sdegno…

Tra l’11 ed il 12 febbraio del 1979 la guardia imperiale dello scià di Persia, Mohammad Reza Pahalavi, si arrese ai seguaci dell’ayatollah Ruhollah Khomeini che presero il potere e instaurarono una governo islamico in tutto il paese. In poche ore, fuggito ormai lo scià da quasi un mese, il paese iniziò a vivere un’esperienza senza precedenti per tutto il mondo islamico, una esperienza di facile e terribile emulazione: il “Consiglio di giurisperiti” cui era affidato ogni potere di veto sulle norme non ritenute in linea con gli assunti dell’Islam sciita (vilāyet-e faqih) decretò il pieno allineamento del paese alla Sharīʿa islamica sciita, reintroducendo la pena di morte per l’adulterio e la bestemmia e imponendo l’obbligo del velo muliebre. Fino ad allora il mondo non aveva sperimentato l’idea di uno Stato islamico, non aveva ancora visto le donne coperte per legge, le lapidazioni, le impiccagioni in nome della Sharīʿa. Da allora ad oggi le nostre abitudini sono nettamente migliorate: sappiamo vedere le stragi dell’Isis senza scomporci, né tantomeno tentare un seppur minimo segno di indignazione, che sia politico o sociale. Resta il monito del profeta Nachum 1,6: “Chi può reggere davanti alla sua indignazione?” Il profeta parlava di Dio, ma a me piace pensare ad uno sdegno umano: come speranza, come appiglio, come ultimo segno di una empatia che diventa rabbia di fronte al male.

Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino

(12 febbraio 2016)