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L'Unione informa
 
    14 aprile 2009 - 20 Nisan 5769  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  roberto della rocca Roberto
Della Rocca,

rabbino 
Domani settimo giorno di Pesach ricordiamo il miracoloso passaggio del Mar Rosso e l'inizio del percorso verso la Terra promessa. Nell'indicarci la strada di questo percorso la Torà ci dice paradossalmente che il Signore non ha voluto far fare agli ebrei la strada dei Filistei perché è "vicina". La Torà vuole suggerirci che spesso nei percorsi identitari quando una strada si presenta troppo vicina e troppo breve è un buon motivo per non percorrerla. Quelle che a prima vista si presentano come scorciatoie possono trasformarsi col passare del tempo in percorsi impervi e tortuosi.
Nell'ultima settimana simboli e messaggi ebraici si sono sovrapposti a Washington a quelli di Barack Obama. Tutto è cominciato con la Benedizione del sole, che un gruppo di giovani ebrei è andato a recitare all'alba sulle gradinate del Lincoln Memorial, uno dei luoghi più cari all'attuale Presidente perché fu da lì che Martin Luther King pronunciò il discorso "I have a dream". Poi è stato Obama a metterci del suo celebrando per la prima volta alla Casa Bianca un seder di Pesach durante il quale ha voluto approfondire, con tanto di Haggadà in mano, il passaggio degli ebrei "dalla schiavitù alla libertà" che colpì molto proprio il reverendo King. Da Harry Truman in poi ogni presidente americano del dopoguerra ha avuto un peculiare rapporto con il mondo ebraico, Obama sta costruendo il suo. Maurizio Molinari,
giornalista
maurizio molinari  
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  mazzahShevi'ì shel Pesach, il settimo giorno di Pesach

"Fu riportato al re d'Egitto che il popolo era fuggito…" (Esodo 14,5). Rashì ci dà un quadro della situazione: sono trascorsi i tre giorni che aveva richiesto Mosè ed il popolo ebraico non torna in Egitto; il quarto giorno riferiscono al re che il popolo è fuggito; il quinto e sesto giorno gli Egiziani inseguono gli Ebrei e la sera del settimo giorno scendono in mare. Al mattino dicono la shirat haiam, la cantica del mare, ed era il settimo giorno di Pesach onde anche noi leggiamo la shirà il settimo giorno di Pesach.
Davanti agli Ebrei c'è il mare e dietro di loro l'armata egiziana lanciata all'inseguimento. Siamo davanti ad una nuova prova che deriva dall'indurimento del cuore del Faraone (Es. 14.4). Il Maharal di Praga spiega nel suo Ghevurot Hashem che le prove dell'uscita dall'Egitto saranno arrivate al loro compimento solo dopo il passaggio del Mar Rosso. Ci troviamo di fronte a due esperienze differenti: a) la liberazione dall'oppressione umana (uscita dall'Egitto); b) la consapevolezza che anche il determinismo delle leggi naturali poteva essere spezzato (passaggio del mar Rosso). L'Egitto era una società totalitaria, un impero da cui nessuno poteva scappare (come nessuno, o quasi, poteva scappare dai campi di concentramento nazisti…). Il Seder di Pesach ci fa rivivere la nostra uscita dall'Egitto, la liberazione dalla schiavitù, dall'assoggettamento alla volontà altrui, dall'oppressore assoluto, il Faraone.
Al settimo giorno di Pesach ci troviamo in una situazione particolare: gli Egiziani vengono verso gli Ebrei (Es. 14,10) e Rashì spiega che gli Ebrei vedevano l'angelo dell'Egitto che si dirigeva dal cielo ad aiutare gli Egiziani; dopo l'inseguimento dell'Egitto, gli Ebrei incominciano ad avere qualche dubbio sul loro diritto alla libertà… Dopo tutto quello che hanno visto hanno paura. Anche noi abbiamo assistito, stiamo vivendo la speranza della liberazione dall'esilio, ma siamo pieni di timori, di scrupoli analoghi a quelli descritti dalla Torà e dai suoi commentatori (Manitou). Il popolo di Israele apparteneva ancora all'Egitto che aveva pagato con le dieci piaghe; ci voleva quindi un atto di fede da parte ebraica per far pendere verso di loro il piatto della bilancia e questo atto lo abbiamo avuto con la determinazione di Nachshon ben Aminadav ad entrare per primo nel mare e solo dopo abbiamo l'apertura del Mar Rosso, grazie alla fede e l'abnegazione di Nachshon che non ha avuto paura, che non ha esitato ad essere il primo a buttarsi in mare (Or Hachaim); ora c'è la fiducia in D-o ed in Mosè Suo servo (Es. 14,31).
Se con l'uscita dall'Egitto siamo divenuti da servi del Faraone servi di D-o, con l'apertura del mar Rosso siamo divenuti Suoi figli, che riescono a raggiungere una situazione spirituale superiore con la Cantica. Il Sign-re, che appare qui – per così dire- come un guerriero contro i malvagi, è tuttavia Hashem, che agisce con misericordia ed è con la misericordia che Egli dà esistenza al Suo mondo (Es. 15,3; Sforno, Rav Kook).

