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L'Unione informa |
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4 marzo 2009 - 8 Adar 5769 |
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alef/tav |
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Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano |
Rashì,
commentando l'inizio della parashà di Tetzavè, rileva che ci sono due
tipi di richieste fatte al popolo ebraico per la costruzione e il
mantenimento del Santuario. Una richiesta è totalmente volontaria e
libera: ognuna può portare ciò che vuole. Ma c'è un'altra richiesta che
invece è obbligatoria ed è il mezzo siclo che ogni membro del popolo
doveva offrire per acquistare ciò che era necessario al pubblico.
Questi due tipi di offerte rappresentano due elementi caratterizzanti
della tradizione ebraica. Da una parte l'offerta libera sottolinea
l'importanza e l'unicità di ogni singolo individuo; le offerte sono
diverse perché le persone sono diverse.Ogni persona è un mondo a sé
stante. Lo sviluppo dell'individualità di ciascuno è fondamentale nella
tradizione ebraica, però la somma delle individualità non forma un
popolo. Perché si possa parlare di popolo, è necessario che ci sia
qualcosa che vada al di là dell'individualità e che ciascuno
si senta parte di una collettività. L'offerta del mezzo siclo
rappresenta questo secondo aspetto. Ognuno porta la medesima offerta e
quest'offerta consiste nella metà di un moneta, per sottolineareche ciascuno è una metà che aspetta di essere completato dagli altri. |
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Hillary
Clinton manda due inviati a Damasco. Scommette sulla possibilità di
staccare la Siria dall'Iran. Una mossa da strategia della Guerra
Fredda, come quando Washington corteggiava Bucarest o Budapest per
indebolire Mosca. Uno dei consiglieri più' stretti di Hillary sull'Iran
e' Henry Kissinger.
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Maurizio Molinari,
giornalista |
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Qui Milano - Il futuro con il diploma in tasca "Adesso nuotiamo nel mare grande"
L’esame
di maturità è uno di quei momenti che non ti scordi mai. Anni di scuola
ad aspettarlo e temerlo, considerandolo la fine di tutta la vita che
conosci. Poi passa e ti rendi conto che non si tratta di una fine. Si
tratta di un inizio. Nel 2009 alla scuola ebraica di Milano si sono
diplomati 26 ragazzi, 8 hanno conseguito la maturità scientifica, 7
tecnica e 11 linguistica, lasciando un istituto che nella maggior parte
dei casi frequentavano dall’asilo. Si è chiusa una fase della loro vita di giovani ebrei milanesi. Ma si è aperto qualcosa di nuovo per ciascuno di loro. Michael è uno di quelli che ha deciso di studiare a Milano. È iscritto all’Università Bocconi, facoltà di giurisprudenza. Perché hai scelto di rimanere a Milano? Avevi preso in considerazione anche altre ipotesi? "Guarda,
ho considerato l’idea di prendermi un anno di pausa e trascorrerlo in
Israele, come hanno fatto molti miei amici. Vederli partire ed essere
rimasto qui non è facile, ma in questa città mi trovo bene e ci sono
legato per tanti motivi. Inoltre ho preferito iniziare l’università
subito, perché penso che dopo un anno senza studiare rimettersi sui
libri sarebbe stato davvero difficile".
Come ti trovi all’università? Quanto è diverso l’ambiente rispetto a quello a cui eri abituato? "L’università
mi piace. È un ambiente nuovo e stimolante e sono felice di avere
l’opportunità di fare nuove conoscenze. Per esempio mi ha sorpreso
vedere come i miei compagni di classe, venuti a sapere che sono ebreo,
abbiano dimostrato un grandissimo interesse per l’ebraismo, e tuttora
continuino a farmi moltissime domande. Allo stesso tempo però sono
convinto che instaurare rapporti profondi come quelli che ho coi miei
ex compagni di scuola, con cui ho condiviso tutta la vita, sia davvero
difficile". Economia, scienze della formazione,
comunicazione, biologia, matematica, lingue … Sono tante le facoltà
scelte da chi è rimasto a Milano. Ma ciò che della classe 2008
colpisce maggiormente, è il numero di quelli che hanno preso un altro
tipo di decisione. Sono infatti più di una decina, oltre il 30%, i
ragazzi e le ragazze che, intascato il diploma, hanno fatto le valige e
sono partiti. Destinazione Israele. Michal sta frequentando la Mechinà
(il programma della durata di un anno per gli studenti stranieri che
desiderano studiare in Israele) dell’Università di Bar Ilan a due passi
da Tel Aviv. Ha vinto una borsa di studio destinata del Karen Hayesod
ai ragazzi italiani più meritevoli che scelgono di proseguire gli studi
in Israele e, psicometrico permettendo, vuole entrare nella facoltà di
giornalismo o in quella di lingue e letterature straniere. Perché hai scelto di partire per Israele? "Sono
sicura che in Italia avrei trovato delle ottime università, ma questo a
me non bastava. Desideravo ampliare i miei orizzonti, mettermi alla
prova, conoscere persone nuove, fare esperienze diverse. Ho ritenuto
che Israele fosse la scelta giusta".
