melamed – Una scuola democratica

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Una scuola dove non ci sono né orari, né programmi, né classi e i ragazzini stanno tutti assieme, dai 3 ai 18 anni, decidendo autonomamente se studiare italiano, guardare un film o fare un esperimento scientifico; dove si studia la matematica controllando le fatture e raccogliendo i soldi per un viaggio; una scuola dove si impara soprattutto quanto è difficile essere liberi; il ruolo degli insegnanti, garantire la sicurezza e, anche, la filosofia della scuola. Intervista a Benjamin Bouguier, for­ma­to­re ed edu­ca­to­re, che la­vo­ra al­l’É­co­le dy­na­mi­que di Pa­ri­gi.

Che co­s’è la scuo­la di­na­mi­ca?
La scuo­la di­na­mi­ca è una scuo­la de­mo­cra­ti­ca. Il prin­ci­pio di que­sta scuo­la è che i ra­gaz­zi han­no il po­te­re di de­ci­de­re su tut­to ciò che con­cer­ne l’e­du­ca­zio­ne. Pos­so­no sce­glie­re i pro­gram­mi, ma an­che il co­lo­re dei mu­ri, i mo­bi­li, le at­ti­vi­tà quo­ti­dia­ne.
Le scel­te ven­go­no fat­te at­tra­ver­so de­gli or­ga­ni di de­ci­sio­ne de­mo­cra­ti­ci. L’or­ga­no prin­ci­pa­le è il Con­si­glio del­la scuo­la, poi c’è il Con­si­glio di giu­sti­zia che è quel­lo che me­dia e re­go­la i con­flit­ti. Per esem­pio, se un ra­gaz­zi­no man­gia e non spa­rec­chia, le per­so­ne che si tro­va­no a quel ta­vo­lo al po­me­rig­gio si la­men­ta­no del­la spor­ci­zia, e scop­pia un con­flit­to.
Eb­be­ne, al po­sto di ave­re un adul­to che ar­ri­va e di­ce: “Non si fa co­sì”, il Con­si­glio di giu­sti­zia si fa ca­ri­co del pro­ble­ma. Cioè c’è un grup­po che si as­su­me la re­spon­sa­bi­li­tà di pren­de­re una de­ci­sio­ne in fun­zio­ne del sin­go­lo ca­so. E non c’è una san­zio­ne pre­fis­sa­ta. Non è che per­ché non hai ri­mes­so in or­di­ne sai già co­sa ti suc­ce­de­rà. Di­pen­de da quan­te vol­te l’hai fat­to, ad esem­pio, e dal­la gra­vi­tà. Nel no­stro ca­so, la san­zio­ne può es­se­re che per una set­ti­ma­na tu fa­rai un dop­pio tur­no di la­vo­ri do­me­sti­ci.
Il pun­to è che que­sto è un luo­go in cui non ci si può na­scon­de­re. Nel­la mag­gior par­te del­le scuo­le, quan­do adot­ti un com­por­ta­men­to scor­ret­to, ci so­no po­che pos­si­bi­li­tà che gli adul­ti lo sco­pra­no e que­sto ge­ne­ra mol­ti con­flit­ti. Qui non ci si può na­scon­de­re, qui sia­mo tut­ti re­spon­sa­bi­li.

Com’è or­ga­niz­za­ta la gior­na­ta?
Non c’è or­ga­niz­za­zio­ne. Apria­mo al­le 9.30 e chiu­dia­mo al­le 17.30. I ra­gaz­zi han­no tem­po fi­no al­le 10.45 per ar­ri­va­re. Que­sto è tut­to. Non c’è una gior­na­ta ti­po. Un ra­gaz­zo può ar­ri­va­re e pas­sa­re la gior­na­ta a gio­ca­re o a stu­dia­re ita­lia­no, in ba­se ai suoi de­si­de­ri del mo­men­to. Ci può es­se­re an­che un grup­pet­to che tra­scor­re la gior­na­ta fuo­ri, qual­cu­no che va al ci­ne­ma o a vi­si­ta­re un mu­seo. I ra­gaz­zi man­gia­no quan­do han­no fa­me. I gran­di si or­ga­niz­za­no da so­li, per i più pic­co­li so­no i ge­ni­to­ri che ci pen­sa­no. Al­le vol­te man­gia­no col­let­ti­va­men­te. Qual­cu­no un gior­no ha pro­po­sto: “Fac­cia­mo le la­sa­gne!”. Ognu­no ci ha mes­so un eu­ro e si so­no pre­pa­ra­ti le la­sa­gne.
I so­li ap­pun­ta­men­ti fis­si so­no che ogni gior­no dal­le 11 al­le 12.30, se c’è bi­so­gno, c’è un Con­si­glio di giu­sti­zia e il gio­ve­dì po­me­rig­gio, dal­le 14 al­le 16, c’è il Con­si­glio del­la scuo­la.
C’è poi una gran­de la­va­gna do­ve so­no in­di­ca­ti gli ora­ri dei va­ri club. Chi, per esem­pio, vuo­le stu­dia­re ita­lia­no, può pro­por­lo e se tro­va al­tri ra­gaz­zi in­te­res­sa­ti, met­te su un club, un grup­po, che si riu­ni­sce al­l’o­ra­rio sta­bi­li­to. La set­ti­ma­na va­ria in fun­zio­ne dei club e del­le esi­gen­ze di cia­scu­no. Ad ogni mo­do uno può par­te­ci­pa­re a que­sti la­bo­ra­to­ri e cor­si op­pu­re ri­ma­ne­re tut­to il gior­no sul di­va­no.

