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L'Unione informa |
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3 aprile 2009 - 9 Nisan 5769 |
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alef/tav |
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Roberto Colombo, rabbino |
Veèt hamattè hazèh tikàch beyadèkha
– questa verga prenderai nella tua mano. Con essa farai prodigi
(Hagadà). Spiegava il Rebbe di Belz: “Moshè aveva proprio bisogno della
verga per compiere miracoli? Non bastava la sua parola per mandare
piaghe o aprire il Mar Rosso? Mattè significa verga ma lo stesso
termine si usa nella Torà anche per definire le tribù d’Israele
(mattòt). Tenendo in mano quel bastone Moshè doveva concentrarsi sul
popolo e pensare alla salvezza di ogni ebreo. Allora il miracolo si
compiva”. Se, come insegnante di Torà, pensassi solo al futuro di ogni
mio alunno potrei veramente fare miracoli. |
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Una delle poche facilitazioni che offre attualmente la cittadinanza israeliana è di fare un solo Seder. |
Vittorio Dan Segre, pensionato |
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davar |
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Qui Roma – Lucia Annunziata e l'etica del giornalismo
Lucia Annunziata
e un gruppo di giovani giornalisti, o aspiranti tali, in una tranquilla
serata primaverile nel cortile dalla scuola ebraica di Roma per
rispondere a una domanda "esiste (o esiste ancora) un'etica del
giornalismo?" La Annunziata, giornalista autorevole attualmente
editorialista de La Stampa, ha attraversato il lungo corridoio creato
fra le lunghe file di sedie prima di giungere a un piccolo palco al
centro della sala. Ad attenderla il Presidente della Comunità Ebraica
di Roma, Riccardo Pacifici (nell'immagine assieme a lei) e un gruppo di giovani appartenenti alla Comunità. "Vogliamo
inaugurare un ciclo di incontri sul tema 'Etica e giornalismo', ha
spiegato nell'aprire la serata Riccardo Pacifici, visto che le ultime
vicende della guerra a Gaza, ma forse sarebbe meglio dire a Sderot dal
momento che è da lì che è iniziata, ci ha posto una serie di
interrogativi sul modo di fare giornalismo". Uno schermo gigante
ha poi mostrato le immagini della trasmissione di Santoro
'Annozero' del 27 gennaio dedicata a Gaza. Trasmissione che la
giornalista, ospite della serata, ha abbandonato per protesta contro la
faziosità del conduttore. Un lungo applauso del pubblico ha accolto le
immagini, ma la Annunziata con fare serio e pacato ha spiegato " Non
l'ho fatto per difendere Israele, ero semplicemente indignata di quanto
stava avvenendo, si è trattato esclusivamente di una reazione a livello
professionale che aveva a che fare con l'uso delle immagini, con il
pubblico invitato, con la posizione assegnata agli ospiti in sala. Ho
vissuto in Israele per quattro anni, fra il 1988 e il 1992, dove ero
stata inviata per lavoro, e ho imparato in Israele più che in altri
posti che non bisogna manipolare le emozioni, che non si può raccontare
la guerra attraverso immagini di donne e di bambini che piangono, la
guerra va raccontata con una certa freddezza". Nella sala affollata, il pubblico ascoltava in silenzio e con attenzione, in prima fila sedeva il rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma e sparsi fra la gente, tantissimi giovani. I tre giornalisti Daniel Arbib, Giorgia Fargion e Natania Zevi
hanno posto alla Annunziata domande a raffica: che cosa ha provato nel
rivedere le immagini di quella sera? Pensa che una cosa simile sarebbe
potuta avvenire in una trasmissione del genere in un'altra parte del
mondo? Che cosa la spinse ad abbandonare la trasmissione? Ritiene che
esista un prototipo di giornalista eticamente corretto? Quali rapporti
la legano oggi a Santoro? Le risposte arrivano lentamente, Lucia
Annunziata parla a bassa voce con disponibilità e professionalità senza
infastidirsi, senza tradire un'emozione, poi riguardo a Santoro si
lascia andare a un commento: "Santoro è un grandissimo uomo televisivo,
dà voce a soggetti e temi che nella televisione non ci sono e, a
maggior ragione, per questo sono intervenuta alla sua trasmissione, ma
adesso ho deciso che per due anni non gli voglio parlare..."