Come ti trovi lì? "Benissimo!
È tutto assolutamente meraviglioso, la gente è aperta e calorosa. Ed è
bellissimo vedere come i ragazzi arrivino qui da tutto il mondo e ci si
trovi assieme senza barriere o pregiudizi. (E, visto che mentre
parliamo mi racconta di essere in un Mc Donald’s kasher con una ragazza
spagnola, una francese e una peruviana, c’è senz’altro da crederle). E se ti chiedo di ripensare a Milano e alla scuola ebraica? "Devo
ammettere che arrivando qui mi sono sentita davvero compiaciuta
scoprendo quanto la mia preparazione e la mia conoscenza delle lingue
suscitino ammirazione. Sono orgogliosa di averla frequentata e, anche se qui sono felice, non posso evitare di provare un po’ di nostalgia". Sono
quattro i ragazzi (anzi le ragazze considerando che sono tutte
fanciulle) che stanno frequentando la Mechinà nelle università
israeliane. Ma sono molti quelli che, pur scegliendo di andare in Israele, hanno optato per soluzioni diverse. Molto
quotata è l’Hachshara , il programma offerto dall’organizzazione
giovanile Benè Akiva. Da Milano sono in cinque. Durante quest’anno
trascorreranno alcuni mesi in Kibbutz e in Yeshivat, faranno
volontariato, studieranno l’ebraico, viaggeranno per Israele. Insomma
un’esperienza completa. Gadi ce ne racconta qualcosa. Cosa ti ha spinto a partire? Perché hai scelto l’Hachshara? "Ci sono diversi motivi. Prima di tutto volevo fare l’esperienza di vivere in Israele. Essendo
da sempre parte del Benè Akiva, ho scelto di partire col loro
programma, anche perché chi l’ha fatto prima di me, ne ha sempre
parlato benissimo". E ora che ci sei dentro? "È
spettacolare! Ci troviamo tutti benissimo. È fantastico avere occasione
di conoscere gente proveniente da tanti posti diversi. Noi italiani
siamo insieme agli svedesi per la maggior parte delle attività, e loro
hanno un modo di vedere l’ebraismo davvero diverso dal nostro. È bello
potersi confrontare". E se ti dico di ripensare al liceo e la maturità? "La scuola mi manca, l’esame proprio no!" Non
vanno infine dimenticate le voci fuori dal coro, una ragazza studia
musica in Israele, qualcuno lavora, altri hanno deciso di prendersi un
anno di tregua … Insomma il panorama è variegato. Rimane
l’auspicio che ciascuno di questi ragazzi raggiunga il massimo nel
percorso che ha intrapreso, portando nel cuore quegli amici che hanno
condiviso con loro un tratto di cammino così importante, fino al
fatidico giorno della maturità. Rossella Tercatin
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pilpul |
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Berlusconi da Gheddafi, le scuse italiane e un accordo da 5 miliardi di euro
Il
Congresso libico ha ratificato il trattato con l 'Italia. Poteva essere
altrimenti? Direi proprio di no visto che in Libia,salvo mutamenti
invisibili, vige una dittatura che si appresta a compiere,con tanto di
invito al G8,40 anni.
