Qui Pisa – Europa, laicità, integrazione
“Religioni difendano le libertà”

pisaL’Europa che cambia. Politiche di integrazione nella prospettiva di uno Stato laico.
È il tema di un convegno in svolgimento a Pisa, organizzato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati in collaborazione con l’associazione culturale Sound’s Good, cui partecipa tra gli altri anche la Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni con una riflessione sul tema “Identità nazionale o identità religiosa?”.
“La storia ci ha ampiamente insegnato i pericoli insiti nell’imposizione di un modello totalitario, e nostro dovere, come ebrei italiani, e anche insieme alle altre religioni e minoranze, è vigilare affinché le derive xenofobe e razziste siano contrastate nel modo più severo possibile. In questo periodo storico in cui in diverse parti del mondo gli estremismi e i nazionalismi sembrano prevalere, un fenomeno da cui l’Italia non è per nulla estranea, il nostro stato d’allerta deve essere massimo” ha sottolineato la Presidente UCEI nel suo intervento, che ha aperto il convegno e che pubblichiamo integralmente.
“In questa direzione – ha poi aggiunto – il tema del rapporto tra identità religiosa e identità nazionale assume un significato ancora diverso e nuovo e su scala europea. Proprio le religioni devono oggi dare esempio di essere causa di unificazione e non di guerre, causa di crescita e sviluppo e non di distruzione, causa di difesa anche dell’altrui laicità, in un sistema che riconosce e difende le libertà”.
Numerosi gli interventi che hanno segnato la mattinata odierna. Protagonisti della prima sessione, moderata da Piero Sansonetti, anche Severino Dianich, Valerio Di Porto e Yahya Pallavicini.
La seconda sessione, dedicata a Mercato Globale : la soddisfazione dei bisogni assicura anche l’integrazione culturale?, ha visto al tavolo dei relatori Mostafa El Ayoubi, Luciano Ciucci, Chiara Ferrero, Tullio Padovani, Piero Sansonetti ed
Eleonora Sirsi.
La terza sessione, dedicata a Quali i supporti all’emancipazione femminile?, ha visto gli interventi di Claudio Paravati, Ottavio Zirilli, Bruno Di Porto, Mostafa El Ayoubi e Marisa Trythall.
La quarta sessione, dal titolo La Fortezza Europea sotto assalto? L’integrazione quale inserimento in un contesto legale e statuale di tutela dei diritti umani, è stata infine partecipata da Essid Abdelaziz, Fulco Lanchester, Ezio Menzione, Giovanni Salvi e Lucia Vergine.

