Il dossier Primo Levi a Torino
Cent’anni e un originale
sguardo sul mondo

primapagI luoghi, anche i più anonimi, acquistano un significato se qualcuno li racconta, se fanno parte di una narrazione. Diventano tangibili, reali, e in alcuni casi importanti, se c’è qualcuno che ce li fa notare altrimenti restano lì, immobili, non visti e sconosciuti. Nelle pagine del dossier Primo Levi a Torino curato da Daniel Reichel su Pagine Ebraiche di settembre in distribuzione, un piccolo tributo nel centenario della sua nascita, si è cercato di porre in rilievo alcuni dei luoghi di Torino a cui il grande scrittore, Testimone e chimico, ha dato un significato parlandone nei suoi libri o nelle sue interviste. Non è la geografia a fare di Levi l’interprete universale dell’umanità, ci ricordano alcune delle prestigiose firme che hanno contribuito a questo Dossier, ma i luoghi della sua città, Torino, ci aiutano a comprendere la complessità di un personaggio straordinario: scienziato, letterato, poeta, umorista, torinese/piemontese, cittadino del mondo. È lui stesso a disseminare nei suoi libri riferimenti alla sua città: dalla casa in Corso Re Umberto alle vicine scuole elementari Felice Rignon e al liceo D’Azeglio; dal “minareto” di Chimica ai marciapiedi, dalle targhe delle officine di Corso Giulio Cesare al parco del Valentino. In queste pagine, alcuni angoli di Torino prendono vita attraverso lo sguardo di Primo Levi, acquistano significato grazie alla sua originalità, a chi li ricorda e a chi li ha fotografati. Non è una guida ma un omaggio a un torinese dal linguaggio universale.

In un’intervista alla televisione del 22 maggio 1981 fu chiesto a Primo Levi che cosa fosse per lui la piemontesità. Lo scrittore tenne subito a precisare la propria diffidenza verso tutte le “tà”: per due terzi un mito su cui è bene non insistere troppo. Certo, subito dopo disse di condividere alcune caratteristiche abitualmente attribuite ai suoi conterranei: la costanza, la serietà, portare a termine un’impresa iniziata, non fare il passo più lungo della gamba. Ma a simili qualità sembrava attribuire un valore che andava ben oltre i confini regionali. Come se l’impronta ricevuta dalla terra di origine valesse più che altro per la sua dimensione universale che non per i suoi tratti particolaristici.
Anche il legame di Levi con la propria città va visto nella medesima prospettiva: un legame molto stretto, rafforzatosi lungo tutta una vita, fatto di luoghi, di persone, di sensazioni condivise. C’è da chiedersi però cosa fosse la città che tante volte si è affacciata nei suoi racconti, nelle sue poesie o nella lingua di un personaggio come Faussone, protagonista de La chiave a stella. Era una città che nel corso dei decenni non aveva mai cessato di rivendicare in tanti modi diversi, più che la propria vocazione di capitale d’Italia, la propria dimensione europea.
Ad esempio: lo scambio intenso, di ampio respiro, fra la cultura scientifica e quella umanistica aveva a Torino ascendenze ottocentesche, e forse più antiche. Quella vocazione non venne mai meno per tutto il primo ‘900, e caratterizzò l’ambiente universitario, pur penalizzato dalle meschinità del regime, e si intersecò con la proiezione internazionale così viva negli ambienti antifascisti di varia estrazione, comunista, socialista, liberale. Ne fu segnato in profondità anche l’ambiente ebraico molto presente nell’intellettualità cittadina.
Primo Levi veniva di lì e, quando tornò da Auschwitz, fu condotto quasi naturalmente a misurare la propria esperienza su quell’orizzonte tanto ampio. La tragedia appena vissuta rimandava per forza di cose alle domande essenziali sulla storia e sulla natura dell’uomo. Ma per lui, grazie al clima culturale nel quale si era formato, fu forse più facile che per altri interpretare in una chiave universalistica l’esperienza appena vissuta. D’altra parte la Torino del dopoguerra continuava a mantenere una dimensione aperta all’insieme del paese e alle correnti europee: nel campo delle scienze, in economia, nel modo editoriale. Tutti luoghi che a Levi erano particolarmente congeniali, per contingenze quotidiane e soprattutto per scelta.

Fabio Levi, direttore del Centro studi internazionale Primo Levi

(9 settembre 2019)