Non avendo nostalgia alcuna per il
nostro passato coloniale, non mi sconvolgono le teatrali scuse alla
Libia, ma la genuflessione politica ad un dittatore che nega al proprio
popolo i più basilari diritti umani, complice del terrorismo
internazionale e reo di eliminazione fisica dei propri oppositori,
stride fortemente anche con la più disinibita "real politik" e la
speranza, per alcuni illusione, di buoni affari e di prevenzione dei
"viaggi dei disperati" verso Lampedusa. Peraltro il nostro stesso
Parlamento non ha battuto ciglio, trasversalmente, dinanzi alla
denunzia del regime libico espressa dai Radicali, da Furio Colombo e
pochi altri. Come meravigliarsi, quindi, se l'altra sera il
maggior TG di Stato ha definito Gheddafi "premier", nobile termine che
rimanda direttamente alla più antica democrazia? E che ne sarà ora dei diritti degli ebrei di origine libica?
Gadi Polacco, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
La difficile mediazione sul concetto di laicità dello Stato Ciascuno
di noi ha sperimentato la difficoltà di spiegare ai non ebrei la
differenza fra “ebreo” e “giudeo” (che in quasi tutte le altre lingue è
la denominazione usuale, ma in italiano è insultante), “ebreo”,
“ebraico”, “israeliano”, “israelita” “sionista”, ecc. E’ chiaro per
esempio che molti israeliani non sono ebrei (gli arabi), e che gli
ebrei italiani non sono in genere cittadini israeliani, ma è anche un
po’ ipocrita dire che noi non c’entriamo con le scelte di Israele, come
qualcuno invece sottolinea volentieri. Noi invece sentiamo di entrarci
eccome, nutriamo solidarietà e affetto per Israele. Sempre
“responsabili l’uno per l’altro”, gli ebrei lo sono in particolare per
quel che accade nello Stato che raggruppa metà degli ebrei del mondo,
che sorge sulle terre della Bibbia, che si dice ebraico e democratico.
(Fra i due termini c’è, non certo in teoria, ma in pratica sì, una
possibile tensione demografica, come ci insegna Sergio Dalla Pergola;
ma non affrontiamo qui il tema). Dunque non siamo “italiani di
religione mosaica” come voleva l’assimilazione più estrema all’inizio
del Novecento; l’ebraismo non è solo una religione ma anche (o
piuttosto) un popolo. Ma che rapporto c’è fra le due cose? Possiamo
partire da una parola: quel che separa la religione dal suo popolo o il
popolo dalla sua religione si dice in termini moderni laicità
dello Stato. Tralasciando tutti i grandissimi problemi connessi
alla nostra autodefinizione, vorrei riflettere qui su questo tema della
laicità, che torna di frequente nella discussione politica ebraica. Noi
ebrei italiani siamo certamente laici, anzi forse addirittura spesso
laicisti, perché è la laicità dello Stato italiano che ci consente di
vivere come un diritto la nostra differenza. Per quanto riguarda
Israele, parliamo meno volentieri dell’argomento. Sappiamo che per una
scelta fatta alla fondazione dello Stato, alcune cose sono pochissimo
laiche: per esempio i giovani che studiano in yeshivà non fanno il
servizio militare e non c’è neppure il matrimonio civile, anche se la
maggioranza dei cittadini è laica e spesso preferisce convivere o
sposarsi a Cipro piuttosto che accettare la supervisione
(burocraticamente piuttosto ostica, a quanto dicono) del Rabbinato
centrale. Molti immigrati, per esempio molti di coloro che provengono
dall’Est europeo o molti convertiti, non hanno altra scelta. Non voglio
discutere qui questa situazione. Bisogna notare però che questo
dibattito riemerge periodicamente nella politica israeliana: un paio di
legislature fa con un partito, lo Shinui, nato solo su questo tema e
subito sparito dopo un effimero successo; adesso con Yisrael Beitenu,
definito da alcuni come laicista, ma decisamente timido su questo tema
secondo gli standard europei. E’ interessante il senso
delle parole. Il “laico” delle lingue europee è un membro del popolo
(dal greco laòs), contrapposto alle gerarchie di qualunque tipo; dunque
un non prete, ma anche un giudice popolare che non appartiene alla
magistratura ecc. Solo nell’Ottocento il termine prende a definire non
i membri comuni della Chiesa, ma coloro che vogliono separarla dallo
Stato. In ebraico la parola è “hilonì”, la quale deriva dal termine
“hol” che designa ciò che è contrapposto al “kodesh”, per esempio i
giorni della settimana rispetto allo Shabbat, e ha un riferimento
semantico generale a ciò che è “vuoto” o “mancante”. Dunque nel
profondo “hiloni” connota “profano” o addirittura “dissacrato”. Per
quanto ho potuto accertare, anche “hiloni” come “laico” è un termine
piuttosto nuovo, comunque raro se non inesistente nella Torah. Vale la
pena di riflettere su questa scelta lessicale compiuta forse cent’anni
fa da Eliezer Ben Jehuda, perché nell’ebraico classico c’erano delle
alternative. Coloro che non erano sacerdoti o Levi venivano definiti
infatti semplicemente “Yisrael”, e talvolta si contrappone ai dotti e
agli osservanti l’"am haaretz", la gente comune. La ragione sta forse
nel fatto che l’autonomia della vita politico-sociale rispetto alla
sfera religiosa è molto difficile da sostenere di fronte alla
regolazione minuziosa dei rapporti civili che si trova nella Torah e
nel Talmud; se si guarda alla cronaca dei regni di Israele e di Giuda,
per non parlare dei profeti, è evidente che i re vengono giudicati
secondo i loro comportamenti religiosi, sicché anche grandi sovrani
(sul piano della storia civile) come Omri, vengono giudicati malissimo.