Co­me na­sco­no i club?
La fi­lo­so­fia del­la no­stra scuo­la è che i ra­gaz­zi co­strui­sco­no il lo­ro per­cor­so di ap­pren­di­men­to. Cia­scu­no è li­be­ro di stu­dia­re quel­lo che ha bi­so­gno di stu­dia­re e tut­ti i mez­zi so­no buo­ni. Se un ra­gaz­zo vuo­le im­pa­ra­re una lin­gua, può af­fi­dar­si a un in­se­gnan­te, può ap­pren­de­re su in­ter­net; se vuo­le, può or­ga­niz­za­re un viag­gio di stu­dio. È la­scia­to tut­to al­la li­ber­tà del­lo stu­den­te.
Ab­bia­mo avu­to club sul­la com­me­dia, sul­la cu­ci­na, sul­la scien­za, sul­la mu­si­ca, sui man­ga. Nel club scien­ze si ra­du­na­no e fan­no del­le pic­co­le espe­rien­ze, de­gli espe­ri­men­ti. Il club di ma­te­ma­ti­ca è sta­to crea­to per ri­spet­ta­re le in­di­ca­zio­ni del­l’e­du­ca­zio­ne na­zio­na­le. In ef­fet­ti in Fran­cia vi so­no un in­sie­me di com­pe­ten­ze che i ra­gaz­zi deb­bo­no ap­pren­de­re fra i 6 e i 16 an­ni. Co­mun­que an­che nel club cu­ci­na fan­no mol­tis­si­ma ma­te­ma­ti­ca.
Ci so­no poi club mol­to ef­fi­me­ri. Per esem­pio, se deb­bo­no fa­re un viag­gio, crea­no un club ap­po­si­to. L’an­no scor­so al­cu­ni han­no la­vo­ra­to in cam­pa­gna, in fat­to­ria in cam­bio di vit­to e al­log­gio. Il club al­la fi­ne è una as­so­cia­zio­ne fra per­so­ne che vo­glio­no fa­re qual­co­sa as­sie­me. Ogni club è un mi­cro­co­smo, è una so­cie­tà de­mo­cra­ti­ca che si riu­ni­sce…

E chi non ha vo­glia di far nien­te?
Chi non vuo­le far nien­te, non fa nien­te. Può ve­de­re la te­le­vi­sio­ne, con­sul­ta­re in­ter­net, gio­ca­re con i vi­deo­gio­chi. La dif­fe­ren­za con il ri­ma­ne­re in ca­sa è che co­mun­que non ti chiu­di nel­la tua ca­me­ret­ta con una piz­za e una co­ca co­la, ma stai in mez­zo agli al­tri. Re­sti in un con­te­sto col­let­ti­vo e vie­ni tra­sci­na­to nel­le di­scus­sio­ni. In fon­do noi che co­sa ci ri­cor­dia­mo di bel­lo del­la scuo­la: la re­la­zio­ne con gli al­tri, i com­pa­gni, i bra­vi in­se­gnan­ti…

