Storia, non fiction

SoraniLa carenza di una dimensione storica nella visione del mondo della società contemporanea nel suo complesso è sotto gli occhi di tutti. Anche a monte del deficit di specifiche conoscenze sul passato, atteggiamenti ricorrenti nei comportamenti di massa rivelano, soprattutto nelle giovani generazioni, una preoccupante assenza di retroterra e di prospettiva storica, una sorta di “destructuratio historiae”, una perdita strutturale di mentalità storica. Di quali processi siamo figli e verso quali orizzonti siamo indirizzati pare che non solo interessi ormai a pochi, ma sia una questione inavvertita dai più, di fatto inesistente. Anestesia de-storicizzata, potremmo definire la condizione prevalente della nostra epoca.
Situazione certo solo apparente, generata da una diffusa quanto inconsapevole ignoranza; perché l’ininterrotto mare magnum della storia non cesserà mai di travolgerci e di coinvolgerci. E della storia quale punto di riferimento, quale metro di orientamento per le scelte di oggi abbiamo di fatto sempre bisogno; più che mai di fronte alle emergenze dei nostri giorni, si chiamino esse razzismo, o antisemitismo, o neofascismo, o neo-nazionalismo.
Bisogno di storia, però: di profondità storica, di categorie storiche, di visione storica, di interpretazione critica storica; non di narrazioni edulcorate e falsamente semplificate, non di cartoni animati giapponesi che senza una autentica analisi di situazioni cause contenuti e conseguenze ci arruolano tutti tra le “truppe del Bene”, aiutandoci a condividere le sofferenze altrui, a farci sentire tanto “buoni”, ma non a comprendere una realtà sempre complessa e articolata, spesso contraddittoria.
Pare invece che a questa dimensione puramente narrativa, a questa fiction della storia raccontata attraverso le emozionanti e spesso romanzate vicende personali – la storia che diventa una storia – si affidi ormai gran parte dei tentativi di formazione storica di massa (con l’unica evidente eccezione dei programmi di Rai Storia). L’idea di fondo è certo quella, non del tutto peregrina, che insieme alle storie coinvolgenti dei personaggi così passerà anche la Storia con la “s” maiuscola, il mondo d’assieme che determina proprio i casi singoli degli uomini. Peccato però che proprio questa “fiction/amo” che dovrebbe aiutare a pescare il “pesce-storia” sia ciò che soprattutto appassiona il pubblico e condiziona gli ascolti, al di là del contesto sociale e politico di fondo; e poiché è cosa nota che il medium è il messaggio, viene naturale pensare che anche l’obiettivo reale delle produzioni non sia tanto quello di “avviare alla storia” quanto quello di incrementare lo share.
Naturalmente, è sempre possibile coniugare partecipazione personale alla trama con seria divulgazione di contenuti e invito alla riflessione storica: la storia del cinema, ma anche quella degli “sceneggiati” Rai, è piena di esempi in tal senso. Il problema è però che sempre più spesso le fiction di oggi tendono a non affrontare davvero questa esigenza primaria di stimolo alla comprensione complessiva e si accontentano di una ricostruzione sommaria dello “sfondo” basata sulla prospettiva attuale (e dunque falsamente semplificante), per concentrarsi su personaggi (ri)creati in modo schematico e su storie individuali sovente inventate allo scopo di dare vita anche a una dimensione sentimentale.
Ciò non aiuta a ricostruire una struttura storica perduta, perché non permette di guardare a ieri attraverso occhi odierni ma consapevoli delle differenze tra epoche distanti. Assimila invece il passato al presente, alimentando così il nostro smarrimento storico.
David Sorani

(4 febbraio 2020)