Mino e Rosa Segre

davidsoraniA Torino l’artista Gunter Demnig ha posto 15 nuove pietre di inciampo. In città il totale delle Stolpersteine, progetto curato da Museo Diffuso – Comunità ebraica di Torino – Goethe Institut Turin – A.N.E.D. con il sostegno di Istoreto, Città di Torino e Consiglio Regionale del Piemonte, sale così a 108. Lascio il mio spazio odierno a un intervento dell’insegnante Eva Vitali, che racconta la storia di Mino e Rosa Segre, ex allievi del Liceo Berti morti nella Shoah e ricordati adesso da due Pietre d’inciampo davanti al loro Liceo, e si sofferma sulla appassionata ricerca che studenti di oggi hanno dedicato a due studenti di allora.

David Sorani

Con la posa delle Pietre di inciampo per Rosa e Abra(Mino) Segre davanti alla scuola in cui hanno studiato si è concluso, per il momento, un appassionante lavoro di ricerca iniziato due anni fa nell’archivio storico del Liceo Berti di Torino.
Con un gruppo di alunne abbiamo iniziato una ricerca esaminando materiale degli anni 30/40 alla ricerca di notizie relative ad alunni ed insegnanti ebrei durante il fascismo, con particolare attenzione al periodo delle leggi razziali. Sono stati analizzati registri, verbali, fascicoli, attestati che hanno permesso di individuare 6 alunni e tre insegnanti; in seguito il lavoro si è focalizzato su due fratelli , Rosa e Abramo Segre di Chivasso, i cui nomi abbiamo trovato subito tra i deportati ad Auschwitz, Abramo immatricolato con il numero 168019, Rosa con la madre Ernesta probabilmente eliminate all’arrivo al campo.
Da quel momento è iniziato un lavoro che ci ha portato di archivio in archivio a ricostruire la vita e la morte degli appartenenti ad un piccolo nucleo familiare la cui storia era caduta nell’oblio
Abramo (Chivasso 9/7/1920 – luogo ignoto febbraio 45) e Rosa Segre (Chivasso 2/9/1922 -Auschwitz dicembre 1943) vivevano con la madre vedova, Ernesta Sacerdote, a Chivasso in Piazza Vittorio Emanuele 10. Abbiamo scarse notizie sulla loro vita prima delle leggi razziali, sappiamo attraverso documenti dell’EGELI (Ente gestione e liquidazione immobiliare) che la madre era proprietaria dell’edificio dove vivevano e probabilmente di un negozio di tessuti allo stesso indirizzo. Possiamo immaginare un’adolescenza tranquilla a Chivasso, una signora torinese nel suo diario dice che li frequentava, unici ragazzi ebrei della città; in quegli anni i due ragazzi frequentano l’istituto magistrale Berti a Torino, lui nella sezione C, lei nella E.
Ci risulta dai documenti della scuola che nell’anno scolastico 37/38 Abra(mino) si diploma e Rosa, detta Rosita in famiglia, è stata rimandata a giugno e promossa a settembre alla classe II E, in cui però il suo nome non compare più, ormai sono esecutive le Leggi razziali. Non risulta che Rosa abbia proseguito i suoi studi alla scuola ebraica, probabilmente non li ha mai conclusi.
Ritroviamo i nomi di Ernesta Sacerdote e di Rosa, come residenti a Torino ma a due indirizzi diversi, nel censimento del 37 /38 in cui gli ebrei furono costretti a denunciare la loro appartenenza alla “razza”, mentre di Abramo non c’è traccia. Nulla abbiamo scoperto per il momento del periodo dal 38 al 43.
Poi la catastrofe. Rosa e Abramo con la mamma Ernesta vengono catturati a Chivasso il 25/10/43 (Cdec) da nazifascisti, portati prima alle Carceri Nuove di Torino (troviamo nel museo delle carceri due documenti del comando tedesco con i loro nomi e la data della partenza, il primo dicembre), quindi a Milano a San Vittore, infine fatti salire su un convoglio al Binario 21, verso la Polonia e con emozione vediamo i nomi di Abramo, Rosa ed Ernesta sul Muro dei nomi.
È il 6 dicembre, il giorno 7 Abramo riesce a consegnare una lettera dal treno in transito alla stazione di Peschiera del Garda e da qui comincia il racconto …..
