redenzione…

Ecco il pane della sofferenza, che i nostri padri mangiarono in terra d’Egitto; chiunque ha fame venga e mangi; chiunque ha bisogno venga e faccia Pesach. Quest’anno siamo qui; l’anno prossimo saremo in terra d’Israele. Questo anno siamo qui come schiavi; l’anno prossimo saremo in terra d’Israele liberi.
In che senso “siamo oggi qui schiavi”?
Ogni ebreo che vive nel tempo dell’esilio è schiavo delle influenze esterne, deve lottare contro l’esilio identitario che subisce.
“Quest’anno siamo qui; l’anno prossimo saremo in terra d’Israele. Questo anno siamo qui come schiavi; l’anno prossimo saremo in terra d’Israele liberi”. A che scopo la ripetizione?
“Quest’anno siamo qui; l’anno prossimo saremo in terra d’Israele” si riferisce agli ebrei che sono in esilio identitario fuori dalla terra di Israele.
“Questo anno siamo qui come schiavi; l’anno prossimo saremo in terra d’Israele liberi” si riferisce agli ebrei che sono in esilio identitario pur abitando in terra di Israele.
La redenzione, che giungerà per mano divina, è una questione di tempo non di spazio. La redenzione è una questione spirituale (Torah e mitzvoth) non materiale. Anche chi è nella terra di Israele è ancora in esilio finché non giungerà la redenzione completa. A questo fine, per avvicinare la gheulah è necessario lavorare sulla redenzione interiore del singolo ebreo: avvicinandolo alla Torah e alle mitzvoth. Solo questo è il presupposto per la redenzione collettiva e storica del popolo ebraico. Bisogna lavorare sui singoli.
L’anno prossimo saremo a Gerusalemme ricostruita.

Paolo Sciunnach, insegnante

(11 marzo 2019)