Di­ce­vi che qui i ra­gaz­zi im­pa­ra­no a es­se­re li­be­ri…
Di­rei che nel­la no­stra scuo­la i ra­gaz­zi im­pa­ra­no che è mol­to dif­fi­ci­le es­se­re li­be­ri. Per­ché è co­sì: es­se­re li­be­ri è una del­le co­se più dif­fi­ci­li! So­prat­tut­to noi adul­ti non sia­mo abi­tua­ti; per i gio­va­ni è più fa­ci­le. Ci so­no ra­gaz­zi che ar­ri­va­no da scuo­le do­ve gli adul­ti ti di­co­no co­sa fa­re in cia­scu­na si­tua­zio­ne. Ec­co, que­sto è un am­bien­te do­ve non c’è nes­su­no a dir­ti co­sa fa­re. Qui pos­so­no fa­re ciò che vo­glio­no. E, ri­pe­to, non è fa­ci­le!
Ale­xan­der Neill, il fon­da­to­re di Sum­me­rhill, di­ce­va che quan­do un alun­no en­tra­va nel­la lo­ro scuo­la do­ve­va pas­sa­re at­tra­ver­so un per­cor­so di “gua­ri­gio­ne”, e sti­ma­va che ci vo­les­se­ro me­si, a vol­te an­ni. In una pri­ma fa­se il ra­gaz­zo sem­pli­ce­men­te ri­fiu­ta di fa­re ciò che gli vie­ne pro­po­sto da un adul­to. Ci met­te un po’ a ca­pi­re co­sa vuo­le fa­re dav­ve­ro, al di là dei con­di­zio­na­men­ti ester­ni.
Per esem­pio, l’an­no scor­so so­no pas­sa­ti die­ci me­si pri­ma che un ra­gaz­zi­no di­ces­se: “Ma po­trem­mo an­da­re in pi­sci­na…”. Do­po che è ve­nu­ta fuo­ri l’i­dea, han­no co­strui­to un pro­get­to di rac­col­ta fon­di, per­ché a Pa­ri­gi è mol­to ca­ro. Era­no in una de­ci­na e han­no fat­to dei dol­ci per met­te­re as­sie­me i sol­di ne­ces­sa­ri. Se lo aves­si­mo pro­po­sto noi, gli avrem­mo tol­to la sod­di­sfa­zio­ne di far­lo da so­li. Que­sto è il mo­to­re del­l’e­du­ca­zio­ne.

Ma co­me fun­zio­na l’in­se­gna­men­to? I ra­gaz­zi stu­dia­no an­che la geo­gra­fia, la sto­ria, la let­te­ra­tu­ra?
C’è una cu­rio­si­tà na­tu­ra­le per que­ste co­se: i viag­gi, la geo­gra­fia; ci so­no an­che ra­gaz­zi­ni ap­pas­sio­na­ti di sto­ria. Pe­rò, at­ten­zio­ne, qui non si pen­sa che ci sia­no ma­te­rie più im­por­tan­ti di al­tre. Qui pro­muo­via­mo un ap­pren­di­men­to au­to­no­mo, che av­vie­ne so­prat­tut­to at­tra­ver­so il ri­co­no­sci­men­to di un pro­prio bi­so­gno. C’è un bi­so­gno, un de­si­de­rio die­tro la mo­ti­va­zio­ne.
Tor­no al­l’e­sem­pio dei ra­gaz­zi che vo­le­va­no an­da­re in pi­sci­na. Un pa­io, di sei an­ni, non sa­pe­va­no fa­re le ad­di­zio­ni. Be­ne, per met­te­re as­sie­me i sol­di per la pi­sci­na han­no do­vu­to im­pa­ra­re! So­sten­go che noi adul­ti dob­bia­mo aver fi­du­cia nei più gio­va­ni: im­pa­re­ran­no tut­to ciò di cui han­no bi­so­gno per vi­ve­re. Di que­sto non dob­bia­mo du­bi­ta­re.
L’al­tra pe­cu­lia­ri­tà di que­sto luo­go è che è una scuo­la mul­ti-età: non ci so­no clas­si, i ra­gaz­zi stan­no tut­ti as­sie­me. Ci so­no qua­ran­ta­tré ra­gaz­zi e sei adul­ti. Il più pic­co­lo ha tre an­ni (an­che a que­st’e­tà c’è un gra­do di au­to­no­mia), il più gran­de ne avrà di­ciot­to la set­ti­ma­na pros­si­ma.
Ci so­no pa­rec­chi ado­le­scen­ti di quat­tor­di­ci-quin­di­ci an­ni che han­no un at­teg­gia­men­to mol­to re­spon­sa­bi­le ver­so i più pic­co­li; so­no co­me dei fra­tel­li o so­rel­le mag­gio­ri. I più pic­co­li so­no co­stan­te­men­te sti­mo­la­ti dai più gran­di. I più gran­di a lo­ro vol­ta han­no a di­spo­si­zio­ne una scuo­la aper­ta, in cui pos­so­no ospi­ta­re un ar­ti­sta che vie­ne qui a fa­re una scul­tu­ra. Fac­cia­mo dei pe­rio­di di “im­mer­sio­ne” per per­so­ne che so­no in­te­res­sa­te a ve­ni­re nel­la no­stra scuo­la, e che por­ta­no ciò che so­no ca­pa­ci a fa­re. Nel­le pros­si­me set­ti­ma­ne ver­rà qual­cu­no a pra­ti­ca­re sport.
Dun­que lo sti­mo­lo av­vie­ne at­tra­ver­so l’a­per­tu­ra sul­l’e­ster­no. Cer­to, bi­so­gna sem­pre at­ten­de­re che si com­pia que­sta fa­se di “gua­ri­gio­ne”. Per­ché tan­ti so­no an­co­ra pre­da di cer­ti au­to­ma­ti­smi, per cui pre­fe­ri­sco­no il non fa­re nien­te al fa­re qual­co­sa, per­ché tut­te le vol­te che avreb­be­ro vo­lu­to fa­re qual­co­sa so­no sta­ti co­stret­ti a fa­re al­tro. Quin­di al­l’i­ni­zio c’è una sor­ta di iner­zia, che non è do­vu­ta al­la man­can­za di sti­mo­li, ma al non sa­pe­re co­sa si vuol fa­re. Noi co­mun­que ri­spet­tia­mo que­sto mo­men­to.