Mi chamocha baelim Hashem, mi camocha…
Arriviamo così alla Shirà, alla cantica che cantò Moshé Rabbenu con i figli di Israel e Miriam con le donne e vorrei soffermarmi su alcuni aspetti del versetto Es. 15,11: Chi è come Te fra gli dei, o Sign-re…Mi chamocha baelim Hashem, mi camocha…  così come ci sono presentati dal Midrash: facendo perno sulla scrittura senza vocali il Midrash derabbì Ishmaèl (Beshallach 8) ci dà questa interpretazione:
Mi chamocha baelim, Mi chamocha bailemim, Chi è come Te fra gli dei, Chi è come Te fra i muti che vede l'insulto dei suoi figli e tace.  Chi tace qui, secondo il Midrash, è D-o. Abbiamo qui proposto proprio dal Midrash, il terribile problema del silenzio di D-o: per insegnarci che il problema esiste proprio per l'uomo che crede in D-o e che talvolta si attenderebbe un Suo intervento, per insegnarci che già ben prima della Shoà l'Ebreo si è posto il problema del perché della sua storia così tragica; "il silenzio costituisce il paesaggio della Bibbia" affermerà André Neher (L'esilio della parola).
Nel Midrash Lekach tov abbiamo un testo ancora più esplicito: " i muti sono Israel che sono muti nella Golà, vengono offesi e non rispondono e D-o vede la loro offesa e tace". Qui il silenzio è duplice: il silenzio del popolo ebraico offeso, timoroso di reagire, ma a questo mutismo si aggiunge anche quello che viene avvertito come il silenzio divino che ha un significato ben diverso dal primo silenzio; ma in realtà il silenzio non è rimasto da solo e le anime mute, mute per la paura, mute per il dolore, mute per lo smarrimento, si sono incontrate nel Kidush Hashem, nell'amore per il Sign-re, anche se ti toglie l'anima.
Ed il Faraone? Anche per lui il Midrash ha una parola buona; il Midrash, che sa commuoversi anche per gli Egiziani annegati, opera anch'essi delle mani di D-o, non può lasciar morire  neppure il Faraone senza teshuvà: l'ispirazione viene offerta al Midrash dal diverso modo in cui viene scritta la parola chamocha la prima volta: chi si esprime, dice il Midrash, è il Faraone stesso che avendo assistito all'apertura ed alla successiva chiusura del mar Rosso, riconosce in fin di vita la grandezza del Sign-re; le acque gli arrivano fino alla bocca ed egli riesce con difficoltà a pronunciare "Mi chamocha"; per suo riguardo le acque scendono un momento ed allora il Faraone riesce a pronunciare come si deve il secondo mi camocha…diventando anch'egli partecipe alla grande Cantica di Mosè e dei figli di Israele tutti. Come a dire che anche lo stesso padrone ha da guadagnare, senz'altro spiritualmente, dalla liberazione del suo schiavo…

Alfredo Mordechai Rabello, giurista, Università Ebraica di Gerusalemme 


gruberPesach, canto senza tempo

Il Seder di Pesach. Una cerimonia antica. Una cerimonia vissuta in famiglia o fra amici, raffigurata qui in una immagine che è abbastanza vecchia, ma, nel mio cuore e nella mia memoria, rimane senza tempo. E' Pesach del 1991, a Radauti, una cittadina nel nord della Romania da dove, un secolo fa, i miei nonni erano emigrati in America. Siamo una ventina di persone, quasi tutti anziani, seduti in una stanza della sinagoga. Fa freddo. Portiamo maglie e capotti. C'è un solo ragazzo, il figlio del presidente della piccolissima comunità, che ha cantato le quattro domande del Ma Nishtanà. Il Seder è finito. Abbiamo mangiato il kugel di matzot, uova sode, manzo stufato con patate. Abbiamo bevuto un vino dolce che viene da Israele. Le fiamme delle candele si spengono. L'uomo che ha condotto il Seder è stanco. Canta con una voce molto debole. E lui è unico fra i presenti che ricorda ancora della mia famiglia. Dopo la cena, cantiamo il tradizionale, Had Gadya. Conosco una melodia. Un amico venuto con me da Bucarest ne propone un'altra. E il vecchio intona, con un filo di voce, un' altra melodia, una melodia molto particolare, che non ho mai sentito. Canta, forse, nel modo in cui cantavano, anni e anni fa, i miei antenati.


