Verona – Il ’38 e l’Italia in esilio

IMG-20190205-WA0014Si è aperto questa mattina nei locali dell’Università di Verona il convegno “L’Italia in esilio – La migrazione degli intellettuali italiani dopo il 1938”. Durante le due giornate di lavoro del convegno, che ha avuto anche il patrocinio di UCEI e Comunità ebraica veronese, sono previsti numerosi interventi nelle quattro sessioni: “Le leggi antiebraiche del 1938, genesi, caratteri e conseguenze”, presieduta da Donatella Calabi dell’Università IUAV di Venezia; “Esilio intellettuale, esilio ebraico ed esilio politico”, presieduta da Francesco Cassata dell’Università di Genova; “Spazi ed esperienze dell’esilio: Europa e Stati Uniti”, presieduta da Renato Camurri dell’Università di Verona; “Verso l’America Latina”, presieduta da Marie-Anne Matard-Bonucci dell’Università Paris 8.
All’apertura hanno portato il loro saluti il rettore dell’ateneo veronese Nicola Sartor, il direttore del Dipartimento Cultura e Civiltà Arnaldo Soldani, l’assessore alla Cultura del Comune Francesca Briani, il Presidente del Banco BPM Carlo Fratta Pasini. Bruno Carmi ha portato i saluti di UCEI e Comunità ebraica.
Di seguito il suo intervento

Vi porto i saluti e gli auguri di buon lavoro della Presidente dell’Unione Comunità ebraiche italiane, Noemi Di Segni, e del Presidente della Comunità ebraica di Verona, Celu Laufer, che in questi giorni è in Israele.
Il 14 luglio del 1938 apparve sul Giornale d’Italia quello che storicamente è conosciuto come “Manifesto della razza” e che al punto 9 definisce gli ebrei come “non appartenenti alla razza italiana”.
Tra i dieci firmatari vi furono alcuni dei migliori scienziati italiani tra i quali Guido Landra, Nicola Pende (direttore dell’istituto di patologia dell’università di Roma) e Sabato Visco (direttore dell’Istituto di Fisiologia dell’Università di Roma).
La firma degli scienziati è stato un atto di vera barbarie, ma ancor più grave fu la corsa di tanti intellettuali, ben 330, ad aggiungere la propria firma in calce a quel documento. Uno fu padre Agostino Gemelli, fondatore dell’università cattolica del Sacro Cuore. Un altro fu Amintore Fanfani; e firmarono il poeta Ardengo Soffici, lo scrittore Giovanni Papini, il giornalista Mario Missiroli.
Quello che seguì fu un processo di persecuzione che partendo dalla morte civile e politica, passò attraverso la morte economica – con la soppressione dei posti di lavoro, il sequestro dei beni, il lavoro coatto e sottopagato – per approdare alla morte fisica con la cattura e la deportazione nei campi di sterminio e gli assassini di massa.
Tra gli ebrei e gli antifascisti italiani, chi potè fuggì all’estero, negli Stati Uniti, in Sud America, in Inghilterra e in Svizzera. Altri si nascosero e qualcuno, soprattutto i giovani, si unì a chi lottava in clandestinità nelle file della Resistenza.
Permettetemi di esprimere alcuni pensieri legati al Giorno della Memoria. In queste settimane, nei giorni che hanno preceduto e seguito il 27 gennaio ho trovato inquietanti e inadeguati molti interventi, soprattutto di politici, ma non solo, che sia da sinistra che da destra hanno paragonato terribili tragedie che avvengono sotto i nostri occhi a quelle del, per fortuna fallito, genocidio del popolo ebraico che comunque, e questo è bene non dimenticarlo mai, ha assassinato quasi l’80 per cento degli ebrei europei.
È anche emerso un malcontento come se le celebrazioni del Giorno della Memoria fossero un evento che noi ebrei desideriamo anteporre ad ogni altro crimine contro l’Umanità. C’è anche stato un Senatore della Repubblica che ha rispolverato un famigerato pamphlet antisemita “I Protocolli degli anziani di Sion” per fare discorsi su pseudo-complotti ebraici per dominare il mondo e un gruppo neonazista si è riunito il 27 gennaio davanti ai cancelli di Auschwitz ed ha gridato slogan antisemiti dicendo che “è ora di combattere contro gli ebrei e liberare la Polonia”.
Non è così ed affermarlo è storicamente ed eticamente sbagliato. L’unicità della Shoah non deve essere ricercata in quelle che sono state le vittime scelte allora, ebrei, ma anche dissidenti, omosessuali, rom. L’unicità è stata la metodologia nell’organizzarla, la capacità di ottenere consenso e collaborazione, la realizzazione su scala industriale del genocidio.
I Maestri ci hanno insegnato che chi sopprime una vita sopprime il mondo intero e questo è stato fatto anche in Italia dai nazisti e dai loro alleati fascisti, in modo meticoloso e spesso sadico.
Dal vostro convegno emergeranno tutta la ferocia delle leggi antiebraiche e le difficoltà che affrontarono in particolare gli intellettuali e mi auguro che i vostri interventi evidenzieranno anche il fatto che i conti con quel passato la nostra Italia, democrazia ancora giovane e dalla memoria corta, non li ha mai fatti fino in fondo.
Quelle leggi hanno costretto tanti italiani ebrei e dissidenti a scappare o a cercare nascondigli, a procurarsi lavori precari per sopravvivere, a crearsi nuove e false identità.
Sappiamo che quello dell’esilio non è mai un percorso facile. E’ difficile scegliere di fuggire ed è difficile la vita del profugo e l’inserimento in contesti che non sono mai solo accoglienti.
Tra gli intellettuali italiani ed europei che scelsero di emigrare, molti furono anche gli artisti, i musicisti, quelli che definiamo i “creativi”. Con loro approdarono nel Nuovo Mondo idee di modernizzazione e di progresso che nella vecchia Europa furono invece bocciate come Arte degenerata e che consentirono lo sviluppo della moderna architettura, dell’arte, del cinema e dei nuovi settori quali il design. Fu una grave perdita per l’Europa e costituì invece una leva per lo sviluppo economico nel dopoguerra soprattutto per gli Stati Uniti.
Con quegli esilii avvenne, seppure forzatamente, uno scambio culturale tra Vecchio e Nuovo Mondo e quella che sembrerebbe solo una brutta storia dovrebbe servire a farci capire quanto siano importanti gli scambi intellettuali tra diverse realtà, quanto tutto questo sia arricchente per tutti e quanto ancor più lo sia quando può avvenire in seguito a scelte e non ad imposizioni.
Nel ricordare che le diversità culturali sono valori e il progresso viene sostenuto dall’acquisizione del meglio che ogni donna ed ogni uomo possono reciprocamente scambiarsi nel rispetto e con onestà intellettuale, auguro a tutti voi un buon lavoro.

Bruno Carmi

(5 febbraio 2019)