Lucilla Efrati e Valerio Mieli
Qui Torino - Molinette, uno spazio dove pregare e raccogliersi senza distinzione di Credo
Centocinquanta
metri per ‘ritrovarsi col proprio spirito’, senza simboli religiosi,
scritte, quadri di alcun genere, il colore azzurro che prevale su tutto
punteggiato da piccole luci che ricordano un cielo stellato. E’ la
nuova ‘Stanza del silenzio’, lo spazio interreligioso aperto a tutti
inaugurato alle Molinette, primo tra i grandi ospedali pubblici
italiani (con i suoi 1250 letti e 35.000 persone dimesse ogni anno) a
dotarsi di un luogo per raccogliersi, meditare, pregare e convivere
meglio, così, con le preoccupazioni per la malattia e la sofferenza
proprie o dei propri cari.
Quando il progetto era stato
annunciato, nei mesi scorsi, avevano scritto anche gli atei italiani
guidati da Piergiorgio Odifreddi: "E chi non crede dove andrà?".
Risposta: "Venite, fateci delle proposte", ma la cosa non ha avuto
seguito. Soddisfatti invece cattolici, evangelici, ebrei, musulmani,
buddisti e induisti che già avevano partecipato all’esperienza del
Comitato Interfedi nato per garantire assistenza spirituale a atleti e
ospiti dei XX Giochi Olimpici: dopo aver già aderito all’iniziativa che
garantisce a tutti i ricoverati dell’ospedale di poter rintracciare un
ministro del proprio culto in ogni momento, ora hanno partecipato
attivamente alla progettazione del nuovo spazio, che contiene tra
l’altro un’area per chi prega o medita a piedi scalzi, panche e sofà,
uno spogliatoio dove lasciare scarpe o indossare eventuali indumenti
rituali. Chi vuole prenotare un incontro collettivo può farlo (allo
011/6336399) ma per il resto chi entra nella Stanza (ricavata dove un
tempo esisteva la cappella cattolica nel seminterrato dell’ospedale
dermatologico e aperta dalle 8 alle 20) deve restare in silenzio. E
l’anno prossimo lo stesso spazio potrebbe essere usato anche dai
pazienti che vogliono leggere nella quiete, in collaborazione con il
Circolo dei Lettori.
Contento il direttore generale,
Giuseppe Galanzino: "Questa iniziativa è all’avanguardia in Italia e ci
abbiamo creduto perché va nel senso di rimettere al centro di tutta la
nostra attività, già eccellente sul piano medico e scientifico, la
persona umana nella sua interezza". E aggiunge: "Il cardinal Poletto ci
ha sostenuti, tra l’altro anche destinando a questa idea la cappella
sconsacrata. In questo campo non sono tanto importanti i numeri, non ci
interessa – almeno in un primo momento – che arrivino decine o
centinaia di persone, ma il messaggio di pace e di convivenza, di
ascolto e di raccoglimento che arriva dal nuovo spazio. Tutti i
rappresentanti religiosi hanno partecipato con entusiasmo proprio per
questo motivo".
(Nell'immagine
in alto un momento della cerimonia all'ospedale torinese delle
Molinette. Al centro del gruppo il vicepresidente dell'Unione delle
Comunità ebraiche Claudia De Benedetti - dal Corriere della Sera, 3
aprile 2009, pagina 25)
Vera Schiavazzi, Repubblica Torino, 2 aprile 2009
Speciale Pesach 5769
Diario Domani,
sabato 4 aprile, è Shabbat hagadol. Si legge una haftarà speciale, dal
terzo capitolo di Malakhì, nella quale si annuncia l’arrivo di Elihau
haNavi “prima che venga il giorno del Signore, grande e terribile”. I
rabbini nella derashà illustrano alcune regole per la preparazione a
Pesach.