Ruth Ellen Gruber
(tutti i diritti riservati, copyright Ruth Ellen Gruber)
 
 
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  cavaglion albertoI mille volti dell'identità ebraica

Quando mi è stato chiesto di collaborare a questa rubrica, ho avuto due esitazioni. Innanzitutto temevo di generare imbarazzo fra chi mi stava autorevolmente accanto. In passato mi è capitato spesso di sostenere idee eterodosse. Eppure questo nuovo portale mi pareva un’occasione da non perdere. Quando stavo per cedere ecco allora subentrare una seconda preoccupazione: accettando l’invito, avrei dovuto fare accompagnare i miei scritti da una fotografia. “Per favore, lasciatemi nell’ombra!”, avrei dovuto implorare, con Gadda traducendo signorilmente la norma di Esodo che vieta di “farsi immagine” anche agli ebrei eretici e modernizzanti.

Mi piacciono i disegni infantili, i pupazzetti, dietro i quali nascondere il proprio volto. Non vorrei adesso creare imbarazzo agli illustri colleghi, che scrivono i loro pensieri accanto ai miei; taluni sono cari amici, il loro volto si sono sentiti di mostrarlo. Così ho pensato di fare loro una dedica: all’ebreo fortunato Vittorio Dan Segre, che dal mio amatissimo Piemonte di rito Appam ci manda sulfurei aforismi pieni di saggezza, regalerei i disegni di Joseph Budko, che adornano l’edizione Israel del Rabbi di Bacharach di Enrico Heine (Firenze,1926). All’amico David Bidussa, che condivide con me la passione per lo studio del fascismo e dell’antifascismo, dedicherei il pupazzetto di Ernesto Rossi su Riccardo Bauer, nella serie che adorna Le nostre prigioni di Massimo Mila. Dalla stessa serie ritaglierei, per l’amica Anna Foa, il pupazzetto di Ernesto Rossi che ritrae suo padre: vale per me più delle fotografie di Vittorio Foa, che vediamo sui giornali. Pupazzettava amabilmente anche Carlo Michelstaedter.

Tuttavia, memore delle frasi di Nello Rosselli sulla religione della famiglia, ho resistito sull'immagine e optato infine per i pupazzetti disegnati da uno dei miei figli (temo dopo averlo, in tenera età, a lungo costretto ad ascoltare lezioni noiosissime o conferenze interminabili). L’immagine è scelta qui per ricordare a chi avrà la pazienza di leggermi che l’identità ebraica è plurale, i volti dell’ebraismo tantissimi. Uno di questi, forse, è anche il mio.

Alberto Cavaglion
 
 
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Il Messaggero nella pagina romana, L’Unità e Il Corriere della Sera (Francesco Battistini) riferiscono della iniziativa di solidarietà della comunità ebraica romana nei confronti dei terremotati d’Abruzzo e in particolare di alcune famiglie del paese di Fossa che contribuirono a salvare alcuni ebrei dai nazisti. Marina Gersony sul Giornale propone ancora un’intervista a Marek Halter intellettuale ebreo anticonvenzionale e  impegnato per la pace.
Sul Jerusalem Post Isi Leibler discute le sfide di politica internazionale che attendono il governo Netanyahu; anche sul Financial Times si può leggere un’analisi di Roula Kalaf e Tobias Buck dei problemi attuali della politica estera israeliana che sotto il linguaggio neutrale appare decisamente poco amichevole per il governo attuale e piuttosto scontata nelle sue tesi; più interessante il pezzo di accompagnamento (Daniel Dombey, sempre sul Financial Times, che si occupa della divisione interna della mitica “lobby ebraica” di Washington. Che ci sia uno slittamento in corso nei comportamenti delle organizzazioni ebraiche americane, e purtroppo in direzione dell’autrodenigrazione, lo sostiene anche James Kirchik sul Jerusalem Post, in un editoriale dedicato alla scelta di una delle più importanti, “J Street” di farsi promotore della rappresentazione del pezzo teatrale fortemente antisraeliano di Caryl Churchill “Seven Jewish Children”.
Gradevole la cronaca di Marco Ansaldo su Repubblica della festa per i cent’anni di Tel Aviv. Molto interessante l’editoriale di Shmuel Toledano su Haaretz, la prima opposizione all’idea di Liberman di un impegno di fedeltà allo stato di Israele da richiedere ai suoi cittadini arabi che non sia fondata sull’ideologia e sul pregiudizio (alla maniera, per intenderci di Douglas Bloomfield sul Jerusalem Post), ma su considerazioni economiche e di sicurezza. Di grande interesse anche un editoriale non firmato del Jerusalem Post  che accosta i pirati della Somalia ai terroristi di Hamas e ai terroristi islamici arrestati in Gran Bretagna. Sullo stesso tema dell’infiltrazione terrorista, è importante l’opinione di Carolyn Glick sul Jerusalem Post. Da leggere anche una lunga analisi di Allen Hertz, sempre sul Jerusalem Post, che associa la fondazione dello Stato di Israele ai “diritti dei popoli originari (o aborigeni, come si usa dire in inglese)” che hanno avuto secondo l’autore la capacità di contribuire in maniera decisiva a dar forma alla legge internazionale del XX secolo: è un tema importante, perché anche i palestinesi sostengono di essere “aborigeni”. Curioso anche l’articolo di Joshuah Kulp, sul Jerusalem Post: l’autore è uno storico dell’Haggadah e spiega come siano cambiati i costumi del seder nel corso dei secoli.

