Bucarest e la sinagoga tra palazzi kitsch

Giorgio Berruto“Sighet non è più Sighet”, ha scritto Elie Wiesel in uno dei suoi racconti più belli, “L’ultimo ritorno”, contenuto nel volume dal titolo “L’ebreo errante” (Giuntina). In queste pagine il testimone sopravvissuto descrive venti anni dopo la Shoah il ritorno nella città natale, avvertita ormai come straniera, lontana, inavvicinabile anche se “non è cambiata per niente”.
Non sono mai stato a Sighet, che Wiesel tratteggia come “una piccola città polverosa […] da qualche parte nella lontana Transilvania, all’ombra dei Carpazi, presso la frontiera più capricciosa d’Europa”. Ho appena trascorso invece una settimana in Romania, il paese in cui oggi Sighet è compresa. Non mi sono recato nella città di Wiesel – troppo lontana a nord, al confine con l’Ucraina – mentre sono stato in altri centri e nei Carpazi meridionali, quelli di Vlad Tepes “l’impalatore” trasformato con una buona dose di nonchalance in Dracula. Nella bella Transilvania, per inciso, ho incontrato un po’ ovunque turisti israeliani e non credo di esagerare sostenendo che l’ebraico è la lingua che ho sentito parlare più spesso dopo il rumeno, il tedesco e l’inglese.
Come molti ebrei in vacanza, sono andato a dare una sbirciata ad alcune sinagoghe a Brasov, Sibìu e Bucarest. Mi ha colpito, in particolare, la Sinagoga grande di Bucarest, che però ho visto solo dall’esterno (la mia guida Lonely Planet promette invece meraviglie descrivendo gli interni). L’edificio, costeggiato da un parcheggio, è in un sobborgo appena fuori dal centro storico, un quartiere francamente brutto come gran parte della città. E’, inoltre e soprattutto, letteralmente circondato da orribili palazzi di circa dieci piani nello stile dell’edilizia voluta da Ceausescu negli ultimi anni del regime. Il criminoso e megalomane programma di ristrutturazione urbanistica varato dal dittatore puntava ad assediare il centro con case popolari a dir poco di cattivo gusto. Bucarest non è quindi la Sighet identica ed estranea visitata da Wiesel, Bucarest è forse ancora più estranea perché trasformata, e in peggio. La conseguenza è stata la distruzione di alcune chiese, la dislocazione di altre e il soffocamento di quelle rimanenti, tra cui veri gioielli, in mezzo a grigi palazzoni che non sono nemmeno anonimi – è probabilmente il massimo a cui potrebbero tendere – ma kitsch. Una sorte che la Sinagoga grande purtroppo condivide.

Giorgio Berruto