(La data del 7 dicembre 1943 viene utilizzata dagli uffici dell’anagrafe di Chivasso negli anni 50 come data di morte presunta: è l’ultimo momento in cui tutti e tre risultano ancora vivi!)
Abramo indirizza la sua lettera-testamento ad una cara amica (forse la sua fidanzata) Lucia Bracco, le racconta quello che sta succedendo, la nomina erede delle sue poche cose e le descrive gli ultimi tragici momenti, parla della prigionia in carcere e del viaggio, le dice teneramente addio, ricordando i bei momenti passati insieme.
Nella seconda parte della lettera la nomina sua erede testamentaria, le spiega di essere stato tradito da un creditore della ditta in cui lavorava e le chiede di farsi dare tutti gli arretrati a cui ha diritto. Il conto è dettagliatissimo. Lucia riceve la lettera e subito la ricopia in bella scrittura, è questo il documento originale che scopriamo all’archivio Terracini. Sempre in un fondo nello stesso archivio troviamo un carteggio tra gli avvocati della comunità e Lucia per la questione dell’ eredità, la ragazza chiede notizie di Abramo, non sa cosa fare, c’è poi un biglietto in un testimone, Enzo Levy deportato nello stesso convoglio di Abramo e con un numero di immatricolazione molto vicino, che ha visto morire Abramo nel febbraio del 45. La povera Lucia non riceverà nulla, della ditta non si conosce il nome, sappiamo dall’archivio di Chivasso che si sposerà solo nel 1965, venti anni dopo, le mie alunne pensano che abbia troppo sofferto per la morte di Mino.
Dopo lunghe ricerche troviamo finalmente dei familiari dei Segre a Torino, cugini di secondo grado, nipoti di quel generale Edoardo Sacerdote che nel dopoguerra era andato a chiedere notizie alla comunità ebraica. Sempre il generale negli anni 50 dedica degli alberi del KKL alla nipote Rosita, di cui la famiglia conserva l’attestato . Grazie ad una cugina scopriamo l’esistenza di altri documenti che un familiare ha donato al museo della Shoah di Washington e riusciamo ad averne copia.
Con emozione vediamo per la prima volta la scrittura nervosa e disordinata di Abramo, il biglietto originale gettato del treno, un foglio di carta di recupero, capiamo che Lucia ha voluto ricopiare il testo per preservarlo.
C’è anche una seconda terribile lettera di Abramo, del 30 novembre 1943, anch’essa ricopiata in bella regolare scrittura da Lucia. Abramo le scrive dal carcere intestando “43 giorni di prigionia” e le chiede di portare a lui e alle sue donne cibo e beni di prima necessità, spiegandole come fare, i suoi vestiti ad esempio sono rimasti dalla suore dell’istituto San Giuseppe di via Gioda (via Giolitti) a Torino dove probabilmente ha vissuto nell’ultimo periodo. Spera ancora, ingenuamente, di poter essere liberato dal “figlio del console” e dice: “chiedo scusa per la mia insistenza ma non è cosa difficile, dato che non abbiamo fatto nulla e dato che i miei sono donne”. Abramo, un ragazzo di soli 23 anni, si sente responsabile della sua sorellina e di sua madre, non più giovane.
E qui per ora si conclude il nostro lavoro che negli ultimi due anni ha coinvolto studenti di varie classi, grazie ad una mostra di documenti e all’allestimento di due spettacoli teatrali su questa storia.
Non abbiamo purtroppo trovato foto dei due ragazzi ma da martedì 22 gennaio tutti i 1200 alunni del nostro istituto leggeranno sulle Pietre di inciampo i nomi di Rosa e Abramo, entrando ed uscendo da scuola, ogni giorno. Proprio per questo ci è sembrato importante il luogo in cui le pietre saranno poste, perché in questo modo i ragazzi di adesso e ancor più quelli degli anni a venire potranno ricordare cosa è successo a questi loro sventurati compagni, rendendo viva la memoria.

Eva Vitali, insegnante Liceo Berti di Torino