Esperanto del Lager

Lotoro officialNegli Stalag e Oflag i militari prigionieri di guerra diedero sfoggio di solida preparazione attoriale nonché ottime capacità di staging e organizzazione teatrale; il travestimento – data la presenza di soli uomini e la necessità di ricoprire ruoli femminili in prosa, commedia musicale o altro – toccò livelli elevati con risultati più che soddisfacenti anche sul piano del trucco.
Talora i travestimenti erano talmente ironici da suscitare grande ilarità nel pubblico ma ciò era voluto dal copione; in altri casi, prigionieri di guerra erano splendidamente vestiti da donna ed estremamente curati nei particolari, dal rossetto alle gambe depilate (i prigionieri di guerra richiedevano alle autorità tedesche l’acquisto di creme per l’epilazione e quant’altro necessario).
Dal più sperduto Campo sui Pirenei della Francia di Vichy al più inaccessibile Gulag del regime sovietico passando per Auschwitz e Vorchuta, la musica placava istinti onnivori del cervello, aiutava a lottare contro l’apatia di tanti prigionieri rassegnati offrendo loro temporaneo sollievo psichico, fungeva da àncora in sicuri porti dello spirito e boa di salvataggio mentale, nel catapultare l’immaginario del deportato verso il futuro costruiva ponti tra presente e passato, creava parvenze di vita quotidiana obnubilando il Block, migliorava il cameratismo e creava connessioni del cuore con la madrepatria, insegnava ad amare il Bello e il Buono, plasmava forme culturali di resistenza e solidarietà in ideali positivi, funzionava da codice e strategia collettiva di sopravvivenza delle identità prima che della vita fisica, come nave rompighiaccio perforava l’isolamento individuale travasando la solitudine in sentimenti di incoraggiamento collettivo, nella massima applicazione dell’ingegno ha consegnato alla posterità migliaia di capolavori pressoché sconosciuti.
C’è qualcos’altro che osiamo chiedere alla musica scritta in un luogo di cattività e deportazione?
Naturalmente, la musica da sola non sarebbe stata capace di compiere tutto ciò, non avrebbe avuto poteri taumaturgici e universalistici se non fosse stato l’uomo ad avere poteri “sovrumani” al punto da rendere la musica autentico Esperanto dell’universo concentrazionario.
Questa musica ha realmente accomunato i deportati a dispetto di ogni diversità nazionale, Adornosociale e religiosa, segnando il trionfo dell’Umanesimo sulle ideologie devastanti del XX secolo.
Nel 1949 il filosofo, sociologo e musicista tedesco Theodor Wiesengrund Adorno (foto) affermò che “scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie”; Adorno criticò successivamente questa sua affermazione ammettendo l’errore ma a noi quella frase consente ugualmente di maturare una riflessione sostituendo o affiancando alla poesia citata da Adorno la musica e l’Arte in generale.
Proviamo a metterla così: fare musica dopo Auschwitz senza suonare la musica di Auschwitz è inconcepibile alla luce dell’immenso materiale musicale prodotto in deportazione e prigionia.
Non adoperarsi per diffondere e promuovere questa musica sopravvissuta ad Auschwitz e a decenni di oblìo sarebbe qualcosa di peggio della barbarie.

Francesco Lotoro