Dalla Capitale a Padova, canti ebraici in un cd

locci-concerto-1Da Roma a Padova, i più importanti canti della liturgia ebraica in un cd. Merito del rabbino capo della città veneta, rav Adolfo Locci, che fortemente ha voluto “Shire Miqdash”. Diciotto brani, da Lechà Dodì a Ani Maamin, da Yafutzu all’Hatikwah, con arrangiamenti del pianista Fabrizio Durlo, che sono stati presentati in occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica nella suggestiva cornice di Palazzo Liviano.
Un folto pubblico ad accogliere quella che appare una significativa novità nel campo della raccolta, dell’analisi e della diffusione dell’immenso patrimonio musicale proprio dell’ebraismo italiano e internazionale. Condotta da Pasquale Troia, docente di religione e noto biblista, la serata ha alternato il piacere artistico dell’ascolto a momenti di confronto e approfondimento.
“La passione per la musica e il canto – spiega rav Locci – fanno da sempre parte del mio bagaglio culturale e spirituale. Ho amato da subito la tevāh, il pulpito dal quale il chazzān, l’officiante della sinagoga, canta le preghiere; vi sono salito per la prima volta a 13 anni per il mio bar mitzwāh (maggiorità religiosa) e da allora non ne sono più sceso. Ricordo il detto di un mio maestro che diceva: ‘se il rabbino è la mente di una comunità, il chazzān ne è il cuore’. In effetti, questo detto può essere rappresentativo del mio personale percorso: prima chazzān nelle sinagoghe di Roma e poi rabbino di Padova. La chazzānuth, l’arte dell’officiatura sinagogale, è parte inscindibile, della vita comunitaria e ritengo debba essere curata con passione ed esattezza”.
A parte la soddisfazione per aver portato a termine questa iniziativa, prosegue rav Locci, “la mia più grande gioia viene dalla scoperta umana fatta in questi anni”. Aver conosciuto cioè dei musicisti professionisti “che hanno accolto, portato avanti con grande trasporto questo progetto; che sono entrati pienamente nell’anima e nell’antica storia di queste melodie, consapevoli del grande valore spirituale che esse rappresentano”. Musicisti che non solo hanno garantito la loro valenza professionale, “ma hanno soprattutto dimostrato di essere persone speciali”.
Sostiene Troia: “La pubblicazione di questi canti è una benedizione. Per molti motivi. Intanto è l’adempimento di un dovere verso questa eredità di cui siamo figli, nipoti, e poi genitori, nonni. Eredità che pone non pochi problemi. È un’eredità privata? Che appartiene soltanto alla comunità ebraica che l’ha generata? Questi canti testimoniano invece che il canto al Signore è un patrimonio di tutte le comunità”.

(20 settembre 2016)