…eredità

Dunque aveva ragione il viceministro Di Maio: si sta facendo la storia. Ovvero, qualcuno sta facendo la storia, e qualcun altro inevitabilmente la deve subire.
Salvini ha incontrato Marine Le Pen e insieme hanno gettato le basi per un’Europa sovranista, un’Europa che renderà i paesi sovrani del loro destino, quello economico, in primis. Perché il nostro ministro dell’Interno abbia incontrato una politica che non fa parte di alcun governo non lo si capisce, e nessuno se lo chiede. In effetti, il ministro sta facendo il politico di partito che sta lavorando a una coalizione internazionale per le elezioni europee. Sarebbe stato certo più pulito che a quell’incontro neofascista ci fosse andato qualcun altro, non il ministro dell’Interno.
Nella drammaticità di un mondo che si sta spostando ogni giorno di più verso la destra estrema, ci si chiede, comunque, come Salvini e la Le Pen possano conciliare il sovranismo dei loro rispettivi, singoli paesi con l’accordo sovranista di un intero continente. Come si farà a conciliare lo spirito nazionalista della nuova Italia con lo spirito sovranista, poniamo, di una nuova Francia? Potrà ancora l’imprenditoria d’Oltralpe fare shopping da noi e appropriarsi delle grandi aziende italiane, o il nostro spirito sovranista si ribellerà alla colonizzazione economica e scenderemo in guerra contro la Francia? E faremo guerra all’Austria per salvaguardare l’italianità dei toponomi altoatesini e contrastare il principio della proposta doppia cittadinanza dei sudtirolesi?
Al di là delle assurde contraddizioni, preoccupa che il sovranismo di questa nuova internazionale di destra stia cercando di imitare uno spirito che apparteneva al più odiato dei suoi nemici, l’Internazionale comunista. E se proprio non coltiviamo alcuna nostalgia per l’invasione dell’Ungheria o per quella della Cecoslovacchia, non avremmo neppure alcun desiderio di benevole alleanze neofasciste di segno opposto. L’Europa avrebbe bisogno d’altro.
E non ci si illuda che lo spirito sovranista si accontenti di operare sul piano economico. Ha infatti già chiare le idee su chi siano i suoi nemici mortali, perché il complotto è sempre alle porte, i poteri forti sono sempre in agguato, malefici, a cospirare ai danni del nuovo ordine. Ogni errore politico, ogni fallimento economico non può che avere un nemico, per non essere addebitabile a incapacità e mancanza di visione della politica al potere. Il colpevole deve essere sempre qualcun altro, e a individuarlo non si deve far fatica. È cominciata così la caccia alle streghe, e a farne le spese è, per ora, la stampa, che osa criticare l’azione del governo. Va quindi denunciata, messa all’indice, depotenziata.
Ammetto, e non vorrei farlo, che da anni leggo Repubblica. La leggo anche se spesso non ne condivido le posizioni, ma stimola il mio spirito critico, specie con i suoi report aprioristicamente ostili a Israele. Da anni scrivo inutilmente al Direttore, o ad Augias, per protestare. Ricordo il livore di Sandro Viola, ereditato ora da qualche suo collega. Ma è preferibile una critica diretta e contestabile all’adulazione melliflua e interessata di qualche falso amico. L’importante è sapersi guardare dagli amici non meno che dai nemici. La fiducia non la si regala, la si presta, a scadenza, in amara attesa di smentita.
Con tutto ciò, non è accettabile, e non è proprio di un sistema democratico, che la politica metta il bavaglio alle idee, dopo che quella stessa politica, per anni, ha vomitato fiele e gettato fango su tutto e su tutti i suoi avversari. E dovrebbe preoccupare ogni spirito libero che la politica minacci di conculcare, direttamente o indirettamente, la libertà di stampa e di pensiero. Ho spesso pensato di smettere di leggere Repubblica. Oggi, invece, ne comprerò due copie.
Quando un governo, invece di proporre una efficace azione politica a favore del paese, passa il tempo a puntare l’indice contro i suoi nemici, qualche cosa davvero non va. Ora, questi supposti nemici si stanno moltiplicando. Non basta l’ebreo Soros, troppo amante del pensiero liberal, troppo vicino a gruppi democratici di protesta, non basta la stampa di opposizione o quella indipendente, il nemico è anche nella minuscola frazione di Riace. Così, se un sindaco mostra un’umanità fuori luogo e fuori tempo, lo si elimina senza andare troppo per il sottile. Non ci si chiede, ad esempio, se la giustizia contempli anche giustificazioni e attenuanti. Rubi una mela e vai in galera. Rubi milioni allo Stato e tratti una tranquilla restituzione a lunghissimo termine. Chissà che il tempo non mandi il debito in prescrizione.
Se ti era stato promesso che tutto sarebbe cambiato, ti accorgi invece che tutto continua uguale come prima. Le auto blu e i loro privilegi continuano a girare indisturbate per le strade. Solo sono cambiati i passeggeri, con i loro stipendi ingiustificati e fuori misura, con le loro assunzioni amichevoli e allergiche a curriculum e concorsi.
La domanda, alla fine, è sempre la stessa: quante generazioni ci vorranno, se mai possa accadere il miracolo, perché chi riceverà questa nostra sventurata e immorale eredità riconquisti lo spirito etico che una società giusta dovrebbe saper esprimere?

Dario Calimani, Università di Venezia