…scelte

La decisione di procedere nelle sanzioni verso i cori razzisti che si sentono allo stadio risponde a una logica precisa. La Federcalcio difende in questo modo gli interessi dei club in una dimensione internazionale e non solo. Sono sempre più numerosi gli episodi in cui le squadre italiane vengono sanzionate ed è assai evidente la distanza fra gli slogan delle campagne contro il razzismo che sono diventate una bandiera del football mondiale e la realtà di quel che si vive andando allo stadio in Italia. La svolta è necessaria innanzitutto in prospettiva manageriale. I vertici della Federcalcio non sono improvvisamente pervasi da uno spirito di civiltà del dialogo e dell’integrazione. Si tratta più prosaicamente di aderire a un ambiente di business nel quale certi estremismi nel linguaggio sono controproducenti e fanno male a una delle più fiorenti imprese finanziarie attualmente in voga.

Tuttavia gli stadi sono anche – tradizionalmente, fin dai tempi dell’Impero bizantino – una palestra politica. Lì si lascia maggior libertà di espressione, in quei luoghi la “pancia” del paese è più a suo agio nell’esprimersi in un’atmosfera giocosa, nella quale la differenza fra il simpatico sfottò e la pesante ingiuria si fa lieve e impercettibile. Le forze dell’ordine assistono senza intervenire, le autorità non si muovono, ed espressioni che fuori dallo stadio sarebbero sanzionate dalla giustizia (di stato, non quella sportiva) vengono accettate e a volte promosse.

È questo il contesto nel quale alcune forze politiche hanno scelto in maniera consapevole di perseguire l’estensione di questa “libertà di linguaggio” anche agli ambienti esterni alla dinamica dello stadio. I social media sono stati lo strumento per diffondere all’esterno, nella nostra vita quotidiana, quelle espressioni di odio e di violenza che un tempo non sarebbero state accettabili e che ora diventano una componente quasi essenziale del dibattito politico. È questa la ragione essenziale della resistenza evidente da parte dell’attuale ministro degli interni ad avallare le azioni sanzionatorie proposte dalla Federcalcio contro i cori razzisti. Colpire quei cori, impedirli, dovrebbe essere un’attività naturale, immediatamente conseguente alle perquisizioni personali che le forze dell’ordine compiono prima e dopo i tornelli di accesso agli stadi: in quei luoghi non devono entrare bottiglie, bastoni, armi e parole insultanti. Invece non sembra essere così, e la ragione è più che evidente. Impedire quei cori significa colpire chi utilizza quelle stesse espressioni nella polemica politica quotidiana, diffondendo post di Facebook e twitter intrisi di aggressività razzista e spesso antisemita. Significa quindi perdere un’arma politica importante. Si tratta di scelte. Se le si compie si opera nella direzione di restituire una dimensione di civiltà agli incontri sportivi e al dibattito politico. Se non le si compie, se si fa finta di nulla o, peggio, se le si ostacola, significa che si intende proseguire nel percorrere questo piano inclinato verso l’imbarbarimento del linguaggio che prima o poi aprirà le porte alla libera espressione della violenza fisica, che nella politica italiana ha conosciuto momenti tragici che sono stati condannati dalla storia.

Gadi Luzzatto Voghera, Direttore Fondazione CDEC