Quan­do esco­no da qui?
Ab­bia­mo aper­to da po­co, quin­di è pre­sto per ave­re un ri­scon­tro. Ne­gli Sta­ti Uni­ti, l’80% pro­se­gue con gli stu­di; il 20% si fer­ma; in que­sto ca­so scel­go­no per­cor­si ar­ti­sti­ci o co­mun­que la­vo­ri in cui non ser­ve il di­plo­ma. In Fran­cia ab­bia­mo an­che l’ho­me schoo­ling, cioè i ra­gaz­zi­ni che stu­dia­no a ca­sa. Ec­co, sap­pia­mo che chi vuo­le an­da­re avan­ti in ge­ne­re im­pie­ga quat­tro-cin­que me­si per pre­pa­rar­si al di­plo­ma e nor­mal­men­te ce la fa. A ri­pro­va che quan­do si fan­no le co­se per sé, per­ché è un pro­prio de­si­de­rio o bi­so­gno, non ci so­no pro­ble­mi.

L’e­co­le dy­na­mi­que è una scuo­la pri­va­ta: chi la fre­quen­ta?
La no­stra scuo­la non ha al­cu­na sov­ven­zio­ne pub­bli­ca per­ché non se­gue il pro­gram­ma na­zio­na­le. Co­sta cin­que­mi­la eu­ro per tut­to l’an­no. Sap­pia­mo che non è po­co, d’al­tra par­te pa­ghia­mo 90.000 eu­ro al­l’an­no so­lo per l’af­fit­to dei lo­ca­li. Sia­mo a Pa­ri­gi!
Co­mun­que non è una scuo­la per i ric­chi. Ab­bia­mo ra­gaz­zi che ar­ri­va­no da tut­ta l’I­le de Fran­ce e che si fan­no due ore di viag­gio tut­ti i gior­ni pur di ve­ni­re qui. Ci so­no fa­mi­glie in dif­fi­col­tà, a bas­so red­di­to, che scel­go­no co­mun­que di fa­re dei sa­cri­fi­ci pur di man­da­re i fi­gli in que­sta scuo­la. Stia­mo cer­can­do fi­nan­zia­men­ti per po­ter ave­re del­le bor­se di stu­dio già dal­l’an­no pros­si­mo.
Si ri­vol­go­no a noi an­che i ge­ni­to­ri di bam­bi­ni che nel­la scuo­la tra­di­zio­na­le sof­fro­no.
Co­mun­que an­che qui ci pos­so­no es­se­re bam­bi­ni che non si sen­to­no a lo­ro agio; an­che qui na­sco­no dei con­flit­ti, co­me d’al­tra par­te ca­pi­ta nor­mal­men­te nel­la vi­ta. A vol­te ab­bia­mo bam­bi­ni vio­len­ti, co­sì co­me ci so­no bam­bi­ni che han­no su­bì­to vio­len­za. Es­se­re una scuo­la de­mo­cra­ti­ca vuol di­re an­che po­ter im­pa­ra­re che se non vuoi es­se­re vit­ti­ma di so­pru­si de­vi rea­gi­re. Ci vuo­le tem­po, ma se qual­cu­no mi fa pau­ra, qui ho la pos­si­bi­li­tà di di­re ciò che pen­so.
Que­sta in fon­do è la ve­ra sfi­da: im­pa­ra­re a vi­ve­re as­sie­me agli al­tri; im­pa­ra­re ad ascol­ta­re gli al­tri, ma an­che se stes­si. E a spie­gar­si, a par­la­re. Di­re ciò che uno pen­sa non è fa­ci­le. An­che que­sto si ap­pren­de. Qui sei co­stan­te­men­te coin­vol­to in as­sem­blee do­ve ve­di che la pa­ro­la è ri­spet­ta­ta, le per­so­ne ven­go­no ascol­ta­re. Que­sto con­ta di più del­l’im­pe­ra­ti­vo di aver com­ple­ta­to il pro­gram­ma en­tro fi­ne an­no.