Questo e altri contenuti speciali su Pesach nel sito moked.it
Qui Trieste - Un capolavoro di vetro d'oro riemerso dagli scavi di Caesarea
Forse
era un lussuoso tavolo. Forse l’ornamento della nicchia di una
cappella. Il suo utilizzo rimane ancora misterioso. Ma il magnifico
pannello di vetro dorato ritrovato tre anni fa in uno scavo a Caesarea,
nel palazzo del Mosaico dell’Uccello, è senz’altro uno dei più
importanti ritrovamenti registrati in quest’area ancora così ricca dal
punto di vista archeologico. Un reperto unico nel suo genere. La sua
scoperta e il restauro, portato a termine di recente dall’Israel
Antiquities Authority, sono stati presentati a Trieste in un incontro
promosso dall'Adei da uno dei principali artefici, Jacques Neguer,
sovrintendente del Dipartimento di restauro del ministero israeliano
per le Antichità. “Il pannello di vetro scoperto a Caesarea è il
più importante ritrovamento avvenuto nel palazzo di epoca bizantina
situato 500 metri al di fuori delle mura orientali della città di
Cesarea Marittima”, spiega Jacques Neguer, di origini bulgare, che in
passato è stato conservatore all’Istituto nazionale per i monumenti
storici di Sofia e si è specializzato nella conservazione dei mosaici
all’Istituto centrale di restauro di Roma. Il rinvenimento è
avvenuto nel 2005 quasi per caso. Il pannello dorato fu infatti trovato
appoggiato sul grande pavimento a mosaico figurativo, noto come il
“mosaico dell’uccello”, riaperto allora per il restauro. Il retro,
probabilmente realizzato con materiali organici quali legno o tessuto,
è stato completamente bruciato. Ma la facciata a vetro rimasta è un
vero capolavoro. “Il pannello – dice Neguer - comprende una parte
centrale, delimitata da una grande cornice. Entrambe le sezioni sono
composte da una combinazione di tessere translucide di vetro dorato e
tessere di vetro colorato opaco”. “Le tessere dorate – continua - sono
di piccole dimensioni. Le quadrate, decorate con una croce e una
rosetta a otto foglie in rilievo, misurano circa cinque centimetri di
lato mentre quelle rettangolari e triangolari sono anche più piccole. I
motivi sono unici e finora nessun parallelo è stato individuato in
altri scavi archeologici o collezioni”. Lungo la composizione le
tessere di vetro dorato e quelle di vetro mosaico si alternano a
comporre un motivo di grande fascino. E a conferire un tocco di rara
preziosità al manufatto è la presenza, in ciascuna delle tessere di
vetro dorato, di una lamina d’oro sottilissima. L’uso del pannello
è ancora poco chiaro. “Poteva essere usato come tavolo – spiega Jacques
Neguer – poiché somiglia ai tavoli di marmo a forma di sigma frequenti
nelle costruzioni bizantine. Frammenti di tavoli di marmo della stessa
forma e misura sono stati infatti rivenuti nella stessa zona. Ma il
pannello poteva essere usato anche per decorare la nicchia di una
cappella e i disegni che lo ornano avrebbero dunque un significato
religioso, gettando così una nuova luce sull’intero complesso”.
