Alessandra Cambatzu (1966-2016)

img_3858 Alessandra Cambatzu se n’è andata in una calda serata di settembre a causa di una terribile malattia che speravamo di aver sconfitto quattro anni fa. Ha lasciato un gran vuoto negli studenti delle scuole italiane e tedesche, nei suoi colleghi, negli amici, nei parenti e in tutti coloro che hanno incrociato i loro cammini esistenziali con lei in questi lunghi ma pochi anni terreni.
Alessandra era nata a Cagliari nel 1966. Di origini ebraiche, aveva sin da giovane (con l’involontaria complicità paterna) nutrito un profondo interesse per la letteratura yiddish. Ha iniziato per caso leggendo Israel B. Singer a soli quattordici anni. Ha poi dedicato larga parte del suo tempo libero alla promozione della lingua yiddish, a partire dall’associazione culturale “Da’at” sorta a Torino nei primi anni 2000, per poi terminare con l’associazione culturale “Free Ebrei” che abbiamo creato proprio nella primavera di quest’anno. Ha sempre nutrito una grande attenzione per quel mondo spazzato via dai totalitarismi novecenteschi, e ha tentato in tutti i modi di salvaguardarne la bellezza in mezzo alle asperità, il calore domestico in mezzo alle fredde e buie notti matrigne.
Alessandra ha dedicato tutta la vita professionale all’insegnamento dell’italiano e del latino. Si è laureata giovanissima con una tesi sulla prima traduzione in volgare dell’Eneide e ha iniziato subito a insegnare in Sardegna, per poi trasferirsi a Torino, dove ha lasciato un’impronta indelebile al Liceo scientifico “Alessandro Volta”. Qui è riuscita a laurearsi in lingua tedesca con una tesi su alcune sfere semantiche dello yiddish. Ha dedicato anche molto tempo e passione alla lingua latina, di cui ammirava la ferrea logica, collaborando a elaborare nuove versioni a uso dei licei.
Dopo aver collaborato al primo convegno di yiddishistica in Italia nel 2004, Alessandra ha tenuto vari corsi di lingua yiddish presso l’Università e il comune di Torino, ha tenuto alcune lezioni nelle scuole e, nel 2008, ha collaborato alla sottotitolazione di alcuni capolavori del cinema yiddish (amava molto il cinema e avrebbe voluto tenere una rubrica sulla nostra rivista online). Ma, soprattutto, ha tradotto tanto.
La traduzione è stata la sua grande passione intellettuale. Dal 2010 ha iniziato a tradurre gli scritti del politico e filologo sionista russo Ber Dov Borochov (Il tempo che verrà, Belforte, 2013), poi si è occupata degli scritti satirici di Kurt Tucholsky (Le storie del signor Wendriner, Free Ebrei, 2013), poi del grande romanzo di Moyshe Kulbak (Gli Zelmenyani, Mayse, 2014, con Sigrid Sohn), infine delle liriche della grande poetessa Kadja Molodowsky (sempre con Sigrid Sohn), che usciranno l’anno venturo. Con me stava preparando l’edizione critica di un importante e controverso testo storico e politico del Novecento, che uscirà l’anno venturo.
Alessandra è stata una delle poche traduttrici in italiano dallo yiddish. Il suo particolare contributo alla disciplina andava nella direzione di mettere a disposizione del pubblico italiano i testi di autori poco noti, ma qualitativamente assai rilevanti nel panorama letterario yiddishistico del secolo passato. Borochov, per esempio, noto solo agli studiosi di marxismo, ha sostenuto la rilevanza centrale della filologia yiddish quale chiave di volta di un mondo ebraico diasporico e sionista in pari misura. Tucholskyci ha lasciato col signor Wendriner un ritratto della “stupida” borghesia ebraica tedesca del periodo interbellico. Kulbak ha ritratto la fine dello shtetl e l’avvento del comunismo attraverso le vicende di una famiglia ebraica allargata. Kadja Molodowsky è stata la principale poetessa yiddish del secolo passato.
Ultimamente Alessandra stava spostando il suo interesse verso il mondo yiddish argentino (un tentativo, forse, di unire la bellezza della lingua al ritmo latino) e, per la preparazione del primo numero del nostro annuario in lingua inglese, si sarebbe dedicata alla traduzione dei testi delle canzoni del Bund ebraico.
Il motivo della tanta passione di Alessandra per la traduzione risiedeva nella necessità di costruire ponti e legami fra le persone nel modo più immediato possibile: rendendo comprensibili le diverse parole, avvicinando i diversi mondi culturali e spirituali. È una sfida difficile e improba, specie quando ci rendiamo conto che le differenze sociali, culturali, economiche sono tanti e tali da rendere la nostra l’epoca dei monologhi, della rabbia e del risentimento. Eppure Alessandra ha sempre creduto nel dialogo polemico, nella possibilità di crescere insieme agli altri (non di convincere!), nella possibilità di guardare oltre la siepe (dove ci aspetta il “buio”, ma forse anche un po’ di “luce”).
Per questo motivo io ho deciso di istituire con la nostra piccola associazione culturale, accanto a una collana di yiddishistica, un piccolo premio dedicato alla sua memoria: “i ponti di Alessandra”. Con il probabile patrocinio dell’Ambasciata italiana a Berlino, i ragazzi delle scuole italiane e tedesche potranno elaborare testi propri su temi ebraici e tradurli nelle loro rispettive lingue materne. Un piccolo e modesto tentativo di mantenere in vita la sua passione e la sua missione esistenziale. Un po’ come la firma che lei stessa imprimeva sui suoi libri: le sue iniziali sopra due linee.

Vincenzo Pinto

(26 settembre 2016)