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L'Unione informa |
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21 aprile 2009 - 27 Nisan 5769 |
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alef/tav |
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Roberto Della Rocca, rabbino |
Oggi,
27 di Nisan, è Yom ha Shoa' ve ha Ghevura', il giorno dedicato al
ricordo della Shoà e della Ghevurà la resistenza dei pochi
superstiti del nostro popolo che nel Ghetto di Varsavia insorsero
e lottarono contro i malvagi. La tradizione ebraica vede in Amalek
l'archetipo dell'odio antiebraico di tutte le generazioni, il
precursore di quanti, nei secoli a venire, saranno di minaccia
all'esistenza di Israele. Tanto è vero che il preciso ammonimento
"ricorda ciò che ti ha fatto Amalek", ribadito dalla Torah, è
annoverato fra i 613 precetti cui si deve informare la vita di ogni
ebreo. Amalek provoca una terribile frattura che soltanto un forte e
saldo ricongiungimento potrà ricomporre. All'attacco di Amalek, Mosè
dice a Giosuè: “scegli per noi degli uomini per combattere contro
Amalek”. Rashì sostiene che usando la parola “lanu”, “per noi”,
Mosè, il primo Maestro di Israele, ha posto Giosuè, il sui discepolo,
sul suo stesso piano, e quindi l'esegeta sottolinea che da questo
episodio si apprende una importantissima norma valida per tutti i
tempi, il rispetto che il Maestro deve all’allievo. Rav Itzchak
Hutner evidenzia la non casualità del fatto che la norma del
rispetto che il Maestro deve al suo allievo, la si apprende proprio
dall'episodio della guerra contro Amalek. Hutner afferma che solo un
rapporto di coesione e di continuità come quello fra Maestro e allievo,
come quello fra Mosè e Giosuè, può sconfiggere Amalek e tutte le sue
implicazioni. Solo attraverso l'unione fra Maestro e allievo, che
costituisce la continuità della tradizione attraverso le generazioni,
si può tentare di ricomporre la grande frattura amalecita. Lo studio
della Torah, inteso nella sua accezione più ampia, continua
a costituire, tra le sue molteplici valenze, una forma di
resistenza. Uno sforzo per attutire e contenere la ferita
inguaribile che ci è stata inflitta. Un tentativo di di rifar
vivere tutta quella Torah che durante la Shoà è stata sommersa.
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Oggi
si commemorava in Israele il giorno della Shoah, che è anche
l’anniversario della rivolta del Ghetto di Varsavia. Al Tempio Italiano
di Gerusalemme ogni anno si usa leggere i nomi di tutte le vittime
della persecuzione in Italia. Anch’io ho letto i nomi dei 14 congiunti
della mia famiglia uccisi dai nazifascisti. Ma questo a Sergio Romano
non sta bene. Il 16 aprile sul Corriere della Sera,
a proposito delle vicissitudini ampiamente dimenticate dei militari
italiani, l’ambasciatore dice: “Ho già scritto in altre occasioni che
questa corsa alla memoria è per molti aspetti la conseguenza del modo
in cui le Comunità ebraiche sono riuscite a ottenere che il tema della
Shoah continuasse a dominare l’agenda della memoria universale”.
Dunque, è tutta colpa degli ebrei. Ci risiamo con le generalizzazioni.