Voi non fa­te ve­ri­fi­che, esa­mi…
No. Ma se qual­cu­no vuo­le es­se­re va­lu­ta­to in qual­che co­sa, lo può chie­de­re. Tut­to è li­be­ro. Il pun­to, di nuo­vo, è che uno de­ve ca­pi­re co­sa vuo­le.
Per mol­ti ra­gaz­zi­ni la so­la idea di una va­lu­ta­zio­ne è ter­ri­bi­le, per­ché non so­no pron­ti a ri­ce­ve­re giu­di­zi. Io stes­so ci ho mes­so mol­to tem­po, fi­ni­ta la scuo­la, a stac­car­mi dal­lo sguar­do de­gli al­tri. Il giu­di­zio del­l’in­se­gnan­te mi toc­ca­va mol­to. Ho do­vu­to di­ven­ta­re io stes­so re­spon­sa­bi­le di qual­cu­no per ren­der­mi con­to del pe­so che pos­so­no ave­re cer­te pa­ro­le.
Ci so­no ra­gaz­zi che so­no sta­ti in qual­che mo­do vit­ti­ma del­la vi­sio­ne de­gli adul­ti, che qui con­qui­sta­no una con­sa­pe­vo­lez­za nuo­va, sco­pro­no che non tut­ti por­ta­no la ma­sche­ra del­l’au­to­ri­tà, spe­ri­men­ta­no re­la­zio­ni più nor­ma­li, più na­tu­ra­li.

Qual è il ruo­lo de­gli adul­ti?
Il no­stro ruo­lo è ga­ran­ti­re una cor­ni­ce e un li­vel­lo di si­cu­rez­za. Sia­mo qui an­che per ga­ran­ti­re la fi­lo­so­fia del­la scuo­la. Qual­cu­no po­treb­be ar­ri­va­re do­ma­ni e di­re: “Tut­ti so­no ob­bli­ga­ti a fa­re que­sto…”. An­che se lo fa­ces­se­ro scri­ve­re nel re­go­la­men­to, do­vrem­mo di­re no per­ché va con­tro il fon­da­men­to di que­sta scuo­la. E poi c’è la ge­stio­ne del­la scuo­la, dal pun­to di vi­sta am­mi­ni­stra­ti­vo. Qui ci so­no tut­ta una se­rie di com­mis­sio­ni: le pu­li­zie, il rap­por­to con i ge­ni­to­ri, la con­ta­bi­li­tà… La set­ti­ma­na scor­sa ab­bia­mo fat­to le ele­zio­ni con cui ab­bia­mo in­di­ca­to le per­so­ne per i di­ver­si com­pi­ti (il Con­si­glio di giu­sti­zia può an­che chie­de­re le di­mis­sio­ni di una per­so­na). Io so­no il re­spon­sa­bi­le del­le ri­sor­se uma­ne. An­che i ra­gaz­zi fra gli 11 e i 15 an­ni han­no del­le re­spon­sa­bi­li­tà nel­la ge­stio­ne del­la scuo­la. Per ap­pren­de­re i di­ver­si com­pi­ti ven­go­no af­fian­ca­ti agli adul­ti co­me as­si­sten­ti. Io ho un as­si­sten­te di 14 an­ni che mi aiu­ta nei pa­ga­men­ti. L’as­si­sten­te per la con­ta­bi­li­tà, che ha 15 an­ni, pas­sa qual­che po­me­rig­gio a con­trol­la­re tut­te le fat­tu­re. Beh, an­che co­sì si fa ma­te­ma­ti­ca!

Bar­ba­ra Ber­ton­cin e Bet­ti­na Foa, per Unacittà

(27 gennaio 2017)