M, la denuncia girata in yiddish
conquista il pubblico di Locarno

“Io sto tra la mia gente con il coltello per aggredirla. Io sto tra la mia gente con il coltello per proteggerla”. È la frase, attribuita a Franz Kafka, con cui la regista francese Yolande Zauberman chiude la sua ultima opera, “M”, Premio Speciale della Giuria alla settantunesima edizione del Festival internazionale del cinema di Locarno. E aggiunge, sempre in sovrimpressione: “Questo film è il mio coltello”.
Non potrebbe essere altrimenti per un documentario che dopo l’applauso che a Locarno spesso accoglie la fine di una proiezione lascia il pubblico in silenzio. Un silenzio doloroso che dura tutto il tempo dei titoli di coda nel buio della sala, nera come la maggior parte delle scene di un film girato praticamente solo di notte tra quelli che all’inizio definisce “gli uomini in nero”, e ancora, durante la coda per uscire fino a fuori, davanti al cinema, dove il sole di Locarno colpisce in maniera insopportabile dopo due ore di buio. Un mondo luminoso in violento contrasto con la storia del ritorno di Menachem Lang nella comunità haredì in cui è cresciuto, e in cui è stato più volte vittima di violenza.
1064117Un’indagine durissima sul clima di repressione e omertà che circonda lo stupro dei bambini all’interno del mondo delle yeshivot di Bnei Barak, condotta proprio da M, Menachem Lang, appunto, attore israeliano che ha lavorato anche con Amos Gitai, di cui la Zauberman è stata allieva. Ma “M, il mostro di Dusseldorf” è anche il titolo del primo film sonoro di Fritz Lang, girato nel 1931, l’ultimo prima della fuga negli Stati Uniti, per scampare alla follia nazista. Un mostro seriale che è sia un singolo che una collettività. Come in “M”.
Oltre alla voce di Menachem Lang, infatti, sussurrata voce narrante, ma anche bella voce di cantore che nel film torna più volte su quella melodia che durante le violenze lo aiutava a estraniarsi, a sopravvivere, parlano molti altri. Si raccontano, si interrogano, si mettono sorprendentemente in gioco parlando delle proprie esperienze, di sesso, di omosessualità e dei soprusi subiti e imposti. E anche di come sono sopravvissuti, e a che prezzo.
Rompere il circolo vizioso, ossessione di tutti coloro che compaiono nel documentario, un elenco insopportabile di vittime che a loro volta diventano assalitori. Maestri, fratelli, amici, padri che vanno a comporre il racconto sussurrato, intimo e collettivo allo stesso tempo di un dolore insuperabile. Insopportabile.

Ada Treves twitter @ada3ves