Fiducia, università e antisemitismo

È la psicologa Silvia Vegetti Finzi a ricordarlo dalle pagine del Secolo XIX (28 febbraio): “I figli meritano più fiducia”. Bambini e ragazzi sono guardati a vista, ma così non li si aiuta a seguire le proprie inclinazioni, e se poi i genitori fanno un investimento enorme sul figlio, che spesso unico, si rischia di “schiacciarlo” con una eccesso di cure. Dopo essere stata per tanti anni psicologa nei consultori pubblici e dopo numerosi volumi di grande successo Silvia Vegetti Finzi ha scritto Una bambina senza stella, la propria autobiografia infantile. Ogni capitolo, oltre a contenere ricordi e fatti e immagini del periodo in cui lei era nella campagna mantovana con zii e zie e poi la storia del difficile rincontro con la madre, presenta anche una riflessione, voce di quello che è diventata oggi, una nota e apprezzata psicoterapeuta infantile
Accademici in fuga. Nato a Londra 80 anni fa per salvare gli accademici in fuga dal nazismo, il Cara, ossia il “Consiglio per gli accademici a rischio” è una organizzazione che oggi offre rifugio agli studiosi dei paesi in guerra. In questi 83 anni sono stati oltre duemila gli studiosi che hanno beneficiato del sostegno del Cara presso atenei britannici, e tra loro, oltre al teorico della società aperta Karl Popper, ci sono stati 16 futuri Nobel, come Max Born ed Ernst Chain. La missione è salvare gli accademici perché senza di loro il futuro di un Paese e dei suoi giovani è segnato, e perché bisogna «resistere ai poteri che minacciano o sopprimono la libertà intellettuale e individuale», come nell’ottobre del 1933 disse Albert Einstein alla Royal Albert Hall di Londra proprio per una grande raccolta fondi del Cara (allora “Academic Assistance Council”). Riceve un numero impressionante di richieste di aiuto – dalle tre alle cinque alla settimana – e dopo una verifica sugli accademici li aiuta a ottenere il visto, li finanzia e convince le università a ospitarli e ad assicurare loro un dottorato di ricerca gratuito. L’obiettivo, però, è aiutare quei cervelli a tornare un giorno nel loro Paese, perché contribuiscano alla sua ricostruzione. (La repubblica D, 27 febbraio)
Università e antisemitismo. Esiste un piccolo numero di università britanniche che sono state soprannominate “Jewnis”, e su di esse si concentrano le attenzioni dei giovani ebrei, che sempre più frequentemente rinunciano alle università più note per l’antisemitismo che le attraversa. È Nicola Woolcock, sul Times del 29 febbraio, a raccontare come dopo le numerose controversie sull’antisemitismo in ambiente universitario le preferenze dei giovani siano mutate in maniera così evidente da raccogliere l’interesse dell’Institute for Jewish Policy Research, il cui direttore, Jonathan Boyd, segnala come dopo ovviamente la preferenza per la facoltà il secondo criterio di scelta sia diventato la presenza di numerosi studenti ebrei.

Ada Treves twitter @atrevesmoked

(4 marzo 2016)