Quelle generalizzazioni a causa delle quali dal 1938 al 1945 alcuni
ebrei morirono di fame e di freddo, altri in seguito a ferita
riportata, altri, infine, causa carenza di ossigeno nell’ambiente
chiuso in cui si trovavano. Romano dovrebbe spiegare più accuratamente
il modo in cui gli ebrei sono riusciti a dominare l’agenda della
memoria universale: con la violenza, col sotterfugio, col denaro? Col
dominio dei mezzi di comunicazione? Perfidia ossessiva dell’autore
di una lettera a un amico ebreo. |
Sergio Della Pergola, demografo, Università Ebraica di Gerusalemme |
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Durban 2 - Pensiero
"Gli dei accecano coloro che vogliono perdere". (Giulio Cesare, De Bello Gallico)
Vittorio Dan Segre, pensionato
Durban 2 - Vignetta
"Le abbiamo riservato una suite. Ci sono state alcune cancellazioni" (da Haaretz, 20 aprile 2009)
Durban 2 - Diario
C’è
poco, davvero poco, di ordinario in questo 20 aprile del 2009, a
Ginevra. Un giorno in cui può succedere che una conferenza
internazionale convocata per combattere ogni discriminazione razziale
venga inaugurata dal presidente di una delle più grandi nazioni del
mondo con parole d’odio e di violenza pura contro un altro Stato. Può
succedere che nel giorno che da sessant’anni rappresenta nel calendario
ebraico il momento di più intenso raccoglimento e riflessione nel
ricordo della Shoà, che quest’anno coincide sinistramente con la data
di nascita del dittatore che quello sterminio pianificò, l’unico leader
mondiale che osi negare l’esistenza delle camere a gas possa salire sul
podio più alto del mondo per propagandare le sue folli idee. Lo
sgomento nel mondo ebraico e nelle capitali occidentali è grande e i
fantasmi del passato riappaiono mai così minacciosi. Eppure,
rispetto alle fosche attese della mattinata, questa giornata si rivela
straordinaria per ragioni del tutto inattese. Memoria e azione: in
questi due momenti così strettamente correlati tra loro, anzi
indispensabili l’uno all’altro, si condensa la risposta delle
organizzazioni ebraiche riunitesi in forza a Ginevra contro
quest’affronto. Può succedere, dunque, che l’attenzione del mondo venga
catturata non tanto dal vuoto e assurdo blaterare di Mahmoud
Ahmadinejad, ma dal gesto irriverente di un giovane ebreo francese,
Raphael Hadad, che in pochi secondi di plateale protesta riesce a
capovolgere l’ordine dei titoli sulle prime pagine di mezzo mondo.
Eccola, dunque, la reazione degli studenti ebrei: non soltanto i due
finti clown che costringono il presidente iraniano ad interrompere un
discorso neppure cominciato per denunciare la “pagliacciata”
rappresentata da una Conferenza distorta dal principio, ma anche una
giornata di manifestazioni senza sosta dentro e fuori le Nazioni Unite.
“Shame” – vergogna – è il grido unanime con cui una folla di giovani,
rigorosamente dotati di naso rosso, accolgono Ahmadinejad al suo
ingresso nella sala della conferenza stampa C’è spazio tuttavia,
nel corso della giornata, anche per emozioni di segno ben diverso. Può
succedere infatti di assistere, poche ore dopo, a una delle
commemorazioni della Shoà più profonde e toccanti mai organizzate,
quando – subito dopo la conclusione della prima sessione di Durban 2 –
la Place des Nations antistante il grande Palazzo dell’ONU si riempie
di una folla silenziosa che proprio in un giorno come questo non vuole
dimenticare le lezioni della Storia. Di straordinario, in questo caso,
c’è soprattutto un uomo, Elie Wiesel, che sferza gli animi con la forza
della sua testimonianza e più ancora con le domande senza risposta che
egli evoca. Scuote la mente e il cuore, dunque, lo sconcerto con cui
Wiesel domanda e si domanda ancora e ancora come l’uomo possa aver
compiuto quell’orrore, come altri uomini non abbiano saputo fermarlo in
tempo, e se il mondo imparerà mai la lezione della Shoà. “Se
neppure Auschwitz ha potuto guarire il mondo da quel male terribile che
è l’antisemitismo, che cosa mai potrà farlo?” Le parole del Premio
Nobel per la Pace riecheggiano nel cielo ancora azzurro di Ginevra,
senza risposta. E ancora, sul piano più strettamente diplomatico,
rimane irrisolto il grattacapo per le nazioni occidentali di come far
fronte a una situazione internazionale quanto mai intricata e
pericolosa. Di mai visto, in questo giorno, c’è certamente anche
l’uscita delle delegazioni di decine e decine di Stati dalla sala delle
Nazioni Unite in cui un capo di Stato sta conducendo la propria
allocuzione, ma di certo – come sottolinea in serata lo stesso
ambasciatore di Francia – questa non potrà diventare la regola ed un
grande lavoro aspetta la diplomazia internazionale. Mentre la
Conferenza di Durban 2 continua all’interno dell’ONU, sono dunque
interrogativi di questo spessore storico ad addensarsi attorno ad essa.