Daniela Gross |
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pilpul |
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Il dibattito pubblico sull'operazione "Piombo fuso"
Penso che sia importante continuare a riflettere sul dibattito pubblico
che c’è stato in questi mesi sull’operazione “Piombo fuso”. Chi segue
con molta attenzione le cronache, si sarà accorto in questi giorni che
un’inchiesta interna dell’esercito israeliano ha dimostrato che erano
infondate le accuse di atrocità sollevate la settimana scorsa da alcuni
soldati anonimi sollecitati da un ex ufficiale condannato a suo tempo
per aver rifiutato di far la guardia a una cerimonia religiosa e che da
tempo si qualifica come un “refuznik”: uno che rifiuta la legittimità
di Israele e della sua difesa. Nessuna vecchietta è stata uccisa per
divertimento, nessun civile è stato mandato a destra invece che a
sinistra per ammazzarlo eccetera eccetera. I soldati che hanno diffuso
le voci non erano stati testimoni oculari ma le avevano riportate da
altri; gli episodi da cui nascevano si erano svolti in modo opposto a
quanto raccontato (per esempio la storia della vecchietta era nata dal
rimprovero di un ufficiale che aveva detto a una sentinella che sparava
in aria per bloccare la figura sospetta che si avvicinava: “fai
attenzione a non colpire i civili”. Qualcosa del genere è
successo con le scuole dell’Onu, che non sono state bombardate durante
l’operazione, come ha dichiarato il loro stesso direttore, ma solo dopo
una massiccia campagna mediatica che condannava Israele per questo
“crimine di guerra”. In particolare ciò è accaduto per il tema
particolarmente critico della morte dei bambini: l’esercito israeliano
ha contato e dato nomi e identità una a una alle vittime della guerra.
i bambini fino a 16 anni erano 89 su 1300 morti circa; perdite
terribili, senza dubbio, ma in proporzioni tali da escludere che siano
state programmate e cercate, ma anzi da dimostrare
statisticamente una particolare cura nell’evitarli, visto che la
loro proporzione sulla popolazione complessiva è di circa la metà. Lo
stesso si è visto col caso Al Doura, quel ragazzino che sarebbe stato
ucciso dall’esercito israeliano all’inizio della seconda intifada, nel
2002. Un tribunale francese ha stabilito che il fatto non era andato
come era stato detto, ma che si era trattato di una montatura della
televisione francese che l’aveva lanciato. E’ probabile che il
ragazzino non sia mai morto e che tutta la scena fosse stata una
falsificazione montata apposta con la complicità dell’operatore locale
della televisione. E’ così per la “strage” di Jenin, per l’”assedio”
della basilica della natività a Betlemme, eccetera. Si potrebbe
continuare a lungo. Il meccanismo è questo: si lancia (spesso sui
giornali israeliani) una calunnia contro Israele e il suo esercito,
questa calunnia ottiene un grande clamore mediatico in tutto il mondo,
dopodiché viene smentita, ma di questo non si occupa nessuno. Che le
smentite non servano a granché nel sistema dei media, anzi che siano
“una notizia data due volte” è un fatto che gli esperti di
comunicazione conoscono bene. Il problema è però più vasto. Mentre è
ovvio che i palestinesi commettono atrocità contro i civili, con gli
attentatori suicidi, i razzi da Gaza, gli stessi crimini contro i
dissidenti della loro popolazione (omosessuali, “collaborazionisti”,
donne ecc.) è Israele che agli occhi del mondo appare come una potenza
omicida e sregolata, i palestinesi come vittime più o meno innocenti.