L’intervento della Presidente UCEI

Presidenti, Illustri autorità, relatori, cari amici,
In apertura una brevissima introduzione per rappresentarvi che l’UCEI è l’ente che in base all’Intesa rappresenta esponenzialmente in Italia l’ebraismo. Le 21 Comunità ebraiche che sono presenti in Italia sono rappresentate nel Consiglio (sostanzialmente forum assembleare) composto di 52 delegati. Gli iscritti alle Comunità sono oggi circa 23.000 di cui 13 mila a Roma e 6 mila a Milano. Sono Comunità molto diverse tra loro, che oggi si interrogano sul loro e nostro futuro, non facile, ma che include più che mai un dinamico rapporto con la società civile. La presenza ebraica in Italia risale ad oltre 2000 anni fa e da sempre rappresenta una componente del tessuto socio culturale del Paese, dello sviluppo e del pensiero italiano in tutti i secoli. In modi diversi e con status diversi, ma sempre presente. E riassumere 2000 anni di storia (antica, medioevale, risorgimentale, contemporanea, attuale) in pochi minuti è veramente impossibile. Mi soffermo dunque su alcuni esempi.
Il tema della laicità dello Stato è argomento di grande importanza, in un periodo storico estremamente complesso e problematico quale è quello che stiamo vivendo, in cui va ribadito l’irrinunciabile rispetto dei diritti di ognuno e la necessità di una piena integrazione delle minoranze religiose, in armonia con un contesto storico, sociale, politico, economico molto complicato.
E’ un immenso onore essere assieme a voi tutti, qui nella città di Pisa. Città alla quale sono legata oltre che da un rapporto istituzionale, anche dal vissuto dei miei antenati, che se fossero presenti in persona racconterebbero loro stessi – con le loro arti, mestieri, nomi, stili e scelte di vita – l’essenza di quanto ci proponiamo di approfondire quest’oggi.
Loro saprebbero narrare benissimo, l’intimo legame tra l’essere profondamente ebrei e il sentirsi parte vibrante ed integrata di una nazione, di un Paese. L’Europa non era unita, l’Italia era monarchica, le guerre erano altre, e il percorso verso la costituzione repubblicana forse non era neanche un loro sogno. Ma oggi io stessa mi chiedo se siamo più liberi noi o loro. Chi sogna e teme di più di conquistare o perdere questo forte legame?
Introduco allora il tema ponendo l’accento non già sul rapporto di alternatività – identità religiosa o identità nazionale. Ma al contrario, sul rapporto di integrazione e complementarietà reciproca. Mi soffermo in quest’oggi sulla caratterizzazione ebraica in Italia, in Europa, nella cosiddetta diaspora.
Altro e diverso sarebbe il dibattito sul tema religione/nazione focalizzato sul legame tra ebraismo e terra di Israele e la storia del sionismo (oggetto peraltro di un importante e magnifico convegno tenutosi ieri a Ferrara).
Questo rapporto, che nella tesi proposta ha carattere di coesistenza e co-essenzialità lo vorrei esemplificare sotto tre diversi profili:
Quello storico
Quello del diritto
Quello socio-linguistico
Sotto il profilo storico –
Gli ebrei, dopo secoli di discriminazioni, quando non di persecuzioni, giunsero, con l’Unità nazionale, a vedere parificati i propri diritti con quelli di tutti gli altri cittadini. Dopo tanti secoli, raggiungevano l’anelata uguaglianza, di cui erano stati privati durante l’età dei ghetti, nel medioevo, e nei secoli ancora precedenti, a causa della loro appartenenza religiosa.

