NARRATIVA Un tunnel direzione vita

tunnelAbraham B. Yehoshua / IL TUNNEL / Einaudi

Le librerie di fine anno sono inondate da sciocchezze: mi chiedo sempre chi compri quei volumi inutili che definiamo strenne, per non parlare dei libri scritti da cantanti-calciatori-soubrette e senza aggiungere le antologie cretine del tipo “Natale in giallo” e “Cenone col delitto”. Tuttavia, qualche buon romanzo riesce a farsi strada sino a noi lettori. Ed è così che pesco, sul bancone delle novità di questa fine 2018, “Il tunnel” (Einaudi, traduzione di Alessandra Shomroni, pp. 339, € 20), ultima fatica di uno scrittore israeliano che ho amato ancor prima di leggerlo, Abraham B. Yehoshua (1936), conosciuto secoli fa a Haifa e segnalato per pura e semplice simpatia alla casa editrice dello Struzzo, quando i suoi capolavori (“L’amante”, “II signor Mani”, “Un divorzio tardivo”) erano inediti da noi, o di là da venire. Da allora, questo scrittore non ha mai tradito il sottoscritto e le decine di migliaia di aficionados che si è guadagnato in Italia. Perciò niente di meglio che concludere in bellezza. L’elemento più affascinante (e per me ipnotico) dei romanzi di Yehoshua non risiede nelle storie che racconta: talvolta si tratta di storie di straordinaria complessità, che incrociano il destino individuale con quello del suo Paese; talaltra si tratta di vicende più semplici e magari meno riuscite sotto il profilo narrativo. Ma ciò che è una costante riconoscibile già dal primo rigo di ogni suo libro, ciò che cattura la mia attenzione in maniera vorrei dire magica è il tono della sua scrittura. Yehoshua non è un autore “flamboyant, non gioca d’effetto e anzi snobba gli artifici. Ha una voce piana, ragionevole, esatta: che però è sempre spiazzante. La sua bonomia è un’apparenza, perché punta a restituire le vibrazioni più misteriose e conturbanti della nostra anima. “Il tunnel” non è il suo romanzo più riuscito – ha un finale debole e i personaggi di Assael e Hanadi sono poco sgrossati – ma è un eccellente viatico verso il nuovo che la vita sa regalarci, anche se siamo vittime della più stolida fra le angherie.

Mario Fortunato, L’Espresso, 30 dicembre 2018