Ugo Volli 

 
 
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notizieflash    
 
 
MO: Il Jerusalem Post annuncia
esercitazione congiunta Israele Usa
Tel Aviv, 14 apr -
Le forze armate israeliane e americane condurranno in Israele un'importante esercitazione congiunta per il controllo simultaneo di tre diversi sistemi di difesa da missili balistici. Ne dà notizia il Jerusalem Post, secondo cui l'operazione includerà probabilmente il lancio di missili di intercettazione. Definita in codice come in passato 'Juniper Cobra', l'esercitazione vedrà quest'anno impegnati i sistemi anti-missilistici statunitensi Thaad ed Aegis (statunitensi) nonché l'israeliano Arrow-2. Lunedì scorso Israele ha condotto un nuovo test del suo sistema Arrow-2 che è riuscito ad intercettare sulle acque del Mediterraneo un obiettivo che simulava un razzo iraniano Shihab-3. Malgrado i successi conseguiti in questo programma Israele, teme che gli Stati Uniti possano ridurre la partecipazione al finanziamento della sua fase successiva (Arrow-3), nel contesto di un vasto programma di riorganizzazione delle forze armate americane. La questione, precisa il Jerusalem Post, sarà affrontata nei prossimi giorni dal ministro della difesa Ehud Barak con la parlamentare statunitense Nota Lowey. 

Israele, il presidente Peres condurrà un talk show televisivo
Tel Aviv, 14 apr -
Il presidente israeliano Shimon Peres sembra voler intraprendere una nuova carriera. Secondo la sua portavoce Ayelet Frisch, dopo aver svolto quasi tutti i principali incarichi statali nei suoi 86 anni, Peres avrebbe raggiunto un accordo  per realizzare programmi di carattere bimensile in cui dovrebbe presiedere dibattiti di carattere sociale ospitando nella residenza di Stato esperti di vari rami, sulla emittente televisiva nazionale. Il primo programma - dedicato alle relazioni fra ebrei ed arabi in Israele - è stato registrato a dicembre e la sua trasmissione (rinviata a causa della operazione 'Piombo fuso' a Gaza) andrà in onda a giorni. Il secondo programma sarà dedicato al futuro carattere sociale e politico di Israele, nella ottica di giovani leader. Peres, affermano fonti della televisione, ha subito ostentato grande padronanza degli aspetti tecnici legati alla trasmissione. Indici di ascolto molto elevati sono stati inoltre rilevati quando mesi fa Peres ha tenuto una conferenza televisiva, destinata ai giovani. L'iniziativa del capo dello Stato ha intanto diviso l'opinione pubblica: alcuni ritengono che in questo modo Peres potrà stimolare il dibattito interno, mentre altri trovano fuori luogo che un Presidente si dedichi ad iniziative che non gli competono. 

MO: Hezbollah nomina il successore di Imad Mughniyeh
Il Cairo, 14 apr -
Il quotidiano arabo Al Ahram dà notizia oggi della nomina del successore di Imad Mughniyeh, il comandante militare del movimento sciita libanese Hezbollah ucciso circa un anno fa a Damasco in un attentato attribuito a Israele. Secondo il giornale, la nomina del successore, Talal Hamiyeh, é stata fatta dal vice-segretario generale di Hezbollah, Naim Kassem. Mughnieh, il cui nome di battaglia era Hajj Radwan e a cui i servizi segreti occidentali attribuiscono numerosi attacchi terroristici commessi negli anni '80, e' stato ucciso nel febbraio 2008. Israele ha sempre negato ogni coinvolgimento nell'attentato, mentre i vertici di Hezbollah hanno giurato "vendetta".

 
 
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