“[Gli Ebrei Italiani] hanno cuore Italiano, e italiane braccia; vivacità e genio italiano… Sono membri della nazione Italiana…ne formano parte integrante.”
Così scriveva Giuseppe Mazzini a Re Carlo Alberto di Savoia Carignano poco prima che questi concedesse il 4 marzo 1848, con lo Statuto Fondamentale del Regno di Sardegna (il cosiddetto “Statuto Albertino”), i primi diritti democratici ai propri sudditi.
In realtà, il 17 febbraio Carlo Alberto aveva già decretato l’emancipazione dei protestanti valdesi. E il 29 marzo fu la volta degli ebrei. Il Regio Decreto 688 afferma: «Gli Israeliti […] godranno […] di tutti i diritti civili e della facoltà di conseguire i gradi accademici, nulla innovato quanto all’esercizio del loro culto, ed alle scuole da essi dirette.»
In seguito, una legge emanata dal primo Parlamento, che il 29 giugno dello stesso anno riunì tutti i cittadini di fedi diverse da quella di Stato, specificò in un unico brevissimo articolo: 
«La differenza di culto non forma eccezione al godimento dei diritti civili e politici, ed all’ammissibilità alle cariche civili e militari.»
Queste pochissime parole cambiarono la vita di alcune decine di migliaia di sudditi di fede ebraica, prima nelle terre del Regno di Sardegna e poi via via di tutta la penisola, di lì a 13 anni di Italia unita.
Parlando di identità nazionale – molte le fonti epistolari e di corrispondenza istituzionale che documentano la partecipazione di iscritti alle comunità israelite alle battaglie che hanno portato all’unificazione d’Italia, nelle diverse unità garibaldine, e contributo alla fornitura di indumenti e materiali utili allo sforzo bellico.
Nel libro di Salvatore Foà dedicato al contributo degli ebrei al Risorgimento, egli scrive: “Nel 1869 l’esercito italiano aveva 87 ufficiali e più di 300 soldati israeliti (87 ufficiali su 14.108; 300 soldati su 170.000, come si vede, proporzionalmente, gli Ebrei davano un contingente straordinario di ufficiali e anche di soldati, essendo 30.000 Ebrei su 25 milioni di abitanti); molti di questi militavano tra le truppe del generale Cadorna che entrarono per la breccia di Porta Pia: e Roma volle salutare l’alba dei nuovi tempi chiamando due Ebrei, il (David, ndr.) Piperno e l’(Samuele, ndr.) Alatri, nel Consiglio Comunale”.
Tra i romani vi era Enrico Guastalla di Guastalla, commerciante, che fu a Roma con Garibaldi come ufficiale e si distinse nella difesa del Vascello. Mosè Esdra era medico e combatté in Veneto contro l’Austria; divenuto ufficiale sanitario, fu medico di Massimo d’Azeglio, difese Roma nel 1849 e morì a Custoza nel 1866. Salomone Vitale Tagliacozzo, compagno di Mosè Esdra, difese il Gianicolo e seguì Garibaldi nella sua fuga da Roma.
L’ordine di far fuoco sul muro di cinta di Roma, nei pressi di Porta Pia, fu dato da Giacomo Segre. Il nipote, Paolo Alatri, così lo ricorda: “Il mio nonno materno, Giacomo Segre, militare di carriera, era capitano d’artiglieria quando il 20 settembre 1870 comandava la batteria che aprì la breccia di Porta Pia… poi Giacomo Segre raggiunse alti gradi nella carriera militare, fino a quello di colonnello, ma non oltre, perché morì giovane” (Fonte: www.repubblica.it, 05/04/2011). Il giorno successivo all’attacco Giacomo Segre scrisse alla fidanzata: “Mia amatissima Annetta, ieri fu giornata abbastanza calda. Contro la mia aspettazione, le truppe pontificie fecero resistenza e si dovette coi cannoni aprire la breccia che poi fu presa d’assalto dalla fanteria e bersaglieri. La mia batteria prese parte all’azione e se ne levò con onore. Rimase morto un caporale, ferito gravemente il mio tenente che morì stamane. Povero bel giovanottino di ventiquattro anni! Feriti ugualmente altro caporale che forse non camperà fino a stasera, e più leggermente altri quattro cannonieri. Basta, Roma è nostra e domani andrò a visitarla. Io continuo a star bene e non ti so dire con quanta soddisfazione abbia ricevuto la tua ultima lettera. Dopo tanto tempo l’ho letta e riletta, e la portavo addosso quando andai al combattimento, a cui si marcia allegramente ma colla recondita apprensione che si sa dove di va, ma non si sa se si avrà la fortuna di ritornarne. Fu un talismano che mi preguardò da quel nuvolo di palle che mi fischiavano d’attorno” (Fonte: www.corrierechieri.it).
Il risorgimento e il sentimento di fiducia e di appartenenza si riflette anche nella quotidianità – la scelta dei nomi per i propri figli, nelle decorazioni dei manifesti e dei documenti matrimoniali, nelle arti, professioni ed accademia.
(Da pubblicazione 2011, Silvia Haia Antonucci)
Anche con l’affermazione del Fascismo, non pochi gli ebrei che vi credevano fermamente e che risultavano tesserati del partito. Il destino loro e dell’intera generazione fu ben diverso e triste, bruscamente interrotto con l’introduzione delle leggi antiebraiche nel 1938, per poi subire le deportazioni e lo sterminio.

Passando al profilo del diritto.
La libertà di religione è uno dei cardini della nostra Costituzione, e il motto “libera Chiesa in libero Stato”, caro a Cavour, è uno dei fondamenti dell’Italia unitaria.
Il pretendere il rispetto dei diritti, comprende anche il necessario e obbligatorio rispetto, da parte dei cittadini di ogni fede religiosa, dei doveri.
Un principio ebraico stabilito nel Talmud babilonese, riassunto nella formula “Dinà de malkutà dinà”, “La legge dello Stato è legge”, nel senso che la legge dello stato ha anche una rilevanza e quindi di precetto religioso. Può sembrare assurdo – che vi sia un rinvio mobile ad un intero corpus di norme esterne all’ordinamento religioso, statuite da altra autorità (laiche) in termini di osservanza esprime proprio il dovere di rispettare la legge dello Stato, ovviamente se non è in aperto contrasto con le leggi morali naturali. Tale rilevanza è declinata nel talmud con riferimento a due ambiti – quella della tassazione e modalità di esazione (in baba kama e nedarim) e quello della potestà dello Stato di stabilire regole per il commercio (in baba batra). Si esclude nel diritto ebraico antico la rilevanza dell’ordinamento straniero per quanto concerne il diritto privato (nello specifico si parla di diritto di famiglia e leggi relative eredità) e le ipotesi di applicazione discriminatoria delle medesime norme in materia di tassazione e commercio.
La ratio sottostante a tale precetto è sostanzialmente di accettazione storica – si è nella diaspora e la perdita dell’indipendenza richiede un raccordo con il contesto nel quale si è inseriti (sotto dominio prima persiano poi romano).
(ancor prima nella mishnà – avot cap 3, passo 2 – “Ihevei mitpalel lishloma shel malchut” – prega per il bene/ bene stare del governo).
Ai giorni nostri, sottolineare questo aspetto è importante, perché a mio avviso, se è vero che non c’è integrazione senza diritti, al contempo non c’è integrazione senza una necessaria adesione alla legge e ai valori su cui è fondata la Repubblica, sanciti da una Costituzione che, nei suoi pilatri fondamentali, stabilisce che “tutte le confessioni religiose sono libere davanti alla Legge” […], “… in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.” (art. 8).