Che questa propaganda sia propalata dai nemici di Israele è ovvio. Il
fatto è che essa è condivisa da uno strato importante non della
popolazione, ma dell’intellighenzia israeliana ed ebraica, il che
richiede una spiegazione. Se prendiamo il caso delle “rivelazioni”
smentite sulla cattiveria dei “soldati religiosi” , la stessa Haaretz
che aveva propalato le storie senza verificarle con grandi titoli in
prima pagina, ha accettato il verdetto, con un editoriale non firmato e
dunque attribuibile alla direzione, ma si è guardato bene dal chiedere
scusa. Ha pubblicato però anche un’opinione di Gideon Levy, in cui si
sostiene in sostanza che se la giustizia militare ha accertato che i
fatti non si sono svolti e l’esercito non aveva colpe, allora è
sbagliata la giustizia militare. Il fatto è che per molti Israele deve
avere torto, perché i suoi nemici devono aver ragione. E’ un meccanismo
fortemente ideologico, che agisce in molte situazioni politiche ed è
stato analizzato a suo tempo da Gramsci sotto il nome antico di
“egemonia”. Uno strato o movimento sociale per Gramsi è “egemonico”
quando le sue ragioni, che sono ovviamente di parte, diventano la
ragione generale, il criterio di valutazione valido anche per i suoi
avversari. E’ evidente che in questo momento in buona parte
dell’Europa, ma anche nella maggioranza degli intellettuali israeliani,
c’è un’egemonia terzomondista e concretamente filopalestinese. La
tacita premessa di ogni discorso, compreso quello del finto
ammazzamento di Al Doura, è che l’Occidente ha torto perché
colonialista e aggressivo; che Israele è una punta di questo
colonialismo che continua a ferire il mondo islamico, innocente come
tutto il Terzo Mondo; che dunque l’esistenza stessa di Israele è
illegittima, anche se legale. Quindi deve commettere dei crimini.
Quando Gideon Levy parla di “giustizia”, su cui, come raccontava Anna
Foa su Moked
una decina di giorni fa, si sente più severo col suo Paese che con gli
altri, non si riferisce al diritto in senso banale (ciascuno è
responsabile delle sue azioni secondo le leggi), ma a una nozione molto
più ideologica e astratta di Giustizia (come sarebbe giusto fossero le
cose). Non è dunque interessato ad accertare la verità dei fatti, ma a
condannare l’ingiustizia politica costituita dall’esistenza di Israele
(e anche dalla sua, presumo; ma qui siamo nell’ambito ben collaudato
dell’odio di sé che accompagna buona parte dell’ebraismo
moderno). E’ importante rifiutare questa logica: non
è giusta una giustizia ideologica ed egemonizzata dal terzomondismo (o
dai residui di comunismo per cui è ottimo ogni movimento politico o
sociale contrario al capitalismo, sia pure il sistema oppressivo e
“fascista” dell’islamismo militante). La giustizia dev’essere laica,
“uguale per tutti” e non schierarsi a priori per “la parte giusta”,
quella che “ha ragione” per principio. Non c’è bisogno di una giustizia
ideologica e di un’egemonia opposta per assolvere Israele dalle mille
colpe che gli attribuiscono. Basta una giustizia laica, non ideologica,
che accerta i fatti e li misura sulla legge.
Ugo Volli, semiologo
Money - Bank Hapoalim finisce in rosso, ma promette una svolta positiva
Israele
non sfugge all’onda lunga della recessione: la seconda banca più grande
del paese, Bank Hapoalim, ha infatti annunciato una perdita netta
nel 2008 di 895 milioni di shekel (circa 163 milioni di euro), ancor
più grave di quella che era stata stimata nel “profit warning” di
febbraio che parlava di 780 milioni.
In seguito a questa
situazione si è dimesso il Ceo Zvi Ziv, anche per le incomprensioni e
differenti vedute con il presidente del Consiglio d'amministrazione
Danny Dankner, il quale ha affermato che nonostante le perdite, la
banca sta già adottando i provvedimenti necessari per uscire dal
periodo di difficoltà legato inevitabilmente alla crisi economica
internazionale. Inoltre afferma sempre Dankner “la banca ha una solida
base finanziaria e ci aspettiamo rendimenti positivi nei prossimi anni
ed una rinnovata crescita nel lungo periodo”.
Ziv sarà
sostituito dal suo vice Zion Keinan, capo del Corporate Banking e con
un’esperienza internazionale di 30 anni e a detta della banca il
candidato naturale per questa posizione.
La notizia ha
ovviamente avuto grande risalto visto che questa è la prima volta dal
1988 che la banca finisce l’anno in rosso e fa ancora più scalpore se
si pensa al risultato del 2007 nel quale i conti di Hapoalim avevano
visto un utile di 2,7 miliardi di shekel (circa 490 milioni di euro).