Ma non c’è altra strada – lo suggerisce lo stesso Elie Wiesel – se non
quella di onorare ogni giorno la memoria della Shoà in una ricerca
senza sosta “di verità, di giustizia, di fratellanza, d’amore”. Quando
non c’è speranza – diceva Albert Camus – non resta che inventarla.
Simone Disegni |
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Il genocidio degli armeni, una pagina buia della storia
Oggi ricorre Yom ha-Shoah, che anticipa di soli tre giorni la
commemorazione in forma non ufficiale – il 24 aprile – del
genocidio degli armeni perpetrato da turchi tra il 1915 ed il 1916,
nella ricorrenza dell’arresto e decapitazione di circa 600 personalità
di spicco della comunità armena di Costantinopoli (24 aprile 1915). Il
genocidio armeno è stato riconosciuto dall’Unione europea nel 1999 e
dal Parlamento italiano l’anno successivo. Un anno e mezzo fa, la
risoluzione H106 della Commissione esteri del Congresso statunitense ha
riconosciuto formalmente che oltre alla Shoah vi è stato anche il
genocidio del popolo cristiano armeno da parte dei turchi, mentre in
Europa infuriava la Prima Guerra Mondiale. La mancata assunzione
di responsabilità da parte dello Stato turco rappresenta invece uno dei
maggiori ostacoli al decollo delle trattative per il suo ingresso
nell’Unione europea. Il numero di aprile di Shalom ha dedicato al
genocidio armeno un documentato articolo di Gianni Rossi, responsabile
della sede RAI di Bruxelles. Le drammatiche vicissitudini degli
armeni (secondo le fonti più accreditate, tra 1.200.000 e 1.300.000
persone su un totale di meno di due milioni furono uccise con marce
forzate nel deserto ed altre barbarie) sono state raccontate in toni
struggentemente poetici dalla scrittrice Antonia Arslan prima nel
romanzo “La masseria delle allodole”, da cui è stato tratto l’omonimo film dei fratelli Taviani, ed ora ne “La strada d Smirne”, uscito a febbraio di quest’anno. Desidero
concludere questa breve rievocazione con l’auspicio espresso da Gianni
Rossi nell’articolo sopra segnalato: «In questa stagione di rinnovato
vigore internazionale per la difesa dei diritti fondamentali dell’uomo
e dei popoli e di riscoperta delle nostre radici storiche, come
europei, come eredi di un Novecento travagliato e, comunque, ricco di
fermenti innovatori, vorremmo che anche in Italia si facesse qualche
atto concreto per far conoscere a un’ampia opinione pubblica la follia
di quel genocidio, decretando ufficialmente il 24 aprile “giornata
nazionale della memoria del genocidio armeno”.»
Valerio Di Porto, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
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rassegna stampa |
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Al
centro della rassegna di oggi vi è naturalmente la conferenza di
Ginevra, la “vergogna” di Ginevra, come scrive Janiki Cingoli su Europa.
Il comizio violentissimo e antisemita di Ahmadinejad; il boicottaggio
di alcuni, fra cui l’Italia; la reazione dei Paesi europei presenti che
se ne vanno (insieme, questa è una novità positiva, a Giordania e
Marocco, che sono usciti con loro) dominano le cronache. Si può
iniziare dall’articolo di Fiamma Nirenstein sul Giornale,
che mette in rilievo la gravità dell’accaduto, l’intollerabilità delle
minacce del dittatore iraniano. L’assurdità della “vergogna” non sta
però solo nelle minacce spudorate del leader iraniano, ma in un
contesto profondamente malato: “L'ambasciatrice libica che toglie la
parola alla vittima delle torture o il rappresentante cubano che a suo
tempo si era rifiutato di condannare Saddam quando gasava i curdi. Per
non parlare dei sudanesi che lavorano dietro le quinte contro i
tribunali delle stesse Nazioni Unite e il presidente di
un'organizzazione non governativa palestinese accusato di collegamento
con i terroristi.” Così Fausto Biloslavo sul Giornale. Paolo Lepri in un corsivo sul Corriere,
spende a proposito di Durban 2 parole che di solito si usano per la
Shoà: “perché non accada mai più”. Belle le lettere del
senatore Compagna sul Foglio e di Deborah Fait sul Riformista. Sul Corriere
Davide Frattini riferisce della preghiera per Yom ha-Shoà tenuta
davanti al palazzo dell’Onu con Elie Wiesel, Bernard Henri Levi e molti
altri. Da leggere l’intervista di Applefeld, sempre sul Corriere. Anna Guaita sul Messaggero e Tarquini su Repubblica intervistano Elie Wiesel. Una “mappa” (chi c’è, chi non c’è, chi va, chi resta) è pubblicata sul Foglio. Una cronaca che sostiene che “Durban 2” è già fallita si legge su Liberal a firma di Guglielmo Malagodi. Lo stesso tema è interpretato in maniera diversa da Anna Momigliano sul Riformista:
solo il “comizio” antisemita di Ahmadinejad riescono a unire
provvisoriamente l’Europa. John Bolton, ex ambasciatore americano,
rimprovera su Liberal infatti alla comunità europea il suo “cerchiobottismo”. Di “ipocrisia dell’Occidente” parla Diaconale sull’Opinione. Marek Haletr rimprovera su Repubblica
il presidente francese Sarkozy: non bisognava andare. Lo stesso dice a
tutta l’Europa Amos Oz, intervistato da Elena Loewenthal sulla Stampa.
L’opinione contraria, quella del politicamente corretto Tzvetlan
Todorov (“meglio ascoltare che boicottare”) si legge in un’intervista
ancora alla Stampa. Altra cronache: Carlo Marroni sul Sole 24 ore, Roberto Fabbri sul Giornale, Davide Giacalone su Libero. Vincenzo Nigro su Repubblica. Curiosa la notizia sul Giornale che riporta le cronache dell’evento sui giornali iraniani: un trionfo, naturalmente. Apre il cuore il reportage di Fabio Poletti sulla Stampa, che parla degli studenti ebrei francesi che hanno contestato Ahamadinejad vestiti da clown. E’ interessante l’analisi di Lucio Caracciolo su Repubblica
che mette in relazione la violenta provocazione di Ahamadinejad con le
offerte di pace americane e con la convinzione israeliana che i siti
nucleari dell’Iran vadano chiusi a qualunque costo: secondo lui il
discorso è una dimostrazione della fragilità dell’Occidente ma
soprattutto una provocazione, dice, nei confronti di Obama. Una lettura
analoga si trova anche in una cronaca del Wall Street Journal.
Ma la domanda giusta, preliminare a ogni valutazione sull’azione
dell’Iran è quella che apre un articolo di Schmuley Boteach sul Jerusalem Post:
“perché Obama sorride ai dittatori?”, perché cerca di piacere a tutti i
peggiori nemici dell’Occidente, a costo di sacrificare gli interessi
suoi e dei veri amici dell’America? Degno di lettura, anche se solo
assai parzialmente condivisibile è il commento etico su antisemitismo e
islamofobia di Gian Enrico Rusconi sulla Stampa. Caldarola del PD loda sul Riformista la scelta di Frattini di boicottare la conferenza. Così anche Carlo Panella sul Tempo. Lo stesso Frattini rivendica giustamente la sua scelta: Claudio Rizza sul Messaggero. Ha
fatto scandalo soprattutto la decisione vaticana di non lasciare la
conferenza e neppure la sala durante l’intervento di Ahmadinejad. Una
posizione, esposta da Franca Giansoldati sul Messaggero,
che da un lato rivendica una neutralità, anzi un essere “sopra le
parti”, ma dall’altro esprime apprezzamento per i contenuti di Durban
2. Leggendo il pezzo, è difficile sottrarsi all’impressione di
un’ipocrisia di fondo, alla scelta di mettersi con i nemici
dell’umanità per tenerseli buoni. La discussione vivace dentro il mondo
cattolico è riportata da Franco Insardà su Liberal e Paolo Rodari sul Riformista. Da leggere, sempre su Liberal, l’analisi del vaticanista Luigi Accattoli e sull’Avvenire, giornale dei vescovi, la versione ufficiale di Salvatore Mazza.. Importante l’articolo di Carlo Panella sul Foglio,
che cerca di spiegare perché “la diplomazia vaticana si trova spesso
allineata ai paesi ostili a Israele”. Alessandro Speciale su Liberazione parla di “alta tensione” fra il Vaticano e il mondo ebraico e sul Tempo il presidente dell’Ucei Renzo Gattegna fa appello direttamente al Papa. Roberto Bongiorni sul Sole 24 ore
riferisce della crisi diplomatica fra Israele e Svizzera, col richiamo
dell’ambasciatore, in seguito all’accoglienza amichevole che il
presidente elvetico ha fatto ad Ahmadinejad. La ragione
dell’atteggiamento svizzero sembra essere un grande accordo di
fornitura di Gas. Così sostiene almeno Siavus Randjbar-Daemi sul Messaggero. Una reazione generale alla vicenda di Durban 2 e la proposta di “archiviare l’Onu” fatta su Liberal da Renzo Foa; un supporto per questa critica lo si può trovare nel pezzo di Anna Borioni sul Riformista, che ricostruisce la storia delle recenti prese di posizioni dell’Onu contro Israele.
Altri
argomenti In questa situazione appare del tutto fuori luogo la
decisione annunciata da Marco Pannella di indossare la stella gialla,
per protestare contro le discriminazioni subite dai radicali nella
campagna elettorale (Gianna Fregonara sul Corriere) La
Comunità Ebraica di Milano ha lanciato un appello a sfilare per il 25
aprile con le bandiere israeliana e americana (Alberto Giannoni sul Giornale). Di Ethan Bronner, corrispondente del New York Times da Gerusalemme lo Herald Tribune pubblica un articolo sulle ricerche di Yad Vashem sulle stragi degli ebrei sovietici.
Ugo Volli |
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notizieflash |
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Durban
2 e Yom ha-Shoah,
gli argomenti che dominano le testate israeliane Tel Aviv, 21 apr - Yom
ha- Shoah, quindi il ricordo delle persecuzioni razziste, e le immagini
del presidente iraniano, negazionista dell'Olocausto, Mahmud
Ahmadinejad (protagonista alla conferenza Onu sui diritti umani Durban
2), costituiscono i temi centrali e gli argomenti che dominano le prime
pagine degli odierni giornali israeliani. Yediot Ahronot titola: "Mai
più " (un altro Olocausto) e mostra Ahmadinejad mentre pronuncia il
proprio discorso di fronte ai diplomatici dei vari Paesi partecipanti
alla conferenza che lasciano l'aula in segno di dissenso. Per Maariv il
presidente iraniano a Ginevra ha patito "Una sconfitta". Ma in un
commento un analista del giornale, Ben Dror Yemini, sostiene che la
protesta dei diplomatici europei non cambia una sostanza che è a suo
parere allarmante: "La Germania - rileva - è il Paese che mantiene il
maggior commercio con l'Iran, con un interscambio pari a quattro
miliardi di euro nel 2008". Lo stesso comportamento, aggiunge, è
mantenuto dalla Svizzera. L'atto palese di dissociazione da Ahmadinejad
da parte dei delegati europei "è solo cosmetica. L'Europa - conclude
l'articolista - continua in realtà a marciare mano nella mano con
l'Iran”.
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