Di più: la pretesa storica fondamentale della storia biblica è che solo
la fedeltà ai precetti può far prosperare il popolo di Israele. Certamente
questa mancanza totale di laicità ha contribuito sul piano sociologico
a far sopravvivere per secoli e secoli le piccole comunità della
diaspora e le dobbiamo forse la nostra stessa esistenza. Ma oggi? E’
possibile, fors’anche necessario un ebraismo laico, al di là dell’ovvia
differenza col mondo cristiano costituita dall’assenza di un clero? O
la laicità propugnata nella diaspora è solo una difesa e l’ebreo “non
può non dirsi religioso”? Bisogna dunque al contrario recedere dalla
pretesa laicità che sarebbe assimilazione e tornare tutti a rispettare
la minuziosa regolazione religiosa del quotidiano? Ma è una prospettiva
realistica? Possiamo essere laici senza essere per questo hiloni,
dissacrati? La nostra anima è a Tel Aviv o a Meà Shearim? O in una
faticosa, incerta, empirica mediazione fra questi due poli, come
provano a fare il sistema politico israeliano e buona parte delle
comunità della diaspora? Le parole possono chiarire i problemi, certo
non li risolvono.
Ugo Volli
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"Israele, miracolo in mutazione". Parla Aharon Appelfeld Parlare
di Israele con lo scrittore Aharon Appelfeld è come chiedere a un padre
di parlare del proprio figlio prediletto. Nessun altro lo conosce
meglio e a legarli è un amore ancestrale, incline alla virtù
dell'indulgenza.Lunedi sera Appelfeld ha presentato al Centro culturale
di Milano il suo nuovo romanzo "Paesaggio con bambina" (Guanda), in cui
la piccola Tsili sopravvive all'Olocausto e trascina attraverso
l'inferno le membra innocenti verso la fragile speranza della Palestina. "Israele
rappresentava la speranza -spiega Appelfeld al Foglio -, per i
sopravvissuti all'Olocausto di trovare un luogo dove sentirsi in
qualche modo amati. E' come un uomo che, procedendo a ritroso,
ritornasse nel ventre della propria madre . Appelfeld preesiste a
Israele, nella lingua ebraica dei suoi libri la medesima parola,
"Ha'aretz", convoglia il duplice concetto di Palestina e Stato di
Israele. La sua opera è un disseppellimento delle identità che lo porta
fino al vertice - un vertice rovesciato, che scava piuttosto che
innalzarsi- della ricostruzione della lingua ebraica, dimenticata ma
non perduta. "L'ebraico non è una lingua artificiale, semplicemente è
una cosa che gli ebrei hanno dimenticato. Non è artificiale perché
tutti gli ebrei l'hanno sempre usata con due scopi: lo studio e la
preghiera, gli aspetti più profondi dell'appartenenza. Si trattava
soltanto di riportare alla luce il suo uso nel parlato, e la cosa sta
avveneudo. Per me sentir parlare l'ebiaico in Israele è un miracolo".