Infine l’aspetto linguistico-
Il legame tra popolo e territorio nei secoli di diaspora è stato esplorato nel corso dell’ultima Giornata Europea della Cultura Ebraica, dedicata quest’anno al tema Lingue e dialetti ebraici, attraverso una riflessione sulle parole – sui perché e i come delle lingue parallele all’ebraico che si sono affermate o sbiadite
Molteplici interazioni che hanno caratterizzato l’ebraismo nei secoli, nelle diverse aree e città, cullando e coltivando i più fondamentali valori ebraici. Un caleidoscopio di lingue e dialetti – aramaico, yiddish, ladino, giudaico romanesco, bagitto – che nati come forme lessicali per necessità di difesa e di comunicazione intracomunitaria si sono sviluppati in ricchi e fantastici linguaggi letterari e teatrali che li hanno resi universalmente condivisi. Lingue e linguaggi che sono espressione del particolare legame che unisce lo scritto e il parlato, il custodito e il tramandato.

E allora, se questo il passato che ha caratterizzato il nostro essere italiani, la riflessione si pone necessariamente sul nostro futuro. Nostro, e di tutte le minoranze che oggi convivono e condividono un’esistenza italiana.
La “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”, elaborata dalle Nazioni unite nel 1948, fu di questa presa di coscienza collettiva il primo frutto. L’Europa e l’intero mondo occidentale, gettavano le basi per la condivisione di un universo valoriale che avrebbe dovuto fungere da minimo comun denominatore nei tempi a venire.
Ricordo per altro che il prossimo anno, nel 2017, ricorreranno i 60 anni dalla firma dei trattati di Roma del 1957.
Quanto è stato realizzato di tutto questo progetto internazionale e comunitario? Quali sono oggi le sfide? Nella cornice dell’Onu e dell’Unione Europea, si è fatto molto, si è maturato un acquis communautaire immenso in tutti i campi immaginabili, si è soprattutto curata l’integrazione economico finanziaria. Ma tutto questo oggi rischia di vanificarsi se non ristabiliamo la cornice valoriale all’interno della quale affermare innanzitutto il diritto alla vita. Vita nel senso più profondo e non solo fisica. Il rispetto per le diversità e per le culture Altre, ovvero l’idea di una coesistenza pacifica, fianco a fianco, tra persone di diverse fedi ed etnie, è uno dei temi che maggiormente premono nell’“agenda” dell’Europa di oggi.
La storia ci ha ampiamente insegnato i pericoli insiti nell’imposizione di un modello totalitario, e nostro dovere, come ebrei italiani, e anche insieme alle altre religioni e minoranze, è vigilare affinché le derive xenofobe e razziste siano contrastate nel modo più severo possibile.
In questo periodo storico in cui in diverse parti del mondo gli estremismi e i nazionalismi sembrano prevalere – un fenomeno da cui l’Italia non è per nulla estranea – il nostro stato d’allerta deve essere massimo.
In questa direzione il tema del rapporto tra identità religiosa e identità nazionale assume un significato ancora diverso e nuovo e su scala europea – le religioni proprio perché fondate e portatrici di valori civili hanno un ruolo primario nel preservare quanto faticosamente conquistato. Proprio le religioni devono oggi dare esempio di essere causa di unificazione e non di guerre, causa di crescita e sviluppo e non di distruzione, causa di difesa anche dell’altrui laicità, in un sistema che riconosce e difende le libertà.
Grazie.

Noemi Di Segni, Presidente UCEI

(12 dicembre 2016)