In
un contesto del genere e in un periodo da caccia alla streghe nei
confronti dei manager e dei loro superbonus, (in senso non solo
metaforico dopo le immagini viste recentemente negli Usa e l’assalto
alla casa del Ceo di Aig), fanno notizia anche gli stipendi dei top
bankers: il dipendente più pagato in casa Hapoalim è il Ceo della
divisione Capital Markets che nel 2008 ha guadagnato la bellezza di
11,5 milioni di shekel (poco più di 2 milioni di euro), mentre Dankner
“solamente” 4,8 milioni di shekel (ovvero 870 mila euro).
Notizie
che non avranno certo fatto piacere ai correntisti della banca, i quali
hanno anche saputo che l’ormai ex Ceo Ziv, il quale ha annunciato le
dimissioni 21 mesi prima che il suo contratto scadesse e che lascerà la
banca a fine anno dopo di 35 anni di servizio, che stando ai dati del
2008 ha gravato sui conti per la modica cifra di 3,3 milioni di shekel
(circa 600 mila euro).
Benjamin Oskar
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rassegna stampa |
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Dopo
tante parole quanto potrà l’astensione della voce dal proferirne di
inutili? Alle Molinette di Torino, il maggiore nosocomio della città, è
stata istituita la “stanza del silenzio”, un luogo di meditazione e di
raccoglimento, aperto agli appartenenti di tutte le confessioni così
come ai non credenti, nel quale andare e ritrovarsi senza dovere dire
alcunché. La notizia, che ha il carattere dell’inusualità, ce la
racconta Giusi Fasano su il Corriere della Sera. Di
altro tenore, invece, le novità, peraltro non molte, che ci pervengono
da altri luoghi dove si parla molto, a volte a ragione altre volte un
pò a torto. Da Israele, dove si è appena formato il nuovo governo, se
ne registra il feedback su commentatori e analisti. Così l’intervista
di Benny Morris rilasciata a il Corriere della Sera,
nella quale il giudizio sulla partecipazione di Avigdor Lieberman è
severo non meno, però, che sul ruolo degli altri partiti. Articoli che
si soffermino sulla valutazione del nuovo esecutivo e su quanti ne sono
entrati a farne parte si possono trovare ancora su il Corriere della Sera per la firma di Francesco Battistini, su la Repubblica per quella di Alberto Stabile e su il Messaggero per
la cura di Eric Salerno, che si profonde soprattutto sulle
vicissitudini giudiziarie del leader di Israel Beitenu, così come fa
l’Unità. Nicole Nehve su l’Avvenire documenta
anche dell’ultimo attentato ai danni di un tredicenne israeliano,
assassinato da un palestinese nell’insediamento di Bat Ayin. La stessa
cosa è fatta da Umberto De Giovannangeli su l’Unità e Anna Momigliano per il Riformista. Le medesime vicende sono poi raccontate anche da il Giornale e, ancora una volta, da Alberto Stabile per la Repubblica. Ugo Traballi, per il Sole 24 Ore parte
da quest’ultimo episodio per ricostruire la situazione di una parte
degli insediamenti ebraici in Cisgiordania, mettendola in tensione, per
così dire, con le prese di posizione di Lieberman e di parte della
nuova maggioranza costituitasi sotto il premierato di Benjamin
Netanyahu. Di ampio respiro è il reportage sul partito laburista
israeliano di Meron Rapoport per l’Espresso.
