluto provare a capire se le lucertole israeliane sono grosse come credevo”. Aziz Hakimi, un autore afghano cresciuto nell’Iran di Khomeini, racconta a la Lettura come si è avvicinato alla realtà di un popolo ‘nemico’: attraverso la letteratura. Nelle stesse pagine l’israeliano Etgar Keret ripercorre l’altra metà della storia. E dice: “E io ho guardato tanti film iraniani per scoprire che ci somigliamo”.

“Non c’è giorno in cui io non ripensi a quel film” dice Jerry Lewis in un documentario realizzato e trasmesso due sere fa dalla rete tv tedesca Ard. Come spiega Danilo Taino sul Corriere, il film si intitola The Day the Clown Cried, il giorno che il pagliaccio pianse. È la storia di un clown che, negli anni del nazismo, ubriaco, prende in giro Hitler. Arrestato, prima viene costretto a intrattenere i bambini ebrei che salgono sui carri per Auschwitz, poi a cercare di divertirli mentre sono spinti nelle camere a gas. Un film fallito e perduto. Ma anche uno dei primi tentativi di raccontare la Shoah al grande pubblico. “Benigni mi ha rubato l’idea — dice Lewis nel documentario — ma ha fatto un buon lavoro”.

Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked

(7 febbraio 2016)