L’intervento di Noemi Di Segni:
“Motore delle nostre Comunità”

Con il permesso di Rav Di Segni, Illustri autorità, Signor Ambasciatore di Israele, cari amici,
è un grande onore, Primo ministro Gentiloni, darLe il benvenuto a nome di tutti gli ebrei italiani in questo luogo così solenne ed importante per la nostra storia, per la nostra vita.
Oggi è un giorno speciale. Celebriamo il cinquantesimo anniversario dell’arrivo in Italia degli ebrei dalla Libia. La partecipazione del governo italiano onora noi tutti, tutti coloro che oggi con la loro presenza testimoniano la loro storia familiare e personale, tutti coloro che purtroppo negli anni ci hanno lasciati ma che ci hanno donato i loro racconti. Ma direi di più. Non è solo un onore che porta il visitatore, ma una presa di coscienza attenta e matura di un’Italia che guarda al futuro e ricerca soluzioni di dignità e di prosperità sociale per le sfide di integrazione che ci impongono le ondate di immigranti, di clandestini e rifugiati, di chi cerca una nuova terra. Forse una nuova patria. E ancor più. Questo è un giorno della memoria che trasforma il racconto personale, in esperienza comunitaria, in vissuto che diventa parte di un Paese intero.
I nostri correligionari, costretti a lasciare la Libia in più ondate, sbarcarono portandosi sulle spalle un carico di dolore sconfinato, sogni e speranze traditi da una realtà di segno opposto, l’incubo di una persecuzione imminente che si era già materializzata con sanguinose violenze e alcune vittime. arrivarono a Roma, soltanto l’ultimo di una serie di pogrom e di sollevazioni di piazza imbevute di fanatismo anti-israeliano e anti-ebraico. Sbarcarono portandosi gli oltre duemila anni di storia stratificata della presenza ebraica in Libia da rintracciare sulle pagine dei libri di storia, non più nel territorio.
Scrive Herbert Pagani in una lettera al Colonnello Gheddafi: “…Ebrei di un paese senza luce, fummo gli ebrei più spenti del Mediterraneo. Privi di quel prestigio di riflesso di cui godono, di solito, i domestici dei grandi Principi, e di cui godettero, almeno una volta durante il loro esilio, tutte le altre comunità. La nostra storia fu così negata, sepolta, per tanti secoli, che senza il libro dello storico Renzo De Felice, “Ebrei in un paese arabo” (…) di questa non resterebbe più, oggi, traccia, né, domani, ricordo. “
Per circa 4,100 di loro questo vissuto è un altro lato della complessa narrazione della guerra dei sei giorni tra Israele e i Paesi Arabi confinanti, estesa per le ripercussioni ad altri territori arabi, alla Libia e ai suoi ebrei. Storia mai narrata allora.
Lo status di rifugiati loro assegnato sotto l’egida dell’Alto Commissario dell’Onu appena giunti, fu presto dimenticato da qualsiasi organizzazione internazionale, dall’UNHCR molto attento alle vicende di altri profughi, di altri popoli. Questa è la storia di centinaia di migliaia di profughi ebrei dai molti Paesi Arabi, mai ascoltata e riconosciuta. Con forza oggi, assieme a loro e ai loro avi vorremmo che questo venisse fatto.
Ad accoglierli in Italia nel 1967, cercando assieme ad altre istituzioni (Roma, Milano, Livorno) di alleggerire le loro sofferenze, traumi e difficoltà anzitutto logistiche e di primo riparo, furono l’allora Presidente dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane Sergio Piperno-Beer, assieme al Rabbino Elio Toaff. Il loro forte impegno, la mano tesa delle nostre Comunità hanno coadiuvato un processo di accoglienza ed integrazione.
Da precaria minoranza di individui costretti a confrontarsi con un futuro incerto la trasformazione, in questi 50 anni, in un vero e proprio motore delle nostre Comunità, nei ruoli apicali e nell’infrastruttura socio-economica: è un contributo che voglio sottolineare qua, oggi, con emozione.
La loro presenza e partecipazione, così intensa, così tangibile nelle molteplici sfumature del nostro quotidiano, ha arricchito ulteriormente il già diversificato mondo ebraico che da oltre due millenni è radicato in questo paese, cosi l’intera società italiana. È un patrimonio straordinario in termini di usi e costumi, ma anche a tavola, nelle arti, nella produzione culturale e intellettuale.
E’ quel commovente orgoglio di potersi dire oggi italiani, quella gratitudine che non li ha mai lasciati e che hanno voluto esplicitare impegnandosi, dal primo giorno del loro arrivo in questo paese, rispettando equilibri del nostro quadro costituzionale: diritti-doveri-tutela e riconoscimento, per il bene comune.
E’ la storia un equilibrio cercato e raggiunto tra diverse identità, ciascuna consapevole del proprio particolare, di mondi che si incontrano dando vita a un proficuo scambio di esperienze, che non può non parlare al nostro presente.
Ancora nelle parole di Pagani “…Ma stai tranquillo, non è per nostalgia che ti scrivo … Se ti scrivo, è per dirti che la nostra comunità è viva, che cresce e prospera, che si è rifatta, hamdullah. Perché avendo perso tutto non aveva altra scelta se non avanzare… Ma Allah, che è grande e vede lontano, ha voluto, per tua mano, farci partire, affinché io andassi a cantare i miei canti sotto altri cieli…”.
Oggi più che mai, con l’Europa che vede la presenza di tanti immigrati provenienti dai medesimi Paesi, che vive una trasformazione accelerata e l’impressionante dialettica tra l’abbraccio dell’accoglienza e il braccio della morte, dobbiamo agire.
Dobbiamo poter guardare al futuro con fiducia. Non con timore. Con spirito di interesse e curiosità alla diversità. non diffidenza.
L’accoglienza oggi è certamente ben diversa. Con lo sforzo del governo, enti e nuclei specializzati attenti alla sofferenza umana, al salvataggio di viste e al soccorso, si fà già molto, ma non basta.
Ricordiamo anche che esistono milioni di persone che desiderano vivere e restare nei loro Paesi. Dobbiamo allora responsabilmente adottare una politica estera che generi stabilità nei Paesi di provenienza, che gli esodi cui assistiamo quotidianamente siano storia e non futuro da gestire.
In questo giorno di memoria vanno ascoltate le storie degli ebrei di Libia. Proseguire nel progetto sostenuto dall’Unione di raccolta delle testimonianze dirette per trasmetterle. Avere il coraggio di trasformare il vissuto e l’esperienza del passato e del singolo in una memoria condivisa e in modelli di integrazione efficaci.
Coglierne il dolore per ciò che si sono lasciati alle spalle e presumibilmente non tornerà più, ma anche quell’ardente desiderio di futuro, quella insopprimibile volontà che li porta a superare ogni ostacolo e avversità.
Ringrazio Claudia Fellus per le memorie di famiglia, che assieme a tanti altri amici, mi ha tramesso in questi anni e soprattutto in questi ultimi giorni di preparazione all’evento, per trovare il coraggio di poter parlare qui oggi e per aver curato il filmato che abbiamo visto nel quale parlano direttamente i testimoni di quei terribili giorni, assieme al regista del film Tony Villani che ringrazio per la sua opera e dedizione.
Grazie di cuore.

Noemi Di Segni, Presidente UCEI

(8 giugno 2017)