Si tratta, forse, dell’articolo più interessante, tra quelli usciti
oggi tra la stampa di lingua italiana, su Israele. L’autore si
sofferma, non senza fare ricorso alle tinte forti, sul declino di una
formazione politica che ha dato i caratteri allo Stato d’Israele e che
ora si trova a registrare, sia sul piano elettorale che su quello
politico, i minimi storici. Più che di una sconfitta siamo in presenza,
a giudicare dal quadro delineato dal commentatore, ad un vero e proprio
tracollo che potrebbe preludere all’estinzione del partito. Al di là
dei giudizi contingenti è certo che i mutamenti che sono intervenuti
nel quadro politico israeliano segnano una diversa configurazione di
idee e di opinioni da parte dell’elettorato nazionale. Fatti in sé tale
da rendere improponibili posizioni e atteggiamenti che avevano invece
caratterizzato stagioni del passato molto vivaci, come ad esempio il
periodo dei primi anni Novanta, quando i negoziati avevano avuto un
effetto dirompente sull’opinione pubblica israeliana consegnando ai
laburisti una spazio d’azione che sembra invece oggi essersi del tutto
esaurito. Un quadro della situazione mediorientale è quello invece
offerto dall’interpretazione dei risultati del vertici di Ryad del 13
marzo scorso tra Arabia Saudita, Egitto e Siria, fatta da Paul Salem
per l’Espresso.
Insomma, i giochi parrebbero essere aperti, malgrado tutto, anche se
molti dei contendenti sembrano aspettare le mosse dei propri
interlocutori prima di farne di proprie. La rassegna stampa registra
questo dato in maniera sua propria: in mancanza di fatti tangibili sono
così le occasionali prese di posizione di questo o di quell’altro
esponente (è ancora una volta soprattutto il caso di Lieberman, visto
aprioristicamente e unilateralmente da molti commentatori come una
sorta di elemento di perturbazione di potenziali accordi di pace, tutti
peraltro solo in ipotesi) a occupare le pagine dei giornali. Ma se c’è
il bisogno di una stanza del silenzio per un ospedale forse
occorrerebbe qualche volta anche una pagina in bianco per non poche
testate giornalistiche, abituate a fare scrivere e a pubblicare senza
avere elementi di effettivo giudizio. Claudio Vercelli |
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notizieflash |
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La
manifestazione di Forza Nuova
e la replica del presidente dell'Ugei Milano, 3 apr - “Una
condanna ferma della manifestazione di Forza nuova da parte di
tutte
le istituzioni milanesi”. Il presidente dell’Ugei, Unione giovani
ebrei italiani, Daniele Nahum interviene così sul raduno
di Forza
nuova che si terrà domenica 5 aprile a Milano. “In un momento – afferma
Nahum - in cui sono più che mai necessari lo sviluppo del dialogo
e il
richiamo alla tolleranza e in cui si avverte un
risveglio preoccupante di antisemitismo e il dilagare dell’anti
islamismo, una manifestazione come quella di Forza nuova, che
affonda le sue radici
nella cultura della violenza non può essere tollerata e passata
sotto
silenzio. Esprimendo un apprezzamento per il presidente
della
Provincia di Milano, Filippo Penati che ha tenuto verso la
manifestazione una posizione ferma, auspico che anche tutte le altre
istituzioni milanesi esprimano la stessa ferma condanna”.
Tel Aviv compie cento anni, Peres inaugura le celebrazioni Tel Aviv 3 apr - Il
capo di Stato israeliano, Shimon Peres, ha aperto ieri le celebrazioni
per i cento anni dalla fondazione della città di Tel Aviv "Tel Aviv è
oggi la realizzazione dei desideri, della speranza del sionismo", ha
detto Peres ricordando che la città di Tel Aviv rappresenta la
realizzazione del sogno di Teodor Herzl. Peres, 85 anni compiuti, ha
ricordato la propria giovinezza trascorsa a Tel Aviv, "la città fatta
apposta per innamorarsi, piena di colori e di attività, un 'fermento'
di cemento bianco e di pennellate di blu marino". In occasione dei
festeggiamenti la centrale via Bialik è stata ieri invasa da persone
che indossavano vestiti con foggia antiquata, quella che distingueva i
primi abitanti della città. Domani nella piazza Rabin avrà luogo un
grande spettacolo, a cui parteciperanno centinaia di artisti. Per
l'occasione il municipio ha organizzato manifestazioni che
proseguiranno nei prossimi mesi.
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere
ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. |
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