“Los membrillos”

Emanuele CalòQualche settimana addietro, grazie ad un invito trovato nel fustino del detersivo, che mi designava quale fortunato vincitore di un premio irrinunciabile, decisi di recarmi presso “Los membrillos”, una provincia ribelle dello Stato centramericano di Santa Juana, per la kermesse bisettimanale del magazine “Injusticia”. Giuntovi dopo una quarantina d’ore di volo in un residuato bellico del primo dopoguerra, seguite da un breve tragitto nella mongolfiera di bandiera dei Membrillos, constatai con mio rammarico che purtroppo pioveva a dirotto a dispetto del meteo, con la conseguente mancanza di ombrelli, tutti lasciati a casa. Scorsi fra il pubblico l’ex sindaco di un capoluogo dell’Italia settentrionale che, con una destrezza insospettabile per la sua età, riusciva ad infilarsi fra una goccia e l’altra senza bagnarsi, mentre gli altri ci inzuppavamo. Non ho fatto in tempo a varcare la soglia dell’edificio che ospitava l’evento, mettendomi al coperto, che sono stato subito interpellato da un signore tutto infarinato, un tale Arnold, mugnaio dilettante, il quale, esibendo una faccia assai irritata, fermava tutti, prendendoci per il bavero e urlandoci in faccia che si sarebbe recato a Berlino, a far valere le sue ragioni presso Frank-Walter Steinmeier.

Non mi sono scomposto più di tanto e, dopo essermi scosso i resti di farina da dosso, mi sono subito avventato su un banchetto dove segnavano dei nominativi, sicuro che riguardassero il buffet. Sennonché, dopo aver fatto una lunga fila, gli addetti mi hanno spiegato che il loro compito era di raccogliere le candidature per diventare relatori nei panel, le quali richiedevano una previa dichiarazione sulle proprie preferenze. Purtroppo, me ne sono andato con le pive nel sacco, perché le domande le avrebbero formulate gli esponenti di una cooperativa sociale, dato che un eventuale contrasto, inasprendo gli animi, avrebbe creato un clima di esasperazione. “¿Y usted querría exasperar a la platea, donde podrían haber niños?” mi domandò una signora dell’organizzazione, una donna di mezz’età, tarchiata e tinta di rosa, che sembrava menare le danze. La guardai perplesso e costei, mossa a compassione, riformulò la domanda in italiano: “E lei vorrebbe esasperare la platea, dove potrebbero esserci anche dei bambini?” La mia faccia contrita rese inutile ogni commento e la donna, commossa, mi mise in mano il programma, tanto per distrarmi; sfogliandolo, notai che una buona parte delle attività culturali, ludiche, filosofiche ed esistenziali, era mirata ad evidenziare le ingiustizie subite da “Los membrillos” per colpa di Jezabele, un perfido staterello che, con la banale scusa di essere l’unico spazio democratico della zona, ne combinava di cotte e di crude, difendendosi senza chiedere permesso agli attaccanti.
Intanto la signora in rosa, che evidentemente mi aveva preso a ben volere, mi spiegò che nei panel dovevano cambiare relatori più svelto che potevano fino a trovare quello veramente adatto. Questo faticoso andirivieni, concluse la donna, era largamente compensato dai consensi riscossi; tant’è che consiglierei, sommessamente, di acquistare più fustini di detersivo, per ragioni che avrò cura di spiegare in un mio prossimo volume.

Emanuele Calò, giurista