Mantova – La metamorfosi del lampione

una variazione di kafka“Sono una persona socievole, ma in carcere – almeno per leggere e per dormire – preferivo star da solo” arriva così, un po’ a sorpresa, la confessione autobiografica di Adriano Sofri a Mantova Festivaletteratura durante il partecipassimo appuntamento del sabato sera condotto dal giovane scrittore Giorgio Fontana. Si parla di Una variazione di Kafka, sua più recente avventura letteraria, edita da Sellerio nel 2018; “Pur di poter stare da solo avevo accettato una cella minuscola e veramente disgustosa: diciamo che di scarafaggi me ne intendo. Un giorno viene da me, un po’ imbarazzato, uno scassinatore di quelli vecchio stile, un mio amico.. Mi dice – ma perché te ne stai qui da solo sotto terra? Vieni su con noi al terzo piano: pensa che di sera, se ti arrampichi alla finestra, puoi vedere persino le luci delle automobili che si muovono!”. Un’immagine alla quale l’autore non aveva più pensato, che gli è tornata alla mente imbattendosi in quello che sembrerebbe essere uno dei più clamorosi errori di traduzione della storia letteraria del novecento, ma che forse non lo è. All’inizio della seconda parte della Metamorfosi, Kafka scrive – in tedesco – che Gregor Samsa, dalla sua stanza, vede le luci dei lampioni (Strassenlampen). Nella più recente edizione italiana di Rizzoli, grazie al testo a fronte, appare lampante la discrepanza: in italiano infatti, le luci dei lampioni sono diventatate luci dei tram (Strassenbahn). La differenza è presto intuita: i lampioni stanno fermi, mentre i tram si muovono, con immediate conseguenze sulla continuità e il tipo di luce propagata dagli uni e dagli altri.. Inizia così una ricerca avventurosa che porta il giornalista e studioso alla ricerca della prima traduzione in lingua romanza, ossia quella spagnola, del 1925, da decenni attribuita a Jorge Luis Borges e che si scopre essere opera di una donna affascinante, Margarita Nelken, ebrea, femminista, socialista, figura importante della guerra civile spagnola, e pure prima traduttrice di Kafka dieci anni dopo la pubblicazione della Metamorfosi. (Si scopre tangenzialmente che molti anni dopo, messo alle strette da un giornalista francese, Borges negò la paternità della traduzione, ma che ancora oggi sono in molti ad attribuirgliela comunque). La ricerca non si ferma all’Argentina: si attraversa, grazie a internet, mezzo mondo – dalla Turchia all’Uruguay passando naturalmente per Praga – e commuove Adriano Sofri quando confessa ai circa duecento convenuti per ascoltarlo, con tenerezza di anziano che conta le opere che gli restano da compiere e i giorni per farlo: “Spero di riuscire a mettermi in contatto e fare in tempo ad andarlo a trovare, il traduttore di Montevideo, Flor, anche se so che gli darò un dolore, svelando l’errore della sua traduzione!”. Nel racconto entrano anche – come potrebbe essere diversamente? – alcune delle “donne di Kafka”, quali Milena Jesenskà, che tentò una traduzione mai pubblicata, e Felice Bauer, berlinese, forse la meno intellettuale fra le sue amate, con la quale intrattenne una fitta corrispondenza che per un certo tempo ebbe come oggetto principale proprio il tram. Felice scrisse un giorno a Kafka di essere saltata da un tram in corsa e questo lo allarmò enormemente (qui sembra – nel racconto di Sofri – di sentire parlare più Woody Allen che Franz Kafka, tanto la nevrosi si fa tardo novecentesca) rendendolo ossessivo verso il pericolo sfiorato, o verso dettagli logistici quando Felice confessa di scrivergli spesso dal tram, mentre si reca al lavoro. Siamo tutti con Adriano, oramai ansiosi anche noi di sapere come ha fatto – tanto di metamorfosi stiamo parlando – un lampione a trasformarsi in tram, quando ecco la soluzione, che era lì da sempre sotto gli occhi tutti: è stato Kafka stesso a scrivere entrambe le possibilità, a lasciarci scegliere. Come? Tirate giù il libro dallo scaffale e guardate voi!

Miriam Camerini