Ma Israele non è un monolite, negli anni è molto cambiato. Il suolo
sacro di Gerusalemme si è allontanato da Tel Aviv, città secolarizzata,
completamente avvinta dalla logica occidentale. In mezzo, la zona
grigia dove si pratica l'arte della normalità, con i suoi flussi vitali
e le ondate migratorie. "Molti ebrei di Gerusalemme sono ultra
ortodossi, ma questo non significa che tutta la popolazione viva
l'appartenenza allo stesso modo. Ma la storia di Gerusalemme è un
incrocio fra tre storie ed è quasi impossibile da spiegare; Invece Tel
Aviv esprime bene i présupposti dello stato di Israele, che è un
progetto secolare". Lo scrittore nativo di Czernowitz, nell'attuale
Ucraina, si spinge fino al controverso abbraccio fra identità religiosa
e secolarismo: "Semplicemente gli ebrei non hanno mai avuto una domanda
sulla propria identità, perché questa è sempre sopravvissuta, anche
nella diaspora. Con la creazione di Israele gli ebrei non cercavano di
colmare un vuoto di identità, ma semplicemente speravano di avere un
luogo dove trovare riparo dopo la tragedia. Un'idea laica e inclusiva
che, si trova ora a fare i conti con un'immigrazione massiccia,
specialmente da parte degli ebrei russi che dopo il collasso
dell'Unione Sovietica - ma "un pò di comunismo gli è rimasto
attaccato"- sono diventati una presenza imponente sul territorio
israeliano. Basta pensare a Israel Beiteinu, il partito nazionalista
del moldavo Avigdor Lieberman, oggi terza forza politica del Paese. La
migrazione fa parte della natura di questa terra e il fattore
particolare dei russi sta nel fatto che sono per la maggior parte ebrei
secolarizzati che conservano legami flebili con la tradizione
religiosa. Questo ha anche un riflesso politico, ma non lo considero in
modo particolare. C'è da dire poi che la destra nazionalista guadagna
consensi in tempo di guerra, mentre io credo che nel giro di qualche
anno la sinistra di stampo socialista tornerà a essere una forza
significativa".
Il Foglio, 4 marzo 2009 |
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notizieflash |
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Calore sulla neve
Il
campeggio invernale del Dipartimento Educazione e Cultura dell'Unione
delle Comunità ebraiche Italiane si è svolto all’insegna del calore e
della partecipazione. La presenza di quasi 50 tra bambini e adolescenti
ha contribuito al clima di allegria e di serenità. Insieme alle
bravissime madrihot, i ragazzi hanno preparato in tempo record due
spettacoli teatrali sul tema di Purim e sul tema dell’Aliah che, oltre
ad allietare i genitori, hanno sicuramente aggiunto un piccolo mattone
alla loro giovane identità ebraica. E poi, incontri informali sulle
piste da sci, nuove amicizie, splendide lezioni di Torah e Talmud di
Rav Roberto Della Rocca, nonché conferenze molto partecipate sul tema
dell’educazione dei figli, le elezioni israeliane e l’antisemitismo
nelle vignette di giornali islamici. Di certo non ultimo per
importanza, uno Shabbat molto coinvolgente accompagnato da Tefilloth a
più voci e riti, e da canzoni dell’ “ebreo errante” con suoni e testi
di tutto il mondo ebraico, diasporico e israeliano. Al momento dei
saluti, la sensazione piena di tornare a casa arricchiti, riscaldati e
rinforzati nella propria identità ebraica e, soprattutto, in quella dei
figli. Un’esperienza da ripetere e un’iniziativa da divulgare,
particolarmente nelle Comunità che hanno maggiormente bisogno di vero
calore ebraico. Ruggero Raccah - moked.it
MO: Abu Mazen chiede l'aiuto statunitense per congelare gli insediamenti israeliani nei Territori
Ramallah, 4 mar -
Il
negoziatore palestinese Saeb Erekat, ha oggi anticipato alla stampa che
il presidente dell'Autorità nazionale palestinese Abu Mazen (Mahmud
Abbas) si accinge a chiedere al Segretario di stato americano
Hillary Clinton l'aiuto attivo degli Stati Uniti per costringere
Israele a congelare l'attività di insediamento ebraico nei Territori.
La Clinton, ieri a Gerusalemme dove ha incontrato i massimi dirigenti
di Israele - nonché il premier designato Benyamin Netanyahu (Likud) -
proseguirà oggi la sua missione a Ramallah (Cisgiordania). Là
incontrerà, oltre ad Abu Mazen, anche il premier dell'Anp Salam Fayad,
con cui discuterà fra l'altro i progetti di ricostruzione per Gaza per
i quali gli Stati Uniti hanno stanziato importanti finanziamenti. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere
ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. |
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