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Cactus (e fotocopie)

Cavaglion Ho voluto aspettare di vedere l’omaggio per i suoi 90 anni che gli ha dedicato “Cartevive” (n. 56-2017), la rivista della Biblioteca Cantonale di Lugano che conserva il suo prezioso archivio prima di scrivere anch’io qualcosa su Guido Ceronetti, deceduto alcune settimane fa. La donazione del suo archivio (1995) era accompagnata da questa nota: “Ho avuto cura di non dare che carte autentiche: nulla di fotocopiato dovrà mai entrare a far parte del Fondo, lo avvilirebbe. Chi consulta deve essere messo a contatto con la verità: il foglio ingiallito, la pagina tormentata sono buoni veicoli spirituali, la fotocopia non la trasmette che apparentemente, in realtà tura la comunicazione…”. Mi sarebbe piaciuto donare al Fondo l’originale della lettera a Giorgina Arian Levi sul Cactus-Isacco Levi (s.d, ma 1995). Una lettera memorabile, che, ahimé, ho ritrovato in copia. Riporto qui l’essenziale, là dove si parla del leggendario Isacco Levi, figura-simbolo della comunità torinese del secondo dopoguerra, “una specie rara di cactus dell’ebraicità tradizionale autentica, in via d’estinzione nelle città non più interessate ad essere vive”. Parole ritagliate su misura per lui, Isacchino, Cactus degli ebrei torinesi. I quali ultimi, in verità, non ne escono benissimo. Non si dà Cactus senza un circostante deserto. Ho imparato molte cose da Ceronetti, che fra l’altro ha avuto un legame stretto con la città dove sono nato, essendo rimasto chiuso nel cimitero locale mentre era alla ricerca di una statua dell’adorato Bistolfi. Aveva sempre nella mia città un buon amico, Mario Donadei: altre lettere che dovrei cercare in originale. Del suo duello con Furio Jesi nel 1967 in occasione della Guerra dei Sei Giorni mi sono occupato altrove. Inutile dire che dal 1995 a oggi le cose non sono che peggiorate: di cactus come Isacchino non si vede in giro nemmeno una fotocopia.

Alberto Cavaglion

(17 ottobre 2018)