Gorizia – A èStoria con Pagine Ebraiche
I ghetti, un solco nella modernità

27127369755_3fb9445e68_zPagine Ebraiche in una mano e il programma di èStoria nell’altra. Si è aperta così la seconda giornata del prestigioso festival di Gorizia, dedicato appunto ad approfondimenti di carattere storico (“Schiavi il titolo di quest’anno): ad essere protagonista, nella grande tenda dei giardini di via verdi, palcoscenico principale della rassegna con i suoi quattrocento posti, l’incontro dedicato a una riflessione sui 500 anni del Ghetto di Venezia organizzato dalla redazione dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, in collaborazione con l’Associazione degli Studenti di Scienze Internazionali e Diplomatiche di Gorizia. Primo appuntamento di giornata, con tanti giovani studenti presenti, il dibattito ha visto confrontarsi la storica dell’architettura Donatella Calabi e gli storici dell’ebraismo Anna Foa e Simon Levis Sullam, coordinati dal direttore della redazione UCEI Guido Vitale.
Un impegno a tutto campo che vede la convinta partecipazione delle istituzioni culturali del Friuli-Venezia Giulia e del Comune di Gorizia, come ha testimoniato salutando gli ospiti a nome della città l’assessore al Bilancio e all’Urbanistica Guido Germano Pettarin, ricordando come il retaggio ebraico costituisca per il centro isontino elemento identitario fondamentale. La redazione giornalistica dell’Unione, fra l’altro, è al lavoro in sintonia con la Fondazione Beni Culturali ebraici in Italia e congiuntamente con le amministrazioni comunali di Gorizia e della città slovena di Nova Gorica, per sviluppare un progetto transfrontaliero di recupero del cimitero ebraico di Valdirose, posto in territorio sloveno, subito al di là del confine che attraversa la città e che per lunghi anni ha segnato il polo meridionale della Cortina di ferro.
IMG_20160520_102135Cosa ha significato l’istituzione dei ghetti per l’Italia e per l’Europa, quale impronta hanno lasciato nell’identità ebraica e nel suo rapporto con la società civile, cosa intendiamo oggi per ghetto, alcuni degli interrogativi posti da Vitale ai relatori. A dare una prima panoramica di questa dolorosa pagina della storia ebraica, Anna Foa, che ha rilevato le differenze tra quanto accadde a Venezia nel 1516 e la situazione di Roma, dove il ghetto fu istituito nel 1555. “Entrambi erano spazi di separazione ma diversa fu l’interazione con la città del mondo ebraico”. A Venezia, spiega la storica, nonostante le difficoltà lo scambio fu possibile mentre nella Capitale l’azione della Chiesa aveva uno scopo chiaro: “controllare gli ebrei, emarginarli e spingerli verso la conversione”. “Se dovessi esprimerlo in un’immagine, è come se la Chiesa avesse messo la comunità ebraica romana sotto un microscopio, per osservarla da vicino. Un specie di esperimento”, afferma la storica. Un esperimento di segregazione forzata, una ferita che ha lasciato il segno lungo i secoli con effetti che si sono protratti anche nella storia recente dell’ebraismo romano. Così come plurisecolare, seppur come si diceva diversa, è stata la storia del ghetto di Venezia, su cui si è concentrata l’analisi di Donatella Calabi, curatrice della mostra dedicata proprio al cinquecentenario del ghetto veneziano (l’esposizione sarà inaugurata il 19 giugno a Palazzo Ducale). Calabi, autrice di Venezia e il ghetto (Bollati-Boringhieri), ha riflettuto sul significato della parola ghetto, che – ha spiegato – “deriva da ‘geto’, pronunziato ghèto dagli ebrei aschenaziti di origine tedesca, inteso come getto, cioè la gettata di metallo fuso dove venivano smaltiti i resti delle lavorazioni delle fonderie di rame”. Un termine che è diventato sinonimo di emarginazione e segregazione: “uno dei più famosi ghetti fu quello di Varsavia, dove i nazisti relegarono gli ebrei – ricorda Calabi – e proprio uno dei suoi simboli, Marek Edelman, il Guardiano del ghetto (Edelman è stato uno degli eroi della resistenza ebraica della capitale polacca), che nel 1997 userà il termine ghetto in un’altra accezione. Edeleman ci avvisò di come fosse assurdo pensare che l’Europa possa mantenersi in una sorta di ghetto per ricchi. Disse che i muri intorno all’Europa non possono fermare gli affamati. ‘La fame distrugge ogni muro. E gli affamati dell’Africa arriveranno da voi, nessuna legge che limiti l’immigrazione vi proteggerà. Qui sorgerà una nuova cultura, un po’ europea, un po’ asiatica, un po’ araba e africana, frutto dell’immigrazione, che nessun cannone né confine fermerà. Nessuno ha mai vinto contro la gente affamata’”.
Tanti gli spunti di riflessione proposti da Simon Levis Sullam, tra cui il ruolo dei ghetti come elemento che porta a rafforzare gli stereotipi, una rappresentazione dell’altro in confini definiti che serve a controllarlo. “Questa rappresentazione – ha sottolineato lo storico – ha conseguenze pratiche, porta all’esclusione per legge, alla discriminazione, fino alla persecuzione genocida come accadde con Shoah”. Per Sullam l’impatto del concetto di ghetto sulla cultura moderna è un elemento da analizzare, su cui è necessario portare avanti ulteriori studi e il Cinquecentenario del Ghetto di Venezia può essere un’opportunità in questo senso. Il senso di un’operazione di questo tipo, come ha spiegato in una battuta finale Guido Vitale – che domenica mattina (ore.9.30) coordinerà l’incontro dedicato alla nuova schiavitù della dipendenza tecnologica e della demenza digitale con il confronto tra gl storici e i sociologi Ubaldo Fadini, Giuseppe Longo e Nicola Strizzolo -, è contenuto nel nome della rassegna protagonista a Gorizia: “quel èStoria, che antepone a Storia il verbo essere al tempo presente”. Ovvero all’attualità di una pagina complessa e dolorosa della Storia come quella dei ghetti.

d.r.

(20 maggio 2016)