educazione – Studiare non è una scelta

dna francescaDall’asilo al dottorato, la strada dell’istruzione è lunga e potenzialmente infinita. Un nuovo studio pubblicato sulla rivista Nature mostra che è ora possibile leggere nel dna quanti anni della sua vita ogni individuo vi dedicherà. La ricerca è stata condotta presso l’Università di Amsterdam, e hanno partecipato anche il Consiglio nazionale delle Ricerche attraverso l’Istituto di genetica molecolare Igm-Cnr di Pavia, e l’Istituto di ricerca genetica e biomedica Irgb-Cnr di Sassari e Cagliari. Prendendo in analisi circa 300 mila individui in quindici paesi europei, il cui genoma è stato completamente sequenziato, sono state infatti isolate 74 sequenze genetiche associate al livello di istruzione raggiunto a 30 anni.
Naturalmente questo non significa che gli scienziati siano ora dotati di una sfera di cristallo che possa prevedere i successi scolastici e accademici, e cioè quanti anni una persona studierà, se si laureerà o meno e con quali risultati. Se infatti essi costituiscono un grande passo avanti nella conoscenza del ruolo del dna, i 74 fattori genetici contano solo in piccolissima parte nella differenza di anni passati sui libri, e cioè determinano solo il 20 percento circa cella variazione misurata nella popolazione. Da aggiungere vi sono infatti molti altri fattori importanti, quali il contesto famigliare, le caratteristiche del luogo in cui si cresce, e altri economici, sociali e ambientali.
Tuttavia si ritiene che la scoperta possa costituire uno strumento utile per identificare i punti di forza e di debolezza di ogni studente. In prospettiva, ha spiegato Ginevra Biino dell’Igm alla Stampa, “la scoperta di varianti genetiche associate con il livello di istruzione potrebbe permettere di identificare i fattori biologici coinvolti anche nel definire la personalità e le capacità cognitive rilevanti per le prestazioni scolastiche, nonché, in casi patologici, le condizioni neuropsichiatriche”. A proposito di quest’ultimo settore, Daniel Benjamin, ricercatore della University of Southern California che ha contribuito allo studio, ha infatti spiegato al quotidiano inglese The Guardian che le varianti genetiche analizzate e quelle relative al morbo di Alzheimer, al bipolarismo e alla schizofrenia si sovrapponevano in moltissimi casi.
Con studi più approfonditi, ha aggiunto Benjamin, l’accuratezza di questi dati potrà ancora migliorare e potrebbe anche risultare utile per migliorare l’insegnamento. Ad esempio, i ricercatori potrebbero utilizzarli per rendere conto delle diverse abilità genetiche nel momento in cui si voglia determinare quanto possano essere efficaci alcune politiche nel campo dell’istruzione come quella dell’educazione prescolare gratuita.

Francesca Matalon

(10 giugno 2016)