La Romania e gli ebrei invisibili

CalimaniViaggiare per vacanza può diventare un fastidio.
Ovunque tu ti muova in Europa, cerchi una sinagoga, un centro culturale ebraico, magari un ristorantino casher, e ti aspetti di imbatterti naturalmente in qualche monumento alle vittime della Shoah. Se fai parte di un gruppetto, ti aspetti anche che la guida ti dica qualcosa sulla storia degli ebrei del paese. E ti aspetti anche che per qualcuno parlarne possa essere imbarazzante. Ma quello che ti succede in Romania ti toglie il fiato, e non vedi l’ora di ritornartene al tuo paese, specie se sei sfortunato e ti capita una guida ignorante, o in mala fede.
In Romania vedi facilmente i souvenir del conte Dracula, ma gli ebrei e la loro storia li tengono ben nascosti. Del resto, c’è poco da essere orgogliosi, in Romania, del trattamento riservato per secoli agli ebrei.
Le sinagoghe sono tutte di fine Ottocento. Ti fa pensare che gli ebrei siano arrivati in Romania dall’Impero Russo con i pogrom della fine di quel secolo, ma non è vero. In realtà, prima di allora le sinagoghe erano vietate.
Gli ebrei non sono un problema dei rumeni. I problemi rumeni sono stati, e sono ancora nei loro monumenti e nei loro pensieri, il comunismo e gli zingari. Il comunismo lo si può anche capire, gli zingari un po’ meno. Ti passano l’idea che il loro incubo sia lo strapotere economico e politico degli zingari, e il fatto di essere considerati essi stessi, in Europa, tutti zingari.
Gli ebrei, peraltro, non sono un problema, anzi, sono invisibili. Nessuno ne parla. Come nessuno parla del massacro di metà della popolazione ebraica commesso dai nazisti con la convinta e partecipe collaborazione dei rumeni. Per non rischiare di doverne parlare, neppure ti indicano una sinagoga se le passi davanti. Oltre quattrocentomila ebrei morti passati sotto criminale silenzio. Se ne lavano la coscienza continuando ad affermare, sottovoce, che il comunismo in Romania lo hanno portato loro.
Eppure il turismo arricchisce la Romania di folle di israeliani, anche con kippah. I ristorantini vendono pizza in caratteri ebraici. E forse è proprio per questo che non si ricorda il passato, per il timore di disturbare il presente.
Una religiosità diffusissima, chiese dappertutto a memento dello spirito umanitario, altoparlanti che trasmettono messe a tutto volume all’aria circostante, monumenti alla resistenza anticomunista, indici puntati contro gli zingari, anche quelli che si stabilizzano e coltivano i campi, e tanto spirito razzista sparso a piene mani fra i turisti che, infastiditi, cercano di trovare in sé la forza di resistere a tanto odio e a tanta ignoranza.
Si è provata la Polonia, e si è provata la Romania. Forse la Lituania è meglio lasciarla perdere.

Dario